LA CHIESA DI SAN GIACOMO AD ORVINIO di Cristina Soccorsi
L’edificio in esame si trova fuori del
Borgo ad una quota rialzata rispetto alla strada che conduce a Vallinfreda. E’
orientato lungp l’asse nord sud, con l’unico ingresso presente sul fronte
principale esposto a nord. L’alveo della scatola muraria è organizzato in due
cellule spaziali: l’aula per i fedeli e l’abside. L’aula per i fedeli ha una
larghezza massima di 6,74 m., una lunghezza massima di 10,04 m. e un’altezza di
12,64 m. E’ costituita da un ottagono irregolare, iscritto in un’ellisse, che
presenta i due lati longitudinali
più lunghi.
L’abside è proporzionale allo spazio
antistante sia in alzato che in pianta, precisamente è un terzo della lunghezza, la metà della
larghezza e dell’altezza ed è soprelevato di tre gradini rispetto al piatto
principale. Le pareti interne sono rifinite ad intonaco, tutte articolate in
paraste lisce di intonaco
alte 6 m. circa con capitelli in
pietra locale di ordine dorico. Esse sono collegate tra loro da una fascia
marmorea nella quale si alternano putti e fiori. Questa si interrompe quando
incontra l’arco che segna l’ingresso all’abside.
Le lesene permettono non solo di
delimitare gli otto angoli della chiesa , ma anche gli altari laterali sopra i
quali sono presenti due affreschi,
incorniciati da stucchi che rappresentano fiori e foglie. In testa ad essi sono
presenti gli stemmi della famiglia Borghese, segno che questi altari sono stati
edificati successivamente. Di essi si ha notizia negli acta della
“Visita Corsini” (1781). In tali documenti si parla di tre altari. Uno, con sua
mensa, accoglieva la statua lignea dorata di S. Giacomo (oggi in pessime
condizioni), gli altri due, senza mensa, presentavano ciascuno un dipinto “a
muro” raffigurante : Il Santissimo Crocifisso, S. Carlo Borromeo e
Santa Francesca Romana, nell’altare di
sinistra, e la Santissima Vergine, San Rocco e San Sebastiano, in quello di destra (1).
Nel XX secolo entrambi vennero sostituiti
rispettivamente con altri dipinti, di autore ignoto i quali ritraggono Il
Sogno di San Giuseppe e la Visitazione.
Nell’archivio Borghese non c’è traccia né
degli altari né degli altri affreschi, ma si fa riferimento a un quadro di S.
Rocco esistente in un angolo della chiesa. (2)
Sopra la fascia in marmo, che collega come
una cornice le lesene, sono presenti le finestre: una per ogni lato della chiesa.
Alcune di esse sono state murate
successivamente.
Le due pareti laterali alla facciata ad
un’altezza di 6 m. circa sono impostate su travi in legno che poggiano sulla
muratura portante sottostante, con angolatura diversa, segno di di una sopraelevazione
avvenuta successivamente . L’area antistante l’ingresso della chiesa,
delimitata da muri poligonali, è costituita da un piccolo largo rialzato
anch’esso, al quale si accede con tre gradini in selciato bianco, La facciata
di carattere chiaramente barocco,
si sviluppa su tre lati. Quelli laterali, sui quali si affacciano due finestre,
sono più corti rispetto a quello centrale che svetta sugli altri due di 4,80 m. La superficie presenta uno
strato di finitura ad intonaco. Gli angoli sono delimitati da paraste in pietra
di ordine dorico costituite da più blocchi visibili. L’ingresso, al centro
della facciata, è sormontato da una memoria che recita:
QUESTO TEMPIO
EDIFICATO NEL 1608
DALLA MUNIFICENZA DEI
DUCA MUTI
IN ONORE
DELL’APOSTOLO S. GIACOMO MAGGIORE
IL 15 AGOSTO 1892
PER INCURIA DEGLI
AMMINISTRATORI DEL TEMPO
ROVINO’ DALLE
FONDAMENTA
ANTONIO TANI ATTUALE
LIBERO PROPRIETARIO
A TUTTE PROPRIE SPESE
LO RESTITUI’ AL SUO
ANTICO SPLENDORE
27 AGOSTO 1916
Al di sopra della memoria, lungo tutta la facciata, corre una fascia
recante l’iscrizione:
IACOBUS MUTUS VALLIS
MUTIE DUX II F. MDCXIII
Nella parte soprastante tale fascia, al
centro, vi è un grande rettangolo sagomato in pietra locale su cui spiccano le
parole SANCTO IACOBO al quale è dedicata la chiesa. La facciata è coronata da un grande timpano nel
quale è presente uno stemma dove si distinguono le due mazze incrociate,
simbolo araldico dei Muti.
Il tetto della chiesa è a capriate
scoperte in legno, su di esse è impostata
un’orditura secondaria di terzere e travicelli, sulla quale poggia
l’assito del tetto, con manto di copertura a coppi.
Nell’abside, coperta da una volta a botte
che rispecchia la vecchia altezza della chiesa, è presente un solo altare
marmoreo consacrato descritto nella già citata “Visita Corsini” del 1781:
“cuius sacellum lateralibus columnis, et capitellis marmoratis ornatum Templi
extremitatem constituit – exterius vero alijs picturis Sancti ipsius gesta, et
martyrium exhbentibus decoratur; in vano autem arae, mensa instante, S Apostoli
simulacrum peregrinantium baculum dextera, leva autem librum gestans, locatum
est(…)” (il saccellod dell’altare,
adorno di colonne ai lati e capitelli mormorati, costituisce l’estremità della
Chiesa. All’esterno, poi, l’altare è decorato da altre pitture che
rappresentano gli episodi e il martirio del Santo; nello spazio vuoto
dell’altare, che sta sopra alla mensa, è posizionato il simulacro del S.
Apostolo con il basone dei pellegrini nella mano destra e nella sinistra un libro delle gesta )
(3). Nel fornice dell’altare maggiore sono presenti decorazioni in stucco che
delimitano due affreschi, mal conservati, uno (settecentesco) e attribuito a
Vincenzo Manenti e descrive La Predica di San Giacomo, l’altro rappresenta Gesù e la Samaritana e sostituisce
il precedente che raffigurava il Martirio di San Giacomo. A questa
conclusione si può giungere attraverso la lettura dei documenti relativi alla
“Visita Corsini” del 1781.
Adiacente all’edificio c’era una sagrestia
alla quale si poteva accedere
direttamente dalla chiesa o
dalla strada. Era dotata di due stanze. Una di esse era mattonata e aveva una
scala di legno che saliva fino alla seconda nella quale si entrava da una porta senza serratura. Sopra
il tetto della sagrestia c’era una
“campanella con suo ceppo cadente, catena di ferro e corda” (4). Essa alta 2
palmi (circa 45 cm). Peso 15 decine (circa 50 Kg), presentava tutt’intorno una
scritta:
IESUS MARIA – IN
HONOREM B IACOBI APOSTOLI – IACOBUS MUTUS DUX
II – VALLIS MUTIAE –
FECIT ANNO IUBILARI MDCXXV (5)

Accanto alla chiesa era presente un
ospizio per i pellegrini (denominato Ospedale negli Acta della “Visita Corsini”), nel quale si ricoveravano i
poveri e gli stranieri. Era costituito da due case, una di quattro “membri”,
l’altra di due stanze, con giacigli di paglia dove erano ospitati, senza
separazione, uomini e donne (8).
Le prime fonti archivistiche che
riguardano la chiesa risalgono al
1611.
Nell’Archivio Vescovile sono conservati
documenti inerenti le “Visite Pastorali” effettuate a Canemorto, l’attuale
Orvinio, negli anni della costruzione dell’edificio. Da essi risulta che, data
la presenza di materiali derivanti derivanti dall’abbattimento della cappella
di San Sebastiano, il Duca Giacomo Muti chiede ed ottiene l’autorizzazione del
vescovo ad utilizzarli per la costruzione della chiesa (9). L’anno 1615 vede il
completamento della chiesa, dedicata a San Giacomo Maggiore in onore del Duca,
e secondo le informazioni contenute negli Acta della “Visita Corsin”, la sua
consacrazione avviene nel 1613. In alcuni documenti dell’Archivio Borghese si
legge: “ il 4 novembre 1617 (…) la Cappellania laicale istituita nella chiesa
di San Giacomo Maggiore perpetuo iuspatronato erexerit, il duca Giacomo Muti donò
alla chiesa alcuni beni, acciò ne si erigesse un beneficio amovibile ad nutum
per se, e suoi in infinitum”.
La donazione comprendeva una somma in
scudi e le supellettili necessarie per le messe (10).
Grazie allo iuspatronato
beneficio amovibile Michelangelo Muti, primogenito del duca Giacomo Muti, succedutogli nel 1631,
può nominare come primo cappellano della chiesa don Serafino de Lucis. Questo e
tutti i suoi successori avevano l’obbligo di celebrare le seguenti messe: due
messe perpetue all’anno nei giorni ad libitum per l’anima della signora
Bernerdina di Gio: di Diana che lasciò per la fondazione della chiesa una
vigna, due stanze e canepine; una messa perpetua annua in giorno ad libitum per l’anima della signora Sul
pizia da Montorio che lasciò alla chiesa una falciata di prato (11).
Il 13 novembre 1632 per mano del
chirografo del papa Urbano VIII viene stipulato l’atto di permuta tra il feudo
di Rignano, proprietà di Marco Antonio Borghese, principe di Sulmona, e quello
di Canemorto, insieme ai castelli di Pozzaglia, Montorio, Petescia e
Vallinfreda, proprietà della famiglia Muti (12).
La famiglia Borghese, pertanto, insieme al
feudo diviene proprietaria anche della chiesa di San Giacomo e grazie
all’amovibilità del Beneficio può nominare un altro cappellano, ma decide di
riconfermare don Serafino de Lucis
(13).
Nel 1841 Canemorto, fino a quel momento
diocesi della Sabina, passa sotto il controllo della diocesi di Tivoli (14).
Purtroppo nell’archivio diocesano di Tivoli sono presenti poche e
insignificanti notizie riguardanti il paese; perciò non è possibile
ricostruire con esattezza quanto
accaduto alla chiesa in quel lasso di tempo storicamente importante
caratterizzato dall’Unità d’Italia.
Tuttavia, nell’archivio Borghese è
conservata la corrispondenza tra
il cappellano e i principi. Da essa emergono notizie interessanti sui restauri
del 1856 effettuati nella chiesa su commissione del ministro del culto:
sostituzione degli infissi delle finestre, restauro degli stucchi e dell’altare
maggiore, stabilizzazione della parete fessa da capo a fondo (15).
Viene inoltre menzionato un pavimento in
travicelli e tavole. Questa particolare struttura sembrerebbe essere un solaio
con vano sottostante, piuttosto che un pavimento di un piano terra.
Solitamente infatti nelle chiese vengono usati, per la pavimentazione
cotto o pietra. Il legno, materiale più leggero, contraddistingueva i solai.
Quando, nel 1860, sono invase le province
dell’Umbria, anche Orvinio viene occupato e con regio editto furono
spogliati i Benefici assenti del possesso e di frutti dei loro benefici.
Nel novero di questi era compresa anche la
chiesa di San Giacomo. Essa divenuta possesso del Demanio Italiano, viene
destinata prima a quartier militare e poi a granaio. Il mal utilizzo della
chiesa e la poca cura fanno si
che essa si degradi: viene
compromessa la stabilità di una parete, si rovinano gli stucchi, sono
danneggiati gli affreschi, viene scalcinato il pavimento, il fuoco brucia le
finestre e il fumo annerisce le pareti. La chiesa così mal ridotta, rimane
inutilizzata come tale in attesa
di un restauro e della riapertura al culto. Solo nel luglio del 1873, il
cappellano viene richiamato al possesso del beneficio con diritto di riscuotere
alcuni canoni arretrati, debitore il Governo.
Il primo impegno che si assunse il
cappellano è quello di fare da tramite tra la famiglia Borghese e il Governo
Regio per lo svincolo della Cappellania (16).
Nel 1892, purtroppo, lavori effettuati in
una stalla accanto alla chiesa, svolti scavando fino alle fondamenta della
stessa, provocano il crollo della stessa, l’abside e la facciata (17).
A crollo appena avvenuto, l’ing. Monte di
Poggio Moiano, capita per caso ad Orvinio e ingannato dalle belle linee della
chiesa ne attribuisce erroneamente
la paternità al Bernini.
La certa datazione dell’edificio (1611),
tuttavia, consente di escludere che sia stato progettato dall’insigne
architetto allora soltanto tredicenne (1598-1680).
Il 17 novembre 1892 la famiglia Borghese
rientra in pieno possesso della chiesa ed il giorno seguente essa viene venduta
al sig. Tani con l’obbligo di restaurarla per restituirla al culto (18).
Nei primi del novecento avvengono i restauri, come si vede da
una cartolina conservata nel
Comune del paese (19): vengono risistemate la pavimentazione, l’altare maggiore
e l’altro altare addossato alla parete in comune con la sagrestia; è
ricostruita la parete sinistra con
il suo altare e tutte le relative decorazioni (20).
La famiglia Tani, proprietaria anche del
palazzo adiacente alla chiesa ,
aggiunge un livello e lo adibisce a salone della propria abitazione: il tetto
ora raggiunge la sommità della facciata. La porta della sagrestia viene murata
e abbattuto il campanile.
Sotto il piano della chiesa viene
sistemata una cantina (21).
Per questi interventi il sig. Tani chiede
appoggio finanziario alla famiglia Borghese, alla quale ha intenzione di
dedicare un altare (22).
Viene risistemata anche la pavimentazione che però non è
giunta ai giorni nosrri; prima dei restauri iniziati in questi anni, infatti,
era presente solo il massetto di
cemento.
Il terremoto del 1915, la successiva
mancata manutenzione e le intemperie provocano danni che si stratificano nel
tempo.
Nel 1936 il tetto crolla e i due tratti di
muri perimetrali laterali al prospetto subiscono lesioni di notevole entità,
dipendenti dal cedimento delle travi in legno sulle quali è impostata la
muratura del primo piano (23).
Solo due anni dopo viene ricostruito il
tetto, ma a causa degli ingenti problemi finanziari della famiglia Tani, la
chiesa viene venduta alla famiglia Velini (24)
Prima dei restauri di questi ultimi anni,
la chiesa si presentava come un locale unico: il solaio, che divideva
l’ambiente sacro (il piano terra) da quello privato (il primo piano), era stato
abbattuto prima del 1950, per cause a noi sconosciute.
Un atto di pignoramento del 1950 custodito
nella Conservatoria di Rieti testimonia che la chiesa è stata usata come
falegnameria e magazzino, fino a quando non è stata affittata alla Pro loco del
paese.
Questi usi impropri del bene hanno
contribuito, insieme alla mancata manutenzione ordinaria e straordinaria, alla
rovina degli affreschi, degli stucchi e dell’intera struttura.
Solo nel 2002 l’edificio è stato
venduto al Comune, che si occupa ora dei restauri (26)
1 – Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis
Mortui, 1781, p.525.
2 – Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 152,
f.72, 1834
3 – Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis
Mortui, 1781, pp.18-19.
4 – Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 152,
f.72, 1772.
5 – Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis
Mortui, 1781, p. 535.
6 – A. Fabriani, Notizie varie su Orvinio, , ms, Orvinio,
1939, dsc. A cura di F. Accadia, Orv., 1990.
7 - Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis
Mortui, 1781, p 539.
8 – Ibidem, pp. 558-559.
9 – B. Fabian, Il Cavalier Vincenzo Manenti e il suo tempo:
atti del Convegno, Orvinio, 14 ottobre 2000, Roma, Quasar, 2003.
10 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 150,
f.1, 1834.
11 – Ibidem
12 – Archivio di Stato di Roma, Chirografi , reg 160, 1632,
pp.39-44.
13 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 150,
f.1 , 1834.
14 – Archivio Vescovile di Tivoli, Visite Pastorali
1852-1857.
15 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 156
f.299, 1873.
16 – Ibidem
17 -– Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 160,
f.416, 1892.
18 –Archivio notarile di Roma, Regio Notaio Buttaoni, 18
novembre 1892
19 – AO, cartolina 1907.
20 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 158,
f.365, 1909.
21 – B. Fabian, Il Cavalier Vincenzo Vanenti e il suo tempo,
Atti del Convegno, Orvinio 14 ottobre 2000 , Quasar 2003.
22 - – Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 158,
f.365, 1909.
23 – Archivio di Stato di Rieti, Fondo Benefici Vacanti,
busta 43 f.13 1936-1937.
24 – Conservatoria di Rieti, trascrizione 892, 2233, an
1939.
25 – Conservatoria di Rieti, trascrizione 95, an. 1950.
26 – Conservatoria di Rieti, trascrizione 5771, an. 2002.