22 gennaio 2015

LA CHIESA DI SAN GIACOMO AD ORVINIO di Cristina Soccorsi



    
La chiesa di S. Giacomo è situata ad Orvinio, un paese ai margini meridionali della provincia di Rieti nel punto di confine con quella di Roma e dell’Aquila, tra il Prco Regionale dei Monti Lucretili e la Valle del Turano. A quota  840 m. s.l.m., Orvinio è collegato tramite strade provinciali con la via Salaria, che da Roma porta a Rieti, e con la via Tiburtina che collega Roma a Pescara.
     L’edificio in esame si trova fuori del Borgo ad una quota rialzata rispetto alla strada che conduce a Vallinfreda. E’ orientato lungp l’asse nord sud, con l’unico ingresso presente sul fronte principale esposto a nord. L’alveo della scatola muraria è organizzato in due cellule spaziali: l’aula per i fedeli e l’abside. L’aula per i fedeli ha una larghezza massima di 6,74 m., una lunghezza massima di 10,04 m. e un’altezza di 12,64 m. E’ costituita da un ottagono irregolare, iscritto in un’ellisse, che presenta  i due lati longitudinali più lunghi.
     L’abside è proporzionale allo spazio antistante sia in alzato che in pianta, precisamente è un terzo  della lunghezza, la metà della larghezza e dell’altezza ed è soprelevato di tre gradini rispetto al piatto principale. Le pareti interne sono rifinite ad intonaco, tutte articolate in paraste  lisce di intonaco alte  6 m. circa con capitelli in pietra locale di ordine dorico. Esse sono collegate tra loro da una fascia marmorea nella quale si alternano putti e fiori. Questa si interrompe quando incontra l’arco che segna l’ingresso all’abside.
     Le lesene permettono non solo di delimitare gli otto angoli della chiesa , ma anche gli altari laterali sopra i quali sono presenti  due affreschi, incorniciati da stucchi che rappresentano fiori e foglie. In testa ad essi sono presenti gli stemmi della famiglia Borghese, segno che questi altari sono stati edificati successivamente. Di essi si ha notizia  negli acta della “Visita Corsini” (1781). In tali documenti si parla di tre altari. Uno, con sua mensa, accoglieva la statua lignea dorata di S. Giacomo (oggi in pessime condizioni), gli altri due, senza mensa, presentavano ciascuno un dipinto “a muro” raffigurante : Il Santissimo Crocifisso, S. Carlo Borromeo e Santa Francesca Romana, nell’altare di sinistra, e la Santissima Vergine, San Rocco e San Sebastiano, in quello di destra (1).
     Nel XX secolo entrambi vennero sostituiti rispettivamente con altri dipinti, di autore ignoto i quali ritraggono Il Sogno di San Giuseppe e la Visitazione.
     Nell’archivio Borghese non c’è traccia né degli altari né degli altri affreschi, ma si fa riferimento a un quadro di S. Rocco esistente in un angolo della chiesa. (2)
     Sopra la fascia in marmo, che collega come una cornice le lesene, sono presenti le finestre: una per ogni lato della chiesa. Alcune di esse sono state murate  successivamente.
     Le due pareti laterali alla facciata ad un’altezza di 6 m. circa sono impostate su travi in legno che poggiano sulla muratura portante sottostante, con angolatura diversa, segno di di una sopraelevazione avvenuta successivamente . L’area antistante l’ingresso della chiesa, delimitata da muri poligonali, è costituita da un piccolo largo rialzato anch’esso, al quale si accede con tre gradini in selciato bianco, La facciata di carattere chiaramente  barocco, si sviluppa su tre lati. Quelli laterali, sui quali si affacciano due finestre, sono più corti rispetto a quello centrale che svetta sugli altri due  di 4,80 m. La superficie presenta uno strato di finitura ad intonaco. Gli angoli sono delimitati da paraste in pietra di ordine dorico costituite da più blocchi visibili. L’ingresso, al centro della facciata, è sormontato da una memoria che recita:


QUESTO TEMPIO EDIFICATO NEL 1608
DALLA MUNIFICENZA DEI DUCA MUTI
IN ONORE DELL’APOSTOLO S. GIACOMO MAGGIORE
IL 15 AGOSTO 1892
PER INCURIA DEGLI AMMINISTRATORI DEL TEMPO
ROVINO’ DALLE FONDAMENTA
ANTONIO TANI ATTUALE LIBERO PROPRIETARIO
A TUTTE PROPRIE SPESE
LO RESTITUI’ AL SUO ANTICO SPLENDORE
27 AGOSTO 1916

     Al di sopra della memoria, lungo tutta la facciata, corre una fascia recante l’iscrizione:

IACOBUS MUTUS VALLIS MUTIE DUX II F. MDCXIII

     Nella parte soprastante tale fascia, al centro, vi è un grande rettangolo sagomato in pietra locale su cui spiccano le parole SANCTO IACOBO al quale è dedicata la chiesa. La facciata  è coronata da un grande timpano nel quale è presente uno stemma dove si distinguono le due mazze incrociate, simbolo araldico dei Muti.
     Il tetto della chiesa è a capriate scoperte in legno, su di esse è impostata  un’orditura secondaria di terzere e travicelli, sulla quale poggia l’assito del tetto, con manto di copertura a coppi.
     Nell’abside, coperta da una volta a botte che rispecchia la vecchia altezza della chiesa, è presente un solo altare marmoreo consacrato descritto nella già citata “Visita Corsini” del 1781: “cuius sacellum lateralibus columnis, et capitellis marmoratis ornatum Templi extremitatem constituit – exterius vero alijs picturis Sancti ipsius gesta, et martyrium exhbentibus decoratur; in vano autem arae, mensa instante, S Apostoli simulacrum peregrinantium baculum dextera, leva autem librum gestans, locatum est(…)”  (il saccellod dell’altare, adorno di colonne ai lati e capitelli mormorati, costituisce l’estremità della Chiesa. All’esterno, poi, l’altare è decorato da altre pitture che rappresentano gli episodi e il martirio del Santo; nello spazio vuoto dell’altare, che sta sopra alla mensa, è posizionato il simulacro del S. Apostolo con il basone dei pellegrini nella mano destra  e nella sinistra un libro delle gesta ) (3). Nel fornice dell’altare maggiore sono presenti decorazioni in stucco che delimitano due affreschi, mal conservati, uno (settecentesco) e attribuito a Vincenzo Manenti e descrive La Predica di San Giacomo, l’altro rappresenta Gesù e la Samaritana e sostituisce  il precedente che raffigurava il Martirio di San Giacomo. A questa conclusione si può giungere attraverso la lettura dei documenti relativi alla “Visita Corsini” del 1781.
     Adiacente all’edificio c’era una sagrestia alla quale si poteva accedere  direttamente  dalla chiesa o dalla strada. Era dotata di due stanze. Una di esse era mattonata e aveva una scala di legno che saliva fino alla seconda  nella quale si entrava da una porta senza serratura. Sopra il tetto della sagrestia c’era  una “campanella con suo ceppo cadente, catena di ferro e corda” (4). Essa alta 2 palmi (circa 45 cm). Peso 15 decine (circa 50 Kg), presentava tutt’intorno una scritta:

IESUS MARIA – IN HONOREM B IACOBI APOSTOLI – IACOBUS MUTUS DUX
II – VALLIS MUTIAE – FECIT ANNO IUBILARI MDCXXV (5)

     Segno dello stretto rapporto tra la costruzione della chiesa e il Giubileo del 1625. Sulla campana da una parte era rappresentata l’effige di S. Giacomo e dall’altra le mazze dello stemma della famiglia Muti (6). Nella sagrestia era conservato un reliquario di legno in forma quadra scorniciato, e dorato con suo piede tornito, dorato con suo cristallo avanti, e sigillato dietra “ contenente le reliquie di San Giacomo Maggiore, San Giacomo Minore, San Filippo, S, Francesca Romana e San Carlo Borromeo (7).
     Accanto alla chiesa era presente un ospizio per i pellegrini (denominato Ospedale negli Acta della “Visita Corsini”), nel quale si ricoveravano i poveri e gli stranieri. Era costituito da due case, una di quattro “membri”, l’altra di due stanze, con giacigli di paglia dove erano ospitati, senza separazione, uomini e donne (8).
     Le prime fonti archivistiche che riguardano la chiesa  risalgono al 1611.
     Nell’Archivio Vescovile sono conservati documenti inerenti le “Visite Pastorali” effettuate a Canemorto, l’attuale Orvinio, negli anni della costruzione dell’edificio. Da essi risulta che, data la presenza di materiali derivanti derivanti dall’abbattimento della cappella di San Sebastiano, il Duca Giacomo Muti chiede ed ottiene l’autorizzazione del vescovo ad utilizzarli per la costruzione della chiesa (9). L’anno 1615 vede il completamento della chiesa, dedicata a San Giacomo Maggiore in onore del Duca, e secondo le informazioni contenute negli Acta della “Visita Corsin”, la sua consacrazione avviene nel 1613. In alcuni documenti dell’Archivio Borghese si legge: “ il 4 novembre 1617 (…) la Cappellania laicale istituita nella chiesa di San Giacomo Maggiore perpetuo iuspatronato erexerit, il duca Giacomo Muti donò alla chiesa alcuni beni, acciò ne si erigesse un beneficio amovibile ad nutum per se, e suoi in infinitum”.
     La donazione comprendeva una somma in scudi e le supellettili necessarie per le messe (10).
Grazie allo iuspatronato beneficio amovibile Michelangelo Muti, primogenito del duca  Giacomo Muti, succedutogli nel 1631, può nominare come primo cappellano della chiesa don Serafino de Lucis. Questo e tutti i suoi successori avevano l’obbligo di celebrare le seguenti messe: due messe perpetue all’anno nei giorni ad libitum  per l’anima della signora Bernerdina di Gio: di Diana che lasciò per la fondazione della chiesa una vigna, due stanze e canepine; una messa perpetua  annua in giorno ad libitum per l’anima della signora Sul pizia da Montorio che lasciò alla chiesa una falciata di prato (11).
     Il 13 novembre 1632 per mano del chirografo del papa Urbano VIII viene stipulato l’atto di permuta tra il feudo di Rignano, proprietà di Marco Antonio Borghese, principe di Sulmona, e quello di Canemorto, insieme ai castelli di Pozzaglia, Montorio, Petescia e Vallinfreda, proprietà della famiglia Muti (12).
     La famiglia Borghese, pertanto, insieme al feudo diviene proprietaria anche della chiesa di San Giacomo e grazie all’amovibilità del Beneficio può nominare un altro cappellano, ma decide di riconfermare  don Serafino de Lucis (13).
     Nel 1841 Canemorto, fino a quel momento diocesi della Sabina, passa sotto il controllo della diocesi di Tivoli (14). Purtroppo nell’archivio diocesano di Tivoli sono presenti poche e insignificanti notizie riguardanti il paese; perciò non è possibile ricostruire  con esattezza quanto accaduto alla chiesa in quel lasso di tempo storicamente importante caratterizzato dall’Unità d’Italia.
     Tuttavia, nell’archivio Borghese è conservata  la corrispondenza tra il cappellano e i principi. Da essa emergono notizie interessanti sui restauri del 1856 effettuati nella chiesa su commissione del ministro del culto: sostituzione degli infissi delle finestre, restauro degli stucchi e dell’altare maggiore, stabilizzazione della parete fessa da capo a fondo (15).
     Viene inoltre menzionato un pavimento in travicelli e tavole. Questa particolare struttura sembrerebbe essere un solaio con vano sottostante, piuttosto che un pavimento di un piano terra.           Solitamente infatti nelle chiese vengono usati, per la pavimentazione cotto o pietra. Il legno, materiale più leggero, contraddistingueva i solai.
     Quando, nel 1860, sono invase le province dell’Umbria, anche Orvinio viene occupato e con regio editto furono spogliati i Benefici assenti del possesso e di frutti dei loro benefici.
     Nel novero di questi era compresa anche la chiesa di San Giacomo. Essa divenuta possesso del Demanio Italiano, viene destinata prima a quartier militare e poi a granaio. Il mal utilizzo della chiesa  e la poca cura fanno si che  essa si degradi: viene compromessa la stabilità di una parete, si rovinano gli stucchi, sono danneggiati gli affreschi, viene scalcinato il pavimento, il fuoco brucia le finestre e il fumo annerisce le pareti. La chiesa così mal ridotta, rimane inutilizzata come tale in attesa  di un restauro e della riapertura al culto. Solo nel luglio del 1873, il cappellano viene richiamato al possesso del beneficio con diritto di riscuotere alcuni canoni arretrati, debitore il Governo.
     Il primo impegno che si assunse il cappellano è quello di fare da tramite tra la famiglia Borghese e il Governo Regio per lo svincolo della Cappellania (16).
     Nel 1892, purtroppo, lavori effettuati in una stalla accanto alla chiesa, svolti scavando fino alle fondamenta della stessa, provocano il crollo della stessa, l’abside e la facciata (17).
     A crollo appena avvenuto, l’ing. Monte di Poggio Moiano, capita per caso ad Orvinio e ingannato dalle belle linee della chiesa ne attribuisce  erroneamente la paternità al Bernini.

     La certa datazione dell’edificio (1611), tuttavia, consente di escludere che sia stato progettato dall’insigne architetto allora soltanto tredicenne (1598-1680).
     Il 17 novembre 1892 la famiglia Borghese rientra in pieno possesso della chiesa ed il giorno seguente essa viene venduta al sig. Tani con l’obbligo di restaurarla per restituirla al culto (18).
    Nei primi del novecento  avvengono i restauri, come si vede da una cartolina conservata  nel Comune del paese (19): vengono risistemate la pavimentazione, l’altare maggiore e l’altro altare addossato alla parete in comune con la sagrestia; è ricostruita  la parete sinistra con il suo altare e tutte le relative decorazioni (20).
     La famiglia Tani, proprietaria anche del palazzo  adiacente alla chiesa , aggiunge un livello e lo adibisce a salone della propria abitazione: il tetto ora raggiunge la sommità della facciata. La porta della sagrestia viene murata e abbattuto il campanile.
     Sotto il piano della chiesa viene sistemata una cantina (21).
     Per questi interventi il sig. Tani chiede appoggio finanziario alla famiglia Borghese, alla quale ha intenzione di dedicare un altare (22).
     Viene risistemata  anche la pavimentazione che però non è giunta ai giorni nosrri; prima dei restauri iniziati in questi anni, infatti, era presente solo il massetto di  cemento.
     Il terremoto del 1915, la successiva mancata manutenzione e le intemperie provocano danni che si stratificano nel tempo.
     Nel 1936 il tetto crolla e i due tratti di muri perimetrali laterali al prospetto subiscono lesioni di notevole entità, dipendenti dal cedimento delle travi in legno sulle quali è impostata la muratura del primo piano (23).
     Solo due anni dopo viene ricostruito il tetto, ma a causa degli ingenti problemi finanziari della famiglia Tani, la chiesa viene venduta alla famiglia Velini (24)
     Prima dei restauri di questi ultimi anni, la chiesa si presentava come un locale unico: il solaio, che divideva l’ambiente sacro (il piano terra) da quello privato (il primo piano), era stato abbattuto prima del 1950, per cause a noi sconosciute.
     Un atto di pignoramento del 1950 custodito nella Conservatoria di Rieti testimonia che la chiesa è stata usata come falegnameria e magazzino, fino a quando non è stata affittata alla Pro loco del paese.
     Questi usi impropri del bene hanno contribuito, insieme alla mancata manutenzione ordinaria e straordinaria, alla rovina degli affreschi, degli stucchi e dell’intera struttura.
Solo nel 2002 l’edificio è stato venduto al Comune, che si occupa ora dei restauri (26)


1 – Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis Mortui, 1781, p.525.
2 – Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 152, f.72, 1834
3 – Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis Mortui, 1781, pp.18-19.
4 – Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 152, f.72, 1772.
5 – Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis Mortui, 1781, p. 535.
6 – A. Fabriani, Notizie varie su Orvinio, , ms, Orvinio, 1939, dsc. A cura di F. Accadia, Orv., 1990.
7 - Biblioteca Corsiniana, Acta Sacrae Visitationis Canis Mortui, 1781, p 539.
8 – Ibidem, pp. 558-559.
9 – B. Fabian, Il Cavalier Vincenzo Manenti e il suo tempo: atti del Convegno, Orvinio, 14 ottobre 2000, Roma, Quasar, 2003.
10 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 150, f.1, 1834.
11 – Ibidem
12 – Archivio di Stato di Roma, Chirografi , reg 160, 1632, pp.39-44.
13 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 150, f.1 , 1834.
14 – Archivio Vescovile di Tivoli, Visite Pastorali 1852-1857.
15 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 156 f.299, 1873.
16 – Ibidem
17 -– Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 160, f.416, 1892.
18 –Archivio notarile di Roma, Regio Notaio Buttaoni, 18 novembre 1892
19 – AO, cartolina 1907.
20 - Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 158, f.365, 1909.
21 – B. Fabian, Il Cavalier Vincenzo Vanenti e il suo tempo, Atti del Convegno, Orvinio 14 ottobre    2000 , Quasar 2003.
22 - – Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, busta 158, f.365, 1909.
23 – Archivio di Stato di Rieti, Fondo Benefici Vacanti, busta 43  f.13 1936-1937.
24 – Conservatoria di Rieti, trascrizione 892, 2233, an 1939.
25 – Conservatoria di Rieti, trascrizione  95, an. 1950.
26 – Conservatoria di Rieti, trascrizione 5771, an. 2002.