09 dicembre 2014

Il Libro di Orvinio di Amaranto Fabriano (Edizione Gianni Forte)


Prefazione



Rendermi utile alla mia patria (Orvinio) è stato sempre mio continuo ed assillante pensiero. Ciò che modestamente ho fatto o che farò per realizzare,  se Dio vorrà, durante la mia fugace esistenza sulla terra, è dipeso solamente dall’amore sconfinato che ho sempre nutrito per essa.
Quale funzionario del Governatorato di Roma, ove presto ininterrotto servizio da ventotto anni presso l’Azienda delle Tranvie e Autobus del Governatorato di via Volturno 59-65, costretto a lavorare per vivere, ho avuto pochissimo tempo a mia disposizione per potermi dedicare ad indagini minuziose e ricerche di notizie interessanti la gloriosa e nobile, ma purtroppo negletta ed alquanto dimenticata Orvinio.
Non mi sono prefisso di fare la storia della mia città natale, perché tale compito potrà essere riservato ad altri, ma ho voluto soltanto fissare alla buona delle notizie che certamente saranno molto utili e serviranno di guida a colui che vorrà accingersi a compiti ben più vasti.
Affinché le descrizioni siano meglio illustrate unisco molte fotografie fatte prendere a bella posta.
Molte notizie sono sconosciute ai più, mentre ve ne sono delle altre del tutto inedite.
Relativamente ad Orvinio, non mi risulta che altri prima di me abbiano fatto o semplicemente tentato di compilare un lavoro non dico di indagini o ricerche approfondite, ma anche semplicemente superficiali.
Domando venia ai lettori se qualche cosa è stata omessa involontariamente, oppure se in qualche descrizione non sono stato molto chiaro, ma ho cercato di fare  del mio meglio per spianare la via a chi, nei tempi futuri, vorrà andare più oltre.
Una caldissima raccomandazione faccio ai miei successori, quella cioè di conservare nel miglior modo possibile o far conservare in qualche archivio di Orvinio (che non sia preda di mani rapaci o attacchi di persone abbiette ed incoscenti), il presente lavoro con tutti gli allegati, affinché i posteri possano attingervi tutte quelle notizie che possano riuscire utili e vantaggiose alla cara Orvinio.
Alla memoria dei miei adorati genitori Alessandro ed Angelina nata Clavelli, deceduti rispettivamente il 13 maggio e 11 agosto 1905, con profondo amore filiale, nel giorno del mio compleanno, dedico queste modeste pagine, scritte durante l’anno corrente.
Orvinio, 28 settembre 1939 – XVII dell’Era Fascista.


firmato Amaranto Fabriani fu Alessandro


Nato in Orvinio (in via Vincenzo Segni 49) il 28-9-1886
(allo stato civile 4-10-86) (ai registri Parrocchiali il 3-10-86)










Da Orvinium ad Orvinio

Orvinium di origine sicula è stata una delle più belle e più importanti città dell’antica Sabina, a nessuna seconda delle maggiori o minori consorelle come Reate (Rieti) patria di Terrenzio Varrone – Momentum (Mentana) – Eretum (Monterotondo) – Cures (Corese) patria di Numa Pompilio, genero di Re Tito Tazio, Anco Marzio e Tito Tazio – Amiternum (Amiterno) – Forum Novum (Vescovio) – Carseoli (Carsoli) – Teate (Chieti) – Corfinio (Sulmona) – Frentana (Francavilla) – Palatium (S.Giovanni Reatino) – Aspra (Casperia) – Ascra (Ascrea) – Anazzano (Lanciano) – Preneste (Palestrina) – Trebula (Montorio Romano) – Vesbula (Morretta o Pietra Demone) – Sema (presso Poggio Moiano) – Mefula (Scandriglia) – Cursula (Moggio) – Marruvio (Morro) – Vazia (Campo Laniano) – Lista (prossima a Rieti) – Thora (S.Anatolia di Castel di Tora) – Cutilia (pressp Paterno) – Pitinium (presso Aquila) – Regillo (presso Mompeo) patria di Appio Claudio – Cameria (Palombara) – Falacrine (presso Cittàreale a dodici miglia da Amiterno) patria dei Flavi – Nursia (Norcia) – Tibur (Tivoli) – Antemnae (Andenne) – Fidene (Castel Giubileo) e tante e tante altre.
La città Capitale dell’antica Sabina era Amiternum (Amiterno) situata a circa cinque chilometri da Aquila.
Marco Terrenzio Varrone loda Orvinium per la sua ampiezza e nobiltà in cui ancor si vedeano i fondamenti delle sue muraglie, i sepolcri di antica costruzione con i loro recinti sulle alture dei colli ed un tempio molto antico di Minerva nella sua rocca, dove sorge l’attuale Castello ora proprietà del Senatore Filippo Cremonesi – Ministro di Stato .
 Dionisio di Alicarnasso nei riguardi di Orvinium così si esprime:
Città quant’altra mai illustre, grande e magnifica, imperocché si scorgono i fondamenti delle mura ed alcuni sepolcri di struttura antica e le divisioni dei sepolcri disposti lungo dei terrapieni, sulla Città vi sta un antico tempio di Minerva ed il tempio di Atena eretto sull’Arce”.
Il Guattani (Monumenti Sabini, volume III, pag.92) della Città di Orvinium così scrive :
sono ivi sepolcri, canali sotterranei scavati a scalpello nella viva roccia calcarea; fu prima da Cincinnato e poi da Orazio Pulvillo quasi interamente distrutta”.
Come e quando avvenne la completa distruzione dell’antica Città di Orvinium si perde nella notte dei tempi, certamente però, prima del mille dell’Era Cristiana.
Secondo la tradizione, il suo antico nome fu deposto ai primi del secolo IX e sostituito con quello di Canemorto, allorché , nella Valle Nuzia, in prossimità della antichissima  e celebre Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano, le truppe di Carlo Magno riportarono una strepitosa vittoria sui Saraceni, facendone una vera strage.
Sembra che ai primi tempi il nome si pronunciasse in plurale e cioè Cani Morti, alludendo al massacro dei Saraceni.
Altra versione sarebbe, che il comandante delle truppe di Carlo Magno si chiamasse di nome Can oppure si riferiva alla qualifica del suo alto grado di comando (come oggi si direbbe Generalissimo o Maresciallo d’Italia) e che tale comandante venuto a morte, l’Amministrazione Civica di Orvinium, in segno di riconoscenza delle grandi e molteplici benemerenze acquisite verso la Città e per onorare degnamente e perennemente la memoria decise di sostituire il nome di Orvinium con quello di Can è morto, poi divenuto Canemorto.
Però la versione più diffusa, sempre secondo la tradizione, è la seguente.
Sembra che Orvinium fosse dominata da un crudele tiranno che era il terrore degli abitanti. Avvenutane la morte, il popolo ne avrebbe esultato dalla gioia, gridando: Finalmente il cane è morto! Il cane è morto!
Il nome di Canemorto è rimasto fino al 1863, epoca in cui fu ripristinato l’antico e glorioso nome di Orvinium italianizzato in quello di Orvinio (Deliberazione Consiliare del 29.11.1862 che provocava il Reggio Decreto 29 marzo 1863.
Orvinio fu per molti secoli sotto il dominio dei monaci Benedettini di S. Maria del Piano, passando quindi agli Orsini e da questi alla famiglia Muti. Più tardi fu dei Borghese con il titolo di Ducato.
Il Castello  negli anni più vicini a noi è stato anche proprietà del Comm.re Filippo Todini e poi Remo Parodi Salvo di Genova, il Barone Berlingeri ed aattualmente ne è proprietario il Senatore S.E. Filippo Cremonesi, Ministro di Stato e Presidente della Croce Rossa Italiana.
Orvinio sotto lo Stato Pontificio era sede di Governo con Residenza di Governatore; nel 1861 divenne Capoluogo di Mandamento nel Circondario di Rieti in Provincia di Perugia e comprendente i seguenti Comuni:
-Orvinio;
-Collalto Sabino con le frazioni di Ricetto e S.Lorenzo;
-Collegiove;
-Marcetelli;
-Nespola;
-Paganico Sabino;
-Petescia;
-Poggio Moiano con la frazione di Cerdomare;
-Pozzaglia Sabina con le frazioni di Pietraforte e Montorio in Valle (l’appellativo di “in Valle” prima si diceva “nella Valle”; gli è stato applicato perché prospicente l’antica Valle ...Muzia);
-Scandriglia con la frazione di Ponticelli (attualmente comprende  anche il Comune di Monteleone
  Sabino con la frazione di Ginestra)

Fino al 31 dicembre 1840 è stata alle dipendenze della Curia Vescovile di Sabina e dal 1 gennaio 1841 è passata a quella di Tivoli da dove dipende attualmente.
L’attuale Orvinio sorge sulle rovine dell’antica Orvinium  e l’imponente Castello turrito si ritiene sia stato edificato sull’Arce dell’antica città sabina.
Notizie estratte dall’archivio dell’Ecc.ma Casa Corsini, desunte da un manoscritto redatto da un anonimo, probabilmente tra la fine del 18° e i primi del 19° sec. e sul quale si legge quanto segue:

“Esiste nella Valle Muzia l’antica e spaziosa chiesa  dedicata alla SS.ma Vergine sotto il titolo dell’Assunta, ora però volgarmente detta S.Maria del Piano. L’edificazione di questa Chiesa s’ignora, e sol si congettura possa essere stata fabbricata  da Carlo Magno, e però nel settimo secolo. E’ certo bensì che è stata posseduta e uffiziata longamente da P. Benedettini, che presso ad essa avevano il Monastero, di cui vi sono ancora le reliquie. Sebbene non sappia quando Eglino ne ebbero il possesso, pare possa dirsi, l’abbandonassero sul fine del secolo XV o sui primi anni del secolo XVI, giacché Leone X avendo alli 11 di maggio 1513 quello fa, che la ridusse ad Abbazia Secolare, dopo che i Monaci erano partiti, ab aevis, gravitate, et redditure diminatione.
L’Abbate Benedettino godeva i diritti Parrocchiali de’ quattro Castelli, che erano intorno, cioè Petescia, Montorio, Pozzaglia e Valle Bona (Canemorto non formava a quel tempo Comunità, ma era una piccola Villa).
Rovinate le fabbriche di Valle Buona, piacque a suoi abitanti stabilirsi in Canemorto, onde restò questo, come il Castello da cui ebbe l’origine, sotto la giurisdizione  di questa Parrocchia di S.Maria.
Partiti i Monaci, e conceduta l’Abbazia ad un Prelato, questi di Petescia, Montorio e Pozzaglia, formò tante Cure distinte, sgravandone se stesso, ed assegnò a rispettivi Parroci la metà delle decime del rispettivo Territorio. Volle solo per se ritenere la Cura di Canemorto forse, che luogo più prossimo alla sua Chiesa. Perché però non avesse il popolo il grave incomodo di trasferirsi  per le funzioni di S.Maria destinò a tal uopo la chiesa di S.Nicola esistente dentro la Terra, mai però a quella togliendo l’onore di essere prima Chiesa, Capo e Matrice della Parrocchia, ond’è, che S.Nicola è stato sempre detto :Unita Ecclesia Sancte Marie=Membram Ecc.le S.Maria=Ecclesia Filialis ed dependens”. 
In seguito all’avvenuto crollo delle Fabbriche di Valle Bona i suoi abitanti abbandonarono quel paese e si trasferirono nella quasi totalità in Orvinio ad eccezione a qualche famiglia che prese dimora a Civitella e Porcili (oggi Percile) Quando avvenne ciò? Cercherò di stabilirlo il più esattamente possibile.
Premesso che  nel 1513, come risulta dal surriportato documento con notizie desunte dall’Archivio Corsini, Orvinio non faceva Comunità, ma era una Villa (Castello e sottostante primo nucleo di case) mentre il Castello di Vallebona esisteva al pari di quelli di Petescia, Montorio e Pozzaglia, pertanto l’esodo degli abitanti di Vallebona deve essere avvenuto esattamente dopo il 1513.
Poiché l’attuale Chiesa di Vallebona è stat costruita nel 1643, quando l’abitato di Vallebona era stato già distrutto, si deve ritenere quindi che tale esodo sia stato effettuato dopo il 1513, ma prima del 1643.
Vediamo ora se è possibile ridurre ancora tale distanza.
Se la casa in Orvinio dove nacque l’insigne pittore cav. Vincenzo Manenti è compresa nel gruppo di queste fabbricate in Orvinio dagli ex abitanti di Vallebona, si deve ritenere per certo che ciò avvenne tra il 1513 e il 1600, anno di nascita del cav.Manenti.
Stabilito inequivocabilmente il periodo di fusione fra gli abitanti di Vallebona e quelli di Orvinio, troviamo nel periodo compreso fra le due date (1513-1600) l’atto di nascita del nuovo nucleo di Orvinio comprendente via Segni da Porta dell’Arco a Porta Romana, via del Giardino dal portone n.14 fino a Piazza Vittorio Emanuele III, corso Vincenzo Manenti da via Ripetta a Porta Romana, le due porte suddette e il Borgo compreso fra la salita del Borgo e via Nuova ora Cesare Battisti.
Nello stabilire il nuovo perimetro di Orvinio (il vecchio sarà descritto in seguito) fu tenuto certamente conto della sua possibile difesa forgiata in modo tale da rendere  impossibile o quasi la sua espugnazione da chiunque avesse tentato di assalirla dall’esterno.
Procediamo quindi lungo la sua linea di difesa: In Piazza Garibaldi guardando verso il Corso
Manenti, a pochi metri di distanza, tanto a destra che a sinistra nella Porta Romana (fig.2)
Esistono due massicce torri di difesa (fig.3). Ricordo che quella di destra era più bassa dell’altra e la sopra elevazione dell’ultimo piano fu fatta costruire dalla proprietaria tale Ragaglini Maria circa trentacinque anni or sono; nulla posso dire a riguardo delle funzioni che detta torre esplicava, in quanto il numero esterno è coperto da intonaco esistente da vecchia data e quindi l’osservazione è impedita onde accertare se vi fossero o meno, feritoie per bocche da cannone e archibugi.
La torre di sinistra invece, che trovasi in asse con la salita del Borgo era una autentica fortezza.
Ricordo di averla veduta circa quaranta anni or sono, prima che fosse profanata con l’apertura della porta a piano terra e con la stabilitura esterna dal proprietario del piano terreno Attilia Luigi, nella sua imponente interezza come ce l’avevano tramandata i costruttori.
A circa due metri da terra, disposte intorno alla torre e alla stessa altezza, esistevano quattro bellissime feritoie simmetriche per bocche da cannone. Una o parte di essa, certamente è scomparsa con la non mai abbastanza deprecata apertura della porta suddetta; basterebbero pochi colpi di piccone per togliere l’indesiderata stabilitura onde vedere riapparire le feritoie nella loro maestosità ed imponenza. Non ricordo bene se nei due piani superiori esistessero feritoie per fucili; ritengo però che vi fossero effettivamente.
Verso la sommità della torre, ed all’ingiro di essa a mò di cornicione, esistevano delle mensoline ora scomparse ed ignoro quale fosse stata la loro funzione.
Inoltre ricordo bene di avere veduto bene l’attuale tetto che se non sarà quello originale, sarà certamente stato rifatto identico ad esso e con lo stesso materiale.
Nella dannata ipotesi che i nemici che avessero attaccato Orvinio in quel punto fossero riusciti a superare la Porta Romana, i difensori potevano far fuoco d’infilata da una feritoia, esistente tutt’ora  a bocca quadrata di circa centimetri dieci di lato; detta feritoia è stata inserita nella terza e quarta bugna dalla parte destra dello stipite bugnato del primo portone a sinistra sul Corso  Manenti  entrando  da  Porta  Romana  contrassegnato  col  civico   numero  due   e prolungantesi a piramide tronca attraverso il muro avendo per base l’interno della casa (fig.4).
Proseguendo a sinistra il muro perimetrale esterno dei fabbricati fronteggianti Piazza Girolamo Frezza (dove trovasi il monumento dei Caduti in guerra 1915-1918, opera dello scultore Tamagnini di Perugia (figg.5-6-7-8) fino ad incontrare il muro di cinta del Parco del Castello, fungeva magnificamente da muro di cinta, in quanto era privo di porte, perché quelle che vi sono attualmente sono state aperte posteriormente ed in un lasso di tempo più vicino a noi.
In quell’epoca, ai locali a pianterreno di detti fabbricati, si accedeva dall’interno dell’abitato.
La rampa con le arcate lungo la via della Passeggiata, con la soprastante strada che da Piazza Girolamo Frezza immette al Parco del Castello (fig.5) è stata costruita nella seconda metà del secolo scorso dall’Ecc.ma Casa Borghese.
Antecedentemente il muro di cinta del Castello s’innestava con il fabbricato delle Vecchie Carceri.









La linea difensiva seguiva l’andamento del muro di cinta del Parco del Castello fino al Torrione per poi innestarsi ai fabbricati lungo la Piazza del Sole fino a raggiungere la Porta Vecchia ora demolita (fig.10). Sottostante a via della Passeggiata, a pochi metri in basso e a destra del Torrione, esiste ancora bene  conservato fabbricato a forma rettangolare quasi quadrata ad un solo piano coperto con tegole comuni e che era adibito quale torre di difesa posto in posizione eminentemente strategica.
Verso la sommità si notano delle feritoie per bocche  da cannone su tre lati (una per facciata) escluso quello verso Porta Vecchia che forse anche tale facciata  ne era munita probabilmente 



abbattuta con le aperture praticatevi in seguito (fig.9)
La Porta Vecchia era addossata  ad un’altra torre di difesa (fig.10) esistente attualmente e bene conservata  che congiunge Piazza del Sole con via degli Archi, ora Vincenzo Segni, soprastante l’attuale abbeveratoio detto “delle Coste” o “Mucchio dei Porci”.
Anche in detta torre si notano delle feritoie per bocche da cannone e archibugi a tutte le quattro facciate (fig.10-11-12). Da questo punto i muri perimetrali esterni dei fabbricati lungo la via Segni fino alla Porta dell’Arco  fungevano da muro di cinta come quelli in Piazza Girolamo Frezza; le porte attualmente esistenti in tale tratto sono state aperte posteriormente.
Un muro di cinta univa la porta dell’Arco (fig.13) lungo l’attuale via Segni fino a raggiungere la torre di destra di Porta Romana continuando e costituendo con i loro muri esterni il tratto terminale della linea di difesa.
Oltre a ciò, contribuiva efficacemente la poderosa difesa del Castello e ben a ragione gli Orviniesi che hanno vissuto in quell’epoca potevano essere ben sicuri ed al riparo da qualsiasi attacco nemico sferrato dall’esterno.
La porta del Castello era munita di ponte levatoio; esternamente si notano (fig.14) in basso fra gli stipiti e la soglia quattro grandi e massicci anelli di ferro, dove giravano i cardini del ponte stesso e nel muro, soprastante il portone, due aperture per il passaggio delle catene che servivano per alzare ed abbassare ilponte stesso.
Probabilmente innanzi al portone ci doveva essere un profondo fossato, il cui passaggio era superato attraverso il ponte levatoio quando era abbassato. A fianco del portone, tanto a destra che a sinistra, vi sono due feritoie simmetriche per bocche da cannone con soprastanti relativi spioncini.
Subito a destra ad angolo vi è una torretta da difesa (fig.15 e 16) ed in essa si notano delle feritoie per fuoco di fucileria delle quali, due nella facciata in linea con quella del portone, una prossima all’angolo di dstra, mentre l’altra trovasi nella facciata che guarda verso via della Passeggiata (ora Quattro Novembre).
Esse sono state ricavate dal punto di vista strategico in quanto sono prese d’infilata tutte le strade circostanti.
Proseguendo lungo il muro di cinta del Castello, in via Quattro Novembre a sinistra ed in prossimità del portone distinto col civico n.6, il muro di cinta fa un angolo e nella sua rientranza si notano due feritoie per bocche da cannone (fig.17) sistemate ad angolo retto in modo che una, ora ridotta a finestra, dominava l’area di fronte, mentre l’altra prendeva d’infilata la strada stessa verso il Torricello.
Proseguendo ancora oltre e giunti di fronte al n.35 della stessa Via, il muro del Castello forma un altro angolo e colà esistono altre quattro feritoie a diverse altezze, delle quali, due per bocche di cannone e due per fucileria (fig.18).
Giudichi da se stesso il lettore se con tale formidabile sistema di difesa era possibile avventurarsi a cuor leggero osando di espugnare la piazzaforte di Orvinio; qualsiasi testa calda prima di tentare la problematica avventura doveva riflettere molto seriamente.
Prima che l’attuale Orvinio si ingrandisse in seguito alla fusione dei suoi abitanti con quelli di Vallebona che avevano abbandonato il proprio abitato, era composto dal Castello e dal piccolo nucleo di abitazioni ad esso sottostanti.
Anch’esso era munito di mura di cinta e la line, partendo da un punto qualsiasi per esempio da via della Passeggiata (angolo Piazza Girolamo Frezza) seguiva presso a poco il seguente andamento.
Siccme in tale epoca l’ingresso al Parco del Castello in Piazza Girolamo Frezza non esisteva, il muro di cinta del Parco proseguiva in direzione dell’attuale via Umberto I (già del Giardino) innestandosi con le mura del fabbricato delle carceri rimanendovi incluso nella parte interna anche il portone di esse (n.16). fabbricati, in via UmbertoI, a cominciare dal portone n.14 (comunemente detto del Granarone) andando verso Piazza Vittorio Emanuele III sono di epoca posteriore. Guardando la facciata di fronte al portone n.14 e precisamente fra i portoni n.15 e 17 all’altezza del primo piano in prossimità di una minuscola finestra (fig.19) si nota ancora benissimo il punto dove era attaccato il muro di cinta. In quei paraggi e probabilmente in corrispondenza del portone principale del Castello doveve esserci probabilmente inserita una porta ora scomparsa. Il muro di cinta piegava verso sinistra per riallacciarsi col numero di cinta del Castello verso via della Passeggiata (ora 4 Novembre). Infatti in questa strada al primo piano della facciata fra i portoni n.29 e 31, in prossimità di una finestra, si nota benissimo anche quì dove era attaccato il numero di cinta (fig.20).
Da quì l’andamento dello stesso si svolgeva verso Piazza del Sole per poi innestarsi con il complesso di Porta Vecchia. Anche nella facciata della Vecchia Giusdicenza e precisamente quella tra via degli Orti ed il portone segnato col n.20 in Piazza del Sole, fra il primo e il secondo  piano e precisamente sopra la targa indicatrice della piazza, si nota benissimo dove era inserito il quel punto il muro di cinta ora scomparso.(fig.21)
Porta Vecchia era inserita nel complesso di una massiccia torre di difesa a forma quadrangolare ancora esistente e bene conservata. In detta torre a varie altezze si notano feritoie a tutte quattro le facciate e precisamente: due da cannone a quella che guarda verso Piazza del Sole (fig.10 dove si nota bene la spalletta di sinistra della porta Vecchia scomparsa), quattro da cannone (una delle quali murata) e quella che guarda verso le Coste (fig.11) due da cannone alla terza facciata (una è murata)(fig.12).
Della quarta e precisamente quella che guarda verso la Porta dell’Arco ne sporge solo una piccola parte formando angolo col fabbricato su cui è appoggiata la torre stessa.
Ebbene anche a questa facciata esistono due feritoie per bocche da cannone, una al primo piano ed una al secondo piano (entrambe murate) mentre al terzo ne esiste una per archibugieri (fig.12).
Da questa  facciata si prendeva d’infilata via Vincenzo Segni,
Anche  per la cinta primitiva contribuiva efficacemente il muro di cinta sia del Castello che del Parco alla difesa del primo nucleo di Orvinio .


NB.  Accertamenti postumi.
Risulta che il Tribunale (comunemente chiamato Curia) del Governo di Canemorto, nel 1583 già era passato dagli Orsini ai Duchi Muti, mentre quello dai Muti ai Borghese avvenne dopo il 1625.
Sotto i Muti il Capo della Curia aveva il titolo di “Governatore e Vice Duca” , mentre  sotto i Borghese quello di “Uditore”.
A quell’epoca i paesi sottoposti alla Baronia di Collalto Sabino non facevano parte del Governo di Canemorto, mentre sotto la giurisdizione di questo, fra gli altri, erano compresi anche i seguenti abitati: Orvinio, Scandriglia, Ponticelli, Poggio Moiano, Cerdomare, , Pozzaglia Sabina, Montorio della Valle, Pietraforte, Petescia, Poggio Nativo, Castel Vecchio (oggi Castel di Tora), Colle Piccolo (oggi Colle di Tora), Vallinfreda, Percile, Licenza, Civitella, Viavaro, Roccagiovine.
Sulla via Salaria esiste un ponte (all’altezza circa di Nerola) e nel parapetto di destra, andando verso Roma, troneggia una grande lapide in pietra indicante che fino lì si estendeva la giurisdizione del Governo di Canemorto.
Le condanne che poteva infliggere la Curia di questo erano le seguenti:
1)     pena di morte;
2)     galera a vita;
3)     galera a tempo;
4)     multe;
5)     esilio;
6)     tratti di corda;
7)     la catena infame o berlina.
Le pene inflitte di cui ai nn.1 e 2 portavano come conseguenza la confisca totale o parziale dei beni.
Il condannato alla pena di cui al n.5, veniva esiliato o dal solo Stato di Canemorto o da quello ecclesiastico a seconda della gravità della mancanza commessa.
Le sentenze di morte venivano eseguite mediante impiccagione.




















 










 

 

 




S. Maria del  Piano





La Chiesa e Abbazia di S.Maria del Piano dedicata alla SS.ma Vergine sotto il titolo dell’Assunta fu costruita in località Valle Muzia nell’anno ottocentodiciassette (817) d.c. per ordine di Carlo Magno in seguito alla strepidosa vittoria riportata dalle sue armi contro i Saraceni , dalla strage dei quali Orvinium prese il nome di Cani morti (poi Canemorto) e quindi di nuovo Orvinio.
Nel supplemento al n.42 nel giornale “Le notizie del Giorno” del 20 ottobre 1842 si legge: “...Vasto Tempio edificato per ordine di Carlo Magno nell’817, di quà dal rivo (fosso di S.Maria) che divide dagli altri il Territorio di Canemorto lungi un miglio dell’abitato verso l’oriente....”  .
Anche la persona più profana rileva, sia dal tempio che dalla torre campanaria come gli alti cocci  ivi impiegati, siano provenienti certamente da altri edifici di epoca romana.
Nella convinzione, per non dire certezza, che tali blocchi appartenevano ad edifici ormai distrutti, dell’antica città di Orvinium che certamente doveva sorgere in quei paraggi, probabilmente dove è l’attuale Orvinio; infatti l’attuale Castello di Orvinio si ritiene sia stato costruito sopra l’Arce dell’antico Orvinium.
Sulla facciata della Chiesa (fig.41) in alto a sinistra e precisamente sotto il primo archetto fra i capitelli delle prime due lesene,  è incastonata una piccola pietra di marmo bianco con la seguente iscrizione che certamente si riferisce ad un restauro “Bartholomeus hoc op fieri fecit 1219”.
Sotto un altro archetto è incastrata un altra pietra (fig.42). Come ho suesposto la Chiesa era dedicata all’Assunta, tanto è vero, che fino ala prima metà del secolo scorso, il 15 agosto di ogni anno (festa dell’Assunta) gli abitanti di Orvinio si recavano là processionalmente e la festa era allietata da una fiera comunemente detta “della nocchiata” perché intervenivano numerosi venditori di nocchie (nocciole).
L’Abbazia era retta da Monaci Benedettini , aveva una rendita vistosa, corrisposta non solo da Orvinio, ma da Pozzaglia, dalla Pietra, Vallinfreda, Montorio, Petescia, Pietra Balle, ...da Salce, Monte S.Maria e Rieti.
Data la sua grande importanza, nei secoli scorsi (come risulta anche dall’archivio del Seminario di Magliano Sabino), era autorizzata anche a coniare monete – in merito sarebbe bene esaminare la grande raccolta di monete (che si dice la più completa del mondo) esistente nel Palazzo del Quirinale  a Roma e di proprietà del nostro amato sovrano Vittorio Emanuele III.
Nel contempo consultare la grandiosa opera ricca di molti volumi (finora ne sono stati stampati 18) illustrante la suddetta collezione di monete del Re Imperatore alla compilazione della quale si dedica con amore il nostro sovrano primo numismatico del mondo.
Dopo tanto splendore, la prima calamità che si abbatté su di essa, fu nel periodo napoleonico; la Chiesa con l’Abbazia furono demaniate, i suoi Monaci dovettero rifugiarsi presso altri Monasteri dell’Ordine e dopo la morte dell’Abate Commendatario, ultimo di essa possessore, Ecc.mo Sig. Caffarelli Canonico Lateranense, la Chiesa rimase abbandonata e le rendite che si fossero esatte per quindici anni dopo la morte del suddetto Abate Caffarelli, erogate allo scopo di ricostruire ampliata, la nuova Chiesa Abbaziale e Parrocchiale di Orvinio sotto il titolo di S.Nicola di Bari, che fu infatti inaugurata il 18 e 19 settembre 1842.
Nella prima metà del secolo scorso crollò una parte del soffitto della unica navata (formato da incavallature di legno visibili e embrici di terracotta); successivamente, a brevi intervalli dal primo, seguirono altri crolli.
Nel 1855, mentre in Italia infieriva il colera, Orvinio subì la stessa tragica sorte; in tale occasione e dato l’enorme numero di decessi, per misura igienica, essendo proibito di continuare il seppellimento dei cadaveri nella Chiesa dell’abitato, il Comune di Orvinio decise il seppellimento dei colerosi nella Chiesa di S.Maria del Piano.
Mi raccontavano dei vecchi che avevano vissuto in quell’epoca, che i colerosi deceduti venivano posti dentro le casse di legno e cosparsi di calce viva onde impedire il propagarsi del terribile morbo. Più di un caso si verificò che il coleroso, dopo essere stato incassato e cosparso di calce viva, fu portato a S.Maria del Piano che ancora non aveva reso l’anima a Dio.
Verso il 1870 il Comune di Orvinio, non avendo i fondi per costruirsi un camposanto, ottenne dall’Autorità Prefettizia di poter seppellire liberamente dentro la Chiesa di S.Maria del Piano.
In tale occasione fu tolta la porta di legno e il vano murato, tolto il resto del tetto della unica navata, scoperchiate le due cappelle e divelto il mattonato.
Come si intuisce, l’edificio già fatiscente si avvia rapidamente alla completa rovina.
Nella seconda metà del secolo scorso anche la torre campanaria, rimasta quasi intatta, fu colpita dalla folgore che demolì il tetto ed una parte del muro di vertice di essa (fig.33).
All’altezza della cella campanaria, su ciascuna delle quattro facciate vi è una finestra trifora formata da tre archetti;  quello centrale è poggiante su due colonnine di marmo con capitelli a stampella.
Nei piani sottostanti altre finestre bifore e monofore.
Il 19 settembre 1885 il Comune di Orvinio stipulava il contratto di appalto relativo al nuovo camposanto che fu subito costruito a forma rettangolare, in prossimità della chiesa di S.Maria del Piano e, precisamente a sinistra a filo della strada venendo dalla parte di Orvinio, a circa 50 metri dalla facciata principale di detta Chiesa e nomato “Camposanto delle Fargne”.
Appena ultimato, allorché si procedette alla inaugurazione della prima salma (certo Bernabei Michele, soprannominato Michelitto) fu riscontrato che nella fossa ci nasceva l’acqua..
Da tale fatto, resa impossibile la sepoltura nel nuovo Camposanto, fu continuata dentro la Chiesa di S.Maria del Piano, fino all’anno 1906, epoca in cui fu inaugurato il nuovo cimitero,  situato sulla strada carrozzabile che conduce a Percile, e precisamente a Km.1 da Orvinio in località Petriane.
Allorché fu stipulato il contratto per la costruzione del Camposanto delle Fargne, sembra che l’Amministrazione Comunale dell’epoca (sindaco Morelli Augusto) avesse concesso all’appaltatore Amici Nicola, di poter demolire la facciata del prossimo tempio di S.Maria del Piano, onde poter utilizzare il materiale ricavato, per la costruzione del prossimo sacro recinto.
Sembra impossibile tale assurdità ma purtroppo è verissimo, perché agli atti del Comune di Orvinio due lettere originali: una del Principe Don Paolo Borghese in data 1 dicembre 1884, l’altra in data 30 novembre 1884 al n.387 di protocollo della R.a Prefettura di Perugia, indirizzata al sindaco di Orvinio, con le quali si chiedono schiarimenti e si proibisce nel modo più assoluto il non mai abbastanza deprecato disegno di abbattimento della facciata dell’illustre monumento.
Attualmente, benché non siano passati molti anni dalla costruzione del Camposanto delle Fargne, non esiste più traccia di muratura del recinto sacro, perché senza dubbio la malta adoperata, è stata di qualità scadente; si racconta, che alla pochissima calce adoperata, anziché pozzolana o sabbia, fu impastata dell’autentica terra.
L’unico cancello di questo Cimitero è stato posto in opera nel nuovo Camposanto delle Petriane, nella facciata che guarda Vallebona e precisamente in fondo a quella specie di galleria dove è sistemato l’ossario ed i loculi provvisori.
Torniamo alla Chiesa di S.Maria del Piano.
Nei secoli scorsi vi sono state varie vicende e litigi, alle volte anche cruenti, fra gli abitanti di Orvinio e quelli di Pozzaglia, per il diritto di possesso del Tempio.
Verso l’anno 1849 gli abitanti di Pozzaglia si appropriarono del quadro della Madonna che troneggiava sull’Altare Maggiore.
Da tale fatto, il Comune di Orvinio, come contro partita chiese alle superiori Autorità di potersi appropriare dell’unica campana collocata sulla apposita torre (fig.33).
Fallite tutte le trattative bonarie, in via amministrativa, gli abitanti di Orvinio ai primi dell’anno 1849 si recavano in forza a S.Maria del Piano e, non ostante le energiche proteste di molti Pozzaglietti presenti, toglievano la campana e dopo averla portata a Orvinio, la issavano sulla torre campanaria della Chiesa Abbaziale di S.Nicola di Bari, collocandola sulla cella che guarda il tetto della Chiesa e precisamente al lato opposto della facciata della Chiesa stessa, nel piano sottostante a quello dove sono attualmente le campane, in quanto detto campanile, a quell’epoca era un piano più basso.
Tale fatto non poteva rimanere occultato ed il Preside di Rieti, con sua nota n.31 PS del 24 marzo 1849, stigmatizzando l’accaduto, ingiungeva al Priore dell’epoca (attualmente podestà) di consegnare la campana entro tre giorni deponendo contemporaneamente i Componenti la Civica Amministrazione; la revoca di tale provvedimento fu ottenuta solo dopo avere dato assicurazione di consegnare subito la campana.
Per la storia il Priore era Taschetti Marco.
Non essendo ancora costruita la strada carrozzabile “Orviniense”, la campana  scortata da fanti e cavalieri della prima Legione della Guardia Nazionale, per portarla a spalla da trenta uomini, da Orvinio fino all’Osteria Nuova, territorio di Frasso Sabina, passando nella strada di Vallebona, dove fu caricata su un carro che la portò direttamente a Rieti.
Esiste agli atti del Comune di Orvinio la ricevuta originale così concepita:

Repubblica Romana
n.3288                                                        Il Preside di Rieti
                                                                                                          Al Cittadino Priore di Canemorto
                                                                                --
La campana è giunta in Rieti ed è in deposito in un locale di questa residenza.
Tanto in replica al Vostro foglio del 10 corrente n.266 e Vi auguro prosperità e saluti.
Rieti 13 aprile 1849
 Aff.mo
                                                                                                       f.to Raffaele Feoli

Da tale epoca il Comune di Orvinio ha sempre lottato strenuamente per riavere la sua campana, ma inutilmente, perché le Autorità Superiori hanno sempre sostenuto che tale restituzione avrebbe potuto turbare l’ordine pubblico fra Pozzaglietti ed Orviniensi, essendo i primi contrarissimi a tale restituzione.
Si sappia che un acerrimo e temibile nemico del buon diritto di Orvinio è stato un certo Negri Enrico di Pozzaglia e segretario comunale di quel paese, deceduto molti anni or sono e più precisamente verso la fine del secolo scorso o i primi di quello attuale.
La campana fu prestata al Comune di Rieti in occasione che  in quel teatro civico si rapprasentava l’opera “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi.
Il Comune di Rieti, sollecitato da quello di Orvinio, rispondeva con nota n.2115 del 17 gennaio 1889, che nei locali del Teatro Civico esisteva realmente una campana, ma che si ignorava la sua provenienza, non solo, ma che il Comune di Rieti era depositario di essa.
Falliti tutti i tentativi per via amministrativa, il Comune di Orvinio per rientrare in possesso della campana stessa, conveniva in giudizio il Comune di Pozzaglia e credo che vi sia stata sentenza del Tribunale di Rieti (emessa dopo il 1894) favorevole al Comune di Orvinio; però la campana è sempre restata a Rieti. Si potrà riavere? Ogni buon Orviniense lo spera.
La Chiesa ed Abbazia di S.Maria del Piano fu acquistata dal Comune di Orvinio al Demanio dello Stato, per la somma di Lire 402,70 (quattrocentodue e centesimi 70) ivi comprese quaranta deciare di terreno adiacente al Tempio.
L’atto fu stipulato il 6 settembre 1869 a rogito Valentini Antonio di Petescia e firmato: per il Comune dal sindaco di Orvinio, sig. Vincenzo Segni, e per il Demanio dello Stato dal Ricevitore dell’Ufficio del Registro di Orvinio sig. Celentani Emilio; atto registrato in Orvinio il 18 ottobre 1869 al volume 4 n.60 foglio 8 Atti Pubblici – Esatte £.14,30. – Agli atti del Comune di Orvinio risulta (ordine n.32) il 24 aprile 1854 fu pagato dall’Esattore Comunale di Orvinio, sig. Camillo Tani, a Pietro Bonaiuti falegname scudi due per l’acquisto del legno occorrente alla costruzione della porta si S.Maria del Piano (ordine n.54) (come sopra) scudi due  e baiocchi cinquanta per lavoro da falegname.
Dato lo stato fatiscente dell’intero edificio, il Comune di Orvinio trovandosi nella impossibilità di effettuare i necessari restauri per mancanza di mezzi provvide a farlo dichiarare  Monumento Nazionale.
Lo Stato concesse un sussidio quindici anni or sono circa; infatti fu riparata e ricoperta la torre campanaria nonché murata la porta di accesso nell’interno.
Per mancanza di direzione e senza un minimo dì’arte, il tetto del campanile fu rifatto ad un solo piovente, anziché a quattro come era quello originale.
Per quanto però non sia stato fatto a regola d’arte, per ora la torre campanaria è riparata dalle infiltrazioni dell’acqua piovana; se si otterrà di restaurarla, allora si potrà ripristinare la copertura come l’originale.
Molti articoli in varie epoche e da diverse persone sono stati scritti per richiamare l’attenzione delle Superiori Autorità, specilmente quello del Prof.Lorenzo Fiocca pubblicato sul Bollettino d’Arte, edito dal Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione delle Belle Arti Anno V fascicolo XI del 30 novembre 1911) ricco di partecchie fotografie e pianta dell’intero edificio (fig.23) fino ad ora sono caduti tutti nell’oblio.
E’ inutile descrivere lo stato misero in cui si trova il sacro edificio; basti dire che dell’Abbazia sono in piedi in parte i muri perimetrali (fig.23-24-25-26) e qualche cosa dei muri divisori; il resto tutto a terra.
La torre campanaria, per quanto anche essa avrebbe bisogno di qualche restauro, allo stato attuale è bene conservata.
La Chiesa, come è detto sopra, è  tutta scoperchiata, ad eccezioe dell’abside che è coperta da una robusta volta; i muri perimetrali, benché sbocconcellati, ancora resistono.
E’ a terra la cappella di destra, prossima alla torre campanaria; sono crollati anche gli archi intorno al Presbitero. Intatto ancora il magnifico Altare Maggiore in marmo bianco; è scheggiato solo un angolo anteriore nel piano superiore.
Dal vertice della facciata ( che ancora si difende come può dalle ingiurie del tempo e dalla manomissione degli uomini dalle mano rapaci) è caduto il blocco di pietra dove era impiombata la croce di ferro e che ricordo di averlo veduto gettato in un angolo interno della cappella di dstra; speriamo che non sparisca e che si rinvenga intatto con tutta la croce come l’ho veduto io.
Sono caduti anche alcuni frammenti del rosone sopra la finestra della facciata principale e mi si riferisce che siano conservati nei locali del Comune di Orvinio.
A vedere S. Maria del Piano nelle condizioni in cui si trova, si stringe il cuore ad ogni buon cittadino e se l’auspicato restauro si farà attendere ancora, il secolo attuale sarà responsabile della rovina di si insigne monumento e chiunque che per caso si incontrerà a passare in quel luogo desolato, dirà:”una volta quì esisteva la splendida  e famosa Chiesa ed Abbazia di S.Maria del Piano”.
Il Governo Fascista che dedica le sue amorevoli cure al Patrimonio Artistico Nazionale, sono certo non permetterà lo scempio della completa rovina del Sacro Tempio.
Il seguente articolo , da me redatto, è stato pubblicato sul giornale di Roma “Il Giornale d’Italia”del giorno 3 dicembre 1938 XVIII E.F. e successivamente sugli altri quotidiani della Capitale “Il Messaggero”-“La Tribuna e Idea Nazionale” – “Il Popolo di Roma” nonché sulla rivista mensile “Latina Gens” anno XVII E.F. distinta con i n.1 e 2 Gennaio-Febbraio 1939.
Non deporrò le armi e non desisterò dalla nobile e santa battaglia da me ingaggiata, affinché l’auspicato e completo restauro di si insigne monumento divenga al fine realtà.
Volere è potere e umano è sperare nella definitiva vittoria  .










































Foto S.Maria e articolo


Accertamenti postumi. – Nel Regesto di Farfa risultano trascritti i due seguenti documenti nei quali si fa menzione di S. Maria del Piano e cioè:
Documenti 555 e 938 rispettivamente compilati negli anni 1026 e 1062 – Volumi III e IV – pagina 263 e 332 = Ritengo pertanto che se nel 1026 risulta esista fiorente S. Maria del Piano, data accettata, relativa alla costruzione di detta Chiesa, non può non essere  quella fissata nell’anno 917 d.c..
(Per altre notizie vedere Errata Corrige e Aggiornamenti a pagina 60 e seguenti del presente.)









































Fig.1-2 ora 22 e 23

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Veduta d’insieme

già 3

 

Già 5















 







Orvinio, Chiesa di S. Maria del Piano                Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Particolare della facciata                                              Particolare della finestra e della rosa
Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Muro destro della nave longitudinale

                                                                                             Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Capitello innestato al muro destro della nave longitudinale

Orvino, Chiesa di S.Maria del Piano

Veduta esterna dell’abside



Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano                            
Porta d’ingresso alla nave traversa

 

 

 

 



Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano

Fregi di trabeazione dorica innestati nella
Torre campanaria

Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano                          
Torre Campanaria


Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Fregio di trabeazione dorica innestato
Nella Torre Campanaria

 

 

 

 

 












Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Fregio di trabeazione dorica innestato nellaTorre Campanaria



Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano                           Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Occhio del muro destro del presbiterio                            Arco e corrispondenti semicolonne nella nave
                                                                                  traversa

 

 













Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Angolo d’incrocio della nave long. Con la traversa



















Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Campata destra della nave traversa.
Particolare della volta a crociera


                                    

                                                Iscrizione posta sulla facciata della Chiesa

Chiesa e abitato di

S. Maria di Vallebona

La Chiesa di Vallebona (fig.43-44-45) dedicata alla Beata Vergine sotto il titolo  della “Madonna di Vallebona” è stata edificata verso l’anno 1643, col solo contributo di elemosine elargite spontaneamente dagli abitanti di Orvinio.
Sorge al centro del vecchio abitato del paese di Vallebona.
Il primo sacerdote che l’ha presa in consegna come cappellano è stato un certo Fabri di Orvinio, il quale fu trasferito a Civita Castellana dove è morto verso il 1676.  
E’ a forma rettangolare con annessa casa con le abitazioni per il Custode o Eremita e per il Cappellano (attualmente vi risiede solo l’Eremita tale Timperi Augusto di Orvinio).
Vi si accede da una unica grande porta a stipiti di pietra sormontata da timpano, situata nella facciata  che guarda verso Orvinio; ai lati della porta vi sono due finestre quadrate poste all’altezza di circa un metro da terra e munite di robustissime inferriate.
Non si trascurò di provvederla di redditi stabili e ciò avvenne con tanto entusiasmo  che in breve tempo il reddito superò i cinquemila scudi romani.
Sull’Altare Maggiore (fig.48) si ammira l’antichissimo affresco della Vergine che non è stato dipinto in loco dopo la costruzione dell’altare attuale, ma l’intonaco appare segato e quindi certamente è stato tolto da un altro edificio precedente ora scomparso.
La Sacra Effige di S.Maria S.S.ma è rozzamente dipinta e rappresenta la Madre di Dio in atto di allattare il Divino Figliolo (fig.44-45-48).
L’epoca e l’autore di questo antichissimo affresco si perdono nella notte dei tempi, certamente  però esso fu dipinto da mano esperta quando la pittura era al suo inizio; lo dimostra il fatto che pochissimi colori sono in essa applicati.
Nell’abside esistono vari affreschi, opera del cav. Vincenzo Vanenti, insigne pittore orviniense; nella facciata di destra si ammira in grandi proporzioni, l’apparizione di un Angelo a S.Giuseppe, mentre questi è appoggiato al banco da falegname per annunciargli che la Madonna è madre di Dio per virtù dello Spirito Santo (fig.49).
L’affresco è molto sbiadito ed è prossimo a scomparire.
Nella facciata di fronte “Adorazione dei Re Magi”.
Questo affresco di identiche dimensioni a quello di fronte già descritto, ha risentito dell’influsso dell’acqua piovana che è filtrata attraverso il muro ed allo stato attuale, le figure non si distinguono quasi più e quindi non è stato possibile fotografarlo.
In alto a destra “La fuga in Egitto”. E’ un affersco meraviglioso sia per la realistica concezione che per il contrasto e la vivacità dei colori (fig.50).
Di fronte “La Vergine con Santi” (fig.51). Come vedesi dalla fotografia, non si distingue quasi più perché molto deteriorato.
Al centro della volta, entro una ricca cornice ovale di stucco “L’Assunzione di Maria Vergine” (fig.48).Nella lunetta in alto sopra l’Altare Maggiore (fig.48) l’affresco riproduce il Padre Eterno che stende sul mondo il braccio sinistro.
A metà della Chiesa esistono due altari: quello nella parete di destra sormontato da una tela  rappresentante la Visitazione (fig.54) opera del pittore Dino Mora da Caforno eseguita nell’anno  1932. Questa recente tela, tutt’altro che bella , è stata fatta in sostituzione di quella che esisteva precedentemente e che rappresentava lo stesso la Visitazione, ma essendo stata dipinta anche essa dall’insigne Manenti, era bellissima come tutti i suoi capolavori e che disgraziatamente è andata perduta. Della Visitazione del Manenti esiste una pessima riproduzione a fresco, fatta circa quaranta anni or sono, nell’altare di destra della Chiesa di S.Giacomo in Orvinio (fig.47) nella descrizione della Chiesa di S.Giacomo a pag 19B).
L’altare di sinistra che è situato di fronte a quello testè descritto, è sormontato da una  meravigliosa tela del Manenti; è danneggiata  nella parte centrale in alto essendone caduto un pezzo rettangolare orizzontalmente (fig.55), ma in generale è ancora  bene conservata..
Essa rappresenta l’apparizione della Vergine al Beato Stefano primo Eremita di Vallebona del quale si conserva un osso in un reliquiario della Chiesa Parrocchiale di S.Nicola di Bari di Orvinio.
Sul ligneo soffitto della Chiesa esistevano tre grandissime e stupende tele del Manenti contornate da cornici sagomate e riproducenti: quello verso la porta della Chiesa “Gesù che indica a S.Pietro la Porta del Paradiso, dopo avergli consegnate le chiavi (fig.52).
Al centro, di dimensioni più grandi degli altri due, “un Angelo che addita alla Vergine la venuta dello Spirito Santo”(fig.53).
Il terzo collocato verso l’Altare Maggiore, rappresentava S.Giovanni.
Il primo è ancora discretamente conservato; il secondo (al centro) è abbastanza deteriorato come si riscontra anche dalla fotografia (fig.53),; il terzo, invece, riferentesi, come sopra detto, a S.Giovanni, non esiste più perché qualche anno fa un muratore di Orvinio, nomato Petrucci Angelo, mentre lo toglieva per essere restaurato, non avendo disposte le cose a modo, lo faceva precipitare dall’alto della Chiesa e nella caduta sul nudo pavimento rimaneva completamente distrutto.
I visitatori della Chiesa di Vallebona, alzando gli occhi al soffitto, guardano con mestizia al vuoto, non facilmente colmabile, lasciato dal meraviglioso quadro andato distrutto, senza lasciare tracce di se.
Notevole un acqua santiera a piede, sul lato destro entrando, e gli stipiti della porta in fondo alla scala che conduce alla casa dell’Eremita, nonché quelli delle due porte (fig.48) che immettono alla Sagrestia retrostante all’Altare Maggiore che sono di bellissimo marmo di Cottanello.
Vi sono alcune vecchie pitture su legno o su tela, ex voti per grazie ricevute; una vecchia canna di archibugio ridotta in due pezzi.
Avvi pure  moltissimi quadri con cuori di argento ex voti, spadini di argento, vezzi di corallo, viere, ecc. anche essi offerti alla Miracolosa Sacra Immagine della Vergine S.S.ma di Vallebona.(fig.48)
Il cuore d’argento entro il quadro con cornice dorata e vetro a sinistra dell’altare maggiore, il primo in alto a destra verso l’altare e che vedesi nella fig.48, indicato dalla freccia, è stato da me donato alla Madonna per avere ricevuto indegnamente ben tre grazie da me accertate.
Altri bellissimi quadri ad olio su tela sono appesi nelle pareti della Sagrestia.
Ivi si conserva anche una bella tela molto antica, rappresentante S.Giovanni; essa sovrastava l’unico altare della Chiesetta dedicata a questo Santo, prossima a Vallebona; fu tolto nel secolo scorso  quando la Chiesetta con i terreni circostanti furono demaniati e portata a Vallebona.
Qualche anno fa il Parroco di Orvinio, Sarrocco don Salvatore, nativo di Siciliano, faceva ripulire la Chiesa di Vallebona.
Durante i lavori di raschiatura dl vecchio intonaco, si scopriva nella parete di destra, in prossimità della porta che immette alla scale che conduce alla casa dell’Eremita ed a circa metri due e cinquanta centimetri di altezza dal mattonato, un affresco delle dimensioni di circa un metro quadrato e che forse rappresenta un ex voto.
Ritengo che non sia stato eseguito da mano maestra, però una volta tornato alla luce, non era male conservarlo scoperto, anziché nasconderlo di nuovo sotto l’intonaco formatosi con la nuova imbiancatura della parete.
La campana attuale, del peso di circa quattro quintali, è stata rifusa perché la precedente si era rotta.
Verso la metà dell’anno 1898, la vecchia campana fu fatta precipitare dal campanile, dal lato che guarda verso il camposanto delle Petriane o meglio quello in linea con la parete sinistra della Chiesa, mentre la nuova ha risalito e preso il posto della vecchia entro la cella campanaria sopra un ponte di legno gettato sopra la strada che fiancheggia il lato destro della Chiesa dall’ingresso dell’orto dell’Eremita fino al tetto della Chiesa e quindi attraverso il tetto stesso, su cui erano state tolte le tegole, dentro il campanile.
L’ultima fusione è avvenuta alle 5,45 del giorno 25 agosto 1898 presente Antonio Tani di Orvinio nella fonderia dei F.lli Mari di Salle (Abruzzi).
Dopo la fusione fu trasportata in Orvinio il giorno 5 settembre successivo alle ore 6 ed appesa, per la cerimonia battesimale, a delle robuste corde legate nella catena di ferro che attraversa le spalle dell’arco della cantoria, antistante l’organo, della Chiesa Parrocchiale di Orvinio.
Fu battezzata da Mons. Pietro Monti, allora Vescovo di Tivoli, assistito dai Ministri :Valentini arciprete Valentino Diacono, Pietro Filizzola Sacerdote e Cappellano Rettore di Vallebona e dal cerimoniere Don Emilio Valeri.
Padrino il Comm.Filippo Todini fu Alessandro, madrina S.E.Elena Principessa Borghese con procura alla Madre Angelina suora delle Figlie della Croce.
Portata a spalla a Vallebona, dai fedeli Orviniensi, il giorno successivo della natività di Maria Vergine ed appesa al campanile lo stesso giorno.
In tale circostanza fu celebrata a Vallebona la Messa dallo stesso Vescovo Mons.Monti.
La campana attuale porta la seguente scritta: “Fusa dai fratelli Mari di Salle-A-1898
Il ceppo invece è stato rinnovato nell’anno XVI –E.F. dal falegname Frezza Goffredo di Orvinio.
Mio padre Alessandro Fabriani fu Bernardino nato nel 1836, mi raccontava di rammentarsi bene la fusione precedente della campana di Vallebona, fusione avvenuta a Vallebona stessa quando lui era giovane.
Il forno era stato costruito a ridosso della parete esterna sinistra della Chiesa (fig.43)  e precisamente quella in linea con la torre campanaria. Estenamente partendo dalla base del campanile e procedendo verso la facciata dell’ingresso alla Chiesa, si incontra un muro sporgente che riguarda l’altare, a sinistra entrando in Chiesa, dove è la tela dell’apparizione della Madonna al Beato Stefano (fig.55).
Tale sporgenza forma due angoli retti rispetto alla facciata della Chiesa; uno a sinistra verso il campanile, l’altro a destra verso la facciata della porta.
Ebbene il forno era stato costruito in quest’ultimo angolo; anche oggi si notano benissimo degli avanzi della costruzione del forno come vedesi dalle due fotografie (fig.43-47).
Mio padre aggiungeva che durante tale fusione i fedeli recandosi a vedere quell’inusitato spettacolo, facevano a gara per gettare nel crogiuolo a seconda delle proprie possibilità, monete di argento e di oro affinché la campana potesse risultare con un suono più argentino.
Il lunedì di Pasqua si fa una bella festa a Vallebona, ove si recano in gran numero gli abitanti di Orvinio e dei paesi circostanti. Colà si consumano largamente le ottime torte di Pasqua, salametti (specialità locali) uova sode, agnelli arrostiti ed altro, non escluse abbondanti libagioni di vino più o meno generoso.
I sacerdoti di Orvinio vi celebrano la S.Messa e la campana suona a distesa diffondendo con la sua grande bocca la sua squillante voce lungo le vallate in fiore a cui fa riscontro il festoso cinguettio degli uccelli mentre la dolce primavera fa notare la sua presenza.
Quest’anno tale giorno ricorreva il dieci aprile; fra gli improvvisati campanari, era salito sul campanile il giovane Alberto Desideri, il quale, volendo forse gareggiare in bravura di fronte ai suoi compagni, inferse maggiore impulso alla campana tanto da farla uscire dal castello di legno ove è appesa, e farla precipitare sopra la volta esistente alla base della cella campanaria.
Figurarsi lo spavento dei campanari in erba, i quali si calarono precipitosamente sul tetto della Chiesa, lo attraversarono fino alla grondaia sovrastante l’ingresso esterno della casa dell’Eremita e spiccando un mastodontico salto da quell’altezza, in direzione dell’orto dell’Eremita, si dileguarono.
Senza dubbio vi fu l’intervento Divino della Madonna di Vallebona, perché non solo non successe nessuna disgrazia alle persone, ma la campana per vero miracolo precipitò ai piedi del campanile.
Nella caduta si spezzò solo una gamba il piccolo Crocifisso che è fuso alla parete esterna della campana stessa.
Dopo qualche giorno alcuni volenterosi rimisero a posto il sacro bronzo.
Un’altra festa vi si celebra il 2 luglio, giorno della Visitazione.
Per tradizione, io pastori di buoi (detti comunemente  butteri o bifolchi) a piedi scalzi portano processionalmente da Orvinio a Vallebona, la Sacra Icone della Vergine delle Grazie, esistente  nella Chiesa Parrocchiale di S.Nicola di Bari.
In tale festa accorrono numerosi anche gli abitanti dei paesi viciniori.
E’ incredibile il concorso e la generosità dei devoti.
Frequenti sono le grazie che la miracolosa Madonna dispensa ai suoi fedeli devoti, facendo accrescere la devozione del popolo e la fiducia verso la Madre di Dio.
Il popolo di Orvinio ripone tutta la sua devota fiducia nella Vergine di Vallebona, per il sollievo delle sue sofferenze.
Si racconta che gli abitanti dell’ex paese di Vallebona, dopo aver abbandonato il proprio abitato si trasferirono ad Orvinio ed in tale epoca fu costruita da loro stessi la parte nuova dell’abitato di Orvinio.
Il paese di Vallebona andò in isfacelo e le mura diroccate divennero presto preda dei rovi e dell’edera.
Un giorno un pastore di Orvinio recatosi a Vallebona, armato di scure saliva su di un rudero allo scopo di tagliare dell’edera che lo ammantava onde poter far nutrire le sue capre.
Mentre menava un forte colpo per recidere un grosso ramo, fu scosso da un grido di donna, proveniente dal fitto fogliame, e nello stesso tempo si accorgeva che la lama della scure era intrisa di sangue. Lì per lì rimase allibito, ma poi fattosi coraggio, volle vedere cosa si nascondeva sotto l’edera.
Strappate le foglie che ricoprivano il muro, scoprì la Sacra Effige della Vergine S.S.ma che grondava sangue come persona vivente, da una ferita sul lato sinistro del labbro inferiore, precisamente dove era stata colpita dalla scure del pastore.
Anche oggi, dopo alcuni secoli, guardando la Sacra Immagine, si vede distintamente il labbro tagliato.
Il pastore corse subito ad Orvinio a raccontare la prodigiosa visione e tutto il popolo si portò processionalmente a Vallebona.
La Sacra Immagine fu tolta e portata nella Chiesa di Orvinio; dopo avervi celebrati dei solenni Vespri, in onore della Vergine S.S.ma, la sera fu chiusa la porta come al solito.
La mattina seguente, il sagrestano recandosi ad aprire la porta della Chiesa, rimase sorpreso nel vedere che la Sacra Immagine portatavi la sera precedente da Vallebona, era scomparsa..
Dato l’allarme ed effettuate delle pronte ricerche, la Sacra Immagine fu ritrovata a Vallebona, e precisamente nel posto primitivo dove fu scoperta dal pastore.
Si pensò subito che la Vergine S.S.ma non voleva separarsi da Vallebona ed allora fu deciso di costruire l’attuale Chiesa della Madonna di Vallebona, collocando nell’Altare Maggiore la Sacra Immagine scoperta dal pastore.
Nel suo libro “La città di rifugio dell’Abruzzo Aquilano” padre Domenico di Sant’Eusanio ci dice che altre due miracolosissime Immagini furono eseguite sul modello di quella di Vallebona, e ci racconta quanto segue: “Predicava le Sante missioni in terra di Scandriglia il cappuccino padre Giuseppe Antonio Lattanti da Trevignano, predicatore, ai suoi tempi, celeberrimo e zelantissimo, albergando in quei giorni in una casa di un pio benefattore, avvenne che una sera  il figlio di costui, bambino di appena otto mesi, avuta tra le mani un immagine di carta della Madonna di Vallebona, così strettamente se la teneva che a niun patto la volle ad altri consegnare se non solo a padre Giuseppe Antonio. Or costui   rimanesse  colpito dalla espressione dolce ed attraente della Vergine, o ravvivasse nel fatto del bambino qualche cosa di straordinario e quasi un avviso celeste, carissima si tenne quell’Immagine; anzi trovato in Roma un giovane pittore gli affidò l’incarico di ritrarre le medesime fattezze su tela ed in proporzioni più grandi, avendo stabilito servirsi di quella Sacra Effige in tutte le Sante Missioni che gli sarebbe dato ancor predicare.
Avuta poi la desiderata copia, tanto se ne compiacque che altre due similissime ne fece dipingere con intenzione di farne un devoto regalo a quei paesi che nel corso del suo Apostolato, più avesse visti infiammati nell’amore di Maria S.S.ma.
E come aveva stabilito così veramente eseguì, recando seco dovunque nella sacra predicazione di quelle tre bellissime copie, e donando le altre due alla Collegiata di S.Marco di Bagno nell’Aquila ed alla Collegiata del paese di Antrodoco, la sua nominando, Vergine Consolatrice degli Afflitti, le altre  Madonna S.S.ma del Popolo”. La terza copia che rimase a padre Giuseppe Antonio non si è mai potuto sapere  dove e a chi la donasse.
La copia lasciata a S.Marco di Bagno è posta tuttora in venerazione alla Chiesa di S.Maria sotto il nome di “Madonna del Popolo Aquilano” è ritenuta dagli Aquilani molto miracolosa, e sappiamo che dallo stesso padre Giuseppe Antonio fu istituita un Congregazione di uomini e di donne, chiamata del S.S.mo Nome di Maria e che diventò numerosissima. La cifra raggiunge i seimila confratelli avendogli dato il nome il Vescovo e tutta la noboltà di Aquila e quattro anni dopo lo stesso Carlo III con la sua consorte Maria Cristina e tutta la sua famiglia vollero essere Capi e protettori della Congregazione.
Nel 1727 fu dichiarata protettrice di Aquila e con festa solenne fu posto sotto il quadro della Vergine questo bellissimo distico Huc, Aquila infigeabtus, ubi Virgo refulget; virgo parenz, populi vita salusque tui”.
E furono ottenute per i membri della Congregazione le medesime Indulgenze concesse per la Madonna di S.Maria Maggiore di Roma e ogni sabato vi si celebrano le litanie in musica col S.S.mo Sacramento esposto.
Quanto alla copia alla Collegiata di Antrodoco, essa è tuttora tenuta in grandissima venerazione dagli Antrodocani.
Anche quì, come in Aquila, ogni sabato vi si cantano le Litanie e una solenne festa vi si celebra la terza domenica di settembre.
Bene a ragione gli Orviniensi sono molto orgogliosi della loro miracolosa Madonna di Vallebona che tutti venerano, adorano e festeggiano ogni anno con appassionata devozione.
Una superba incisione su lastra di rame levigatissima delle dimensioni di centimetri 21,5X19 di superficie incisa compresa la cornice, è conservata nella Chiesa Parrocchiale di S.Nicola di Bari in Orvinio.
Essa riproduce fedelmente le dolci e angeliche sembianze della Madonna  di Vallebona ed è stata incisa, come rilevasi dallo stesso rame, in Roma l’anno 1740, dal celebre incisore  Girolamo Frezza di Orvinio da me ricordato nell’inno a Orvinio (fig.15 a pag.32B).
Si ignora la data e la casa dove ebbe i  natali questo grande figlio di Orvinio, che attende ancora di essere degnamente onorato.
E’ mia impressione personale che la casa dell’insigne incisore dovesse trovarsi al corso Manenti in prossimità di Porta Vecchia al primo o secondo piano della casa prospiciente la Piazza del Sole già Piazza del Casalino (vedere a pag.36 del presente).
Del vecchio paese di Vallebona, attualmente si conserva ancora quasi tutto il muro di cinta, innestato ad avanzi di tre torri di difesa, ubicate in punti diversi, una delle quali (fig.45-46-47) per quanto molto sbocconcellata, si erge imponente e maestosa per un altezza di circa venticinque metri di muro pieno e priva di porte di accesso. Tale torre è situata nell’orto dell’Eremita, dalla parte che guarda verso Scandriglia e precisamnete nell’angolo superiore di destra entrando in detto orto, angolo che guarda verso il Monte Castellano.Forse si accedeva  alla sua sommità da un ponte levatoio o da qualche passaggio coperto esistente nel muro di ronda oggi scomparso. Nella parte superiore di essa si nota ancora bene, anche ad occhio nudo, un avanzo di archi e volte distinguendosi perfettamente che alla sommità doveva esservi  un piccolo vano, per cui si può ritenere, senza dubbio alcuno, che essa aveva la funzione oltre che della difesa,  quella di osservazione e certamente doveva essere inespugnabile a qualsiasi attacco che le fosse stato mosso dall’esterno.
Nel muro di cinta del paese mancano le tracce delle porte ed allo stato attuale si ignora quante fossero e il punto preciso della loro ubicazione.
Dentro il perimetro delle mura si notano molti avanzi di muri, taluni anche imponenti solidamente costruiti; assente qualsiasi traccia di arte, ma tutte costruzioni a base di ciottolame.
Ignorasi se gli abitanti di Vallebona attingessero acqua dal fosso che scorre ai piedi del monte oppure da pozzi esistenti nell’interno dell’abitato.

Chiesa Parrocchiale

di S.Nicola di  Bari


La Chiesa Abbaziale e Parrocchiale, già Vicaria dell’Abbazia di S.Maria del Piano, è situata al corso Manenti. Annessa alla Chiesa vi è una comoda casa parrocchiale e l’intero edificio come risulta attualmente (tranne l’elevazione dell’ultimo piano del campanile che è stata circa sessanta anni or sono) è stato inaugurato il 18 e 19 settembre 1842.
Con Breve Apostolico del 7 maggio 1818 del Sommo Pontefice Papa Pio  VII al Vescovo di Sabina  pro tempore, alla cui Diocesi ha appartenuto Orvinio fino al 31 dicembre 1841, per poi passare a quella i Tivoli, concesse la facoltà di poter erogare quelle rendite che si fossero esatte per quindici anni dopo la morte dell’ultimo Abate Commendatario di S.Maria del Piano eretta in Commenda, Ecc.mo Caffarelli Canonico Lateranense e devolute alla costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale unita perpetuamente  a quella Abbaziale di S.Maria del Piano, essendo l’antica Chiesa Parrocchiale divenuta angusta per la seconda volta.
L’esecuzione del suddetto Breve Pontificio era stata differita fino al 1835 perché si erano formati due partiti sulla scelta del luogo dove doveva sorgere la nuova chiesa.
Uno, capeggiato dall’Ecc.mo Principe Marcantonio Borghese, voleva che il sacro edificio sorgesse a fianco del Castello e precisamente a sinistra entrando dalla porta principale  da addossarsi al Castello stesso.
A proposito e per meglio precisare dirò, che ricordo bene quando ero fanciullo di aver visto iniziato in quel punto il fabbricato, tutto in mattoni, con svelti e robustissimi archi ed elevato fino all’altezza del secondo piano (ora trasformato in abitazione).
L’altro partito insisteva di radere al suolo la vecchia Chiesa  e sull’area di risulta costruire la nuova; quest’ultimo prevalse.
Da una iscrizione del Vescovo Lorenzo Santorelli, si legge che la Chiesa Parrocchiale di Orvinio, ora anche Vicaria dell’Abbazia di S.Maria del Piano e consacrata  il 31 marzo 1536.
Essa è a forma rettangolare  e nella parte  centrale  è sostenuta da otto robusti pilastri, sistemati in forma ellittica, su cui scaricano gli archi che sorreggono le volte ed i tetti.
Ha cinque altari, compreso quello Maggiore che è in corrispondenza della porta principale centrale e sormontato da una non brutta tela di S. Nicola di Bari, con nutria bigantina, protettore di Orvinio (fig.56) Nella parte interna della porta principale e precisamente sotto l’arco che sorregge la cantoria vi è un bellissimo antiporta in legno, decorato di intagli e quattro statuette scolpite in legno, opera eseguita dallo scultore Alessi Ludovico di Orvinio sul finire del secolo scorso; pure della stessa epoca  e dello stesso artista è quel bel complesso di armadi che è sistemato nella Sagrestia della stessa Chiesa.
Gli altri quattro altari sono sistemati: due nel lato lungo della Chiesa e precisamente: quello a destra dedicato a S.Rocco sormontato dalla statua lignea del Santo; quello di fronte a quest’ultimo è dedicato alla Madonna della Pace con Icone della Vergine, mentre gli altri due sono sistemati ai due lati dell’Altare Maggiore: a destra  dedicato al Sacro Cuore di Gesù, a sinistra alla Madonna Addolorata, sormontati entrambi dalle rispettive Sacre Immagini.
Nella cantoria è sistemato un organo acquistato a Subiaco per la somma di lire cinquecento circa settanta od ottanta anni or sono.
Nel quinquennio 1935-1939, sedente il Parroco Sarrocco don Salvatore, con una spesa complessiva di circa lire ventunomila, racimolate a suon di bussola, sono stati rinnovati i cinque altari; di marmi policromi quello Maggiore compresa l’antistante bellissima balaustra (fig.1) nonché quelli dedicati a S.Rocco e alla Madonna della Pace.
Più modesti e con pietra comune, ma belli anch’essi, gli altri due.
Vada una lode al suddetto parroco per il suo fervido interessamento della sua Chiesa.
Circa quaranta anni or sono, il Vescovo di Tivoli, recatosi ad Orvinio per effettuare il SS.mo Sacramento della Cresima, rimase colpito da una vera bruttura esistente nell’interno della Chiesa Parrocchiale; alla base degli otto pilastri centrali ed all’ingiro di essi erano fissati dei rozzi sedili di legno.
Con propria munificenza dispose  la demolizione dei sedili stessi, mentre la base dei pilastri fu rivestita con grandi lastre di candido marmo di Carrara.
Nella parete di destra  ed in prossimità dell’Altare della Vergine Addolorata  è murata un pietra di marmo su cui è scolpito:

D.O.M.
TRINO ET UNI
CATHARINA BASILICI CLARA GENERE
CLARIOR PIETATE
EXCIVITAVIT
ET
VICTURA POST MORTEM
PIETATIS STUDIO
BINAS IN QUALIB. HEBID.A MISSAS
INSTITUENS
VITAE COSULUIT IMORTALI
ANNO DUI MDCCXI

Sottostante all’Altare Maggiore vi è un grande locale ove si accede con una comoda scala di pietra; è illuminato da due finestre e poco oltre la scala, nella parete di destra, vi è un altare sormontato da un quadro della Madonna della Concezione.
Detto locale si chiamava comunemente cimitero, perché sottostanti ad esso vi erano due grandi locali ossari, ove si effettuò il seppellimento dei cadaveri fino a quando (nel secolo scorso) fu proibito per legge di seppellire nelle chiese entro gli abitati e a tal uopo furono istituiti in tutti i centri piccoli e grandi gli attuali campisanti.
Attualmente sono ancora in sito le due pietre tombali, in corrispondenza ciscuna del proprio ossario sottostante.
L’attuale Parroco Sarrocco, circa una diecina di anni or sono, faceva vuotare entrambi gli ossari provvedendo provvedendo a far trasportare tutte le ossa in essi contenute, al Camposanto attuale delle Petriane.
Dopo ciò faceva aprire una porta e due finestrine ai locali ex ossari adibendoli ad uso della Parrocchia.
La torre campanaria fa parte integrante del Sacro Edificio; è a destra  della facciata principale ed in linea con essa. Attualmente è alta tre piani, in origine due, ed all’ultimo sono collocate tre campane di diversa grandezza.
Quella grande, comunemente detta “campanone”, è collocata nella cella che guarda il corso Manen- ti in direzione di Porta Romana e porta la scritta: Pietro Benedetti–Fonditore Reatino–AD 1838.
Il ceppo è stato rifatto nel 1916 dal falegname Mario Scanzani di Orvinio.
La campana media è sistemata nella cella che guarda verso il Castello e l’ultima fusione di essa è stata effettuata da Ernesto e Oreste fratelli Lurenti – Fonditori Romani –AD-MCMIII (1903).
Il ceppo  di questa è stato rifatto nel 1924. La campana più piccola squilla in direzione di Piazza del Sole e la sua fusione rimonta all’anno

MDCXXXVIII (1638)

 forse quest’ultima sarà proveniente dalla vecchia Chiesa.
Nella facciata del campanile in linea con la Chiesa e precisamente a circa due metri da terra è stata incastrata una antica scultura di un solo pezzo e probabilmente di marmo bianco, forse proveniente dalla vecchia Chiesa abbattuta.
Essa riproduce fedelmente la facciata in miniatura di un Tempio Cristiano con relativa porta centrale e timpano ad essa sopvrapposto, pilastri, lesene, capitelli, nicchie, ecc..
Chiunque l’ammira dice che è una cosa veramente bella. Che sia un vecchio ciborio? (fig.57).
Ricordo bene che circa quaranta anni or sono, in un giorno di festa, mentre le campane della Chiesa Parrocchiale suonavano a distesa, la fascia di cuoio su cui era appeso il battaglio del campanone si lacerava ed il battaglio stesso con grande veemenza andava a cadere sulla strada conficcandosi nel duro terreno per circa mezzo metro di profondità; per un vero miracolo non colpì un certo Alessi Mariano che trovavasi fermo a poche diecine di centimetri dal punto dove rimase conficcato il battaglio.
Nell’anno 1922, a spese di tutta la popolazione di Orvinio, fu rifatto il soffitto della Chiesa perché pericolava; la volta e le pareti pitturate ed il mattonato composto di mattonelle esagonali di cemento unicolori, sostituiva quelo precedente in mattoni di terracotta, già provenienti dalle fornaci di Orvinio prossime a Vallebona.
Riporto quì di seguito integralmente quanto scritto da un anonimo cronista del tempo all’epoca della inaugurazione dell’attuale Chiesa Abbaziale e Parrocchiale:
“Supplemento al n.42 delle “NOTIZIE DEL GIORNO” (giornale del tempo) del 20 ottobre 1842”
Canemorto 20 settembre
Canemorto che sul principio del secolo IX  fu il teatro della rotta data dalle armi di Carlo Magno a’ Saraceni, ora Canemorto, deponendo quell’antico di Orvinio; che fu patria del celebre pittore Vincenzo cav. Manenti, al ch. Avv. Concistoriale Domenico Morelli, e al Vescovo di Sutri e Nepi, Mons. Anselmo Basilici, e a tanti altri benemeriti e delle belle arti e delle scienze, fu nei giorni 18 e 19 corrente lietissimo per la inaugurazione della nuova Chiesa Abbaziale e Parrocchiale sotto il titolo di S. Nicola di Bari.
Con Breve Apostolico del 7 maggio 1818 la sa.me. di Papa Pio VII all’Ecc.mo Vescovo di Sabina pro tempore, alla cui Diocesi ha fino a tutto il 1841 appartenuto Canemorto, concesse la facoltà di poter erogare dell’Abbazia eretta in Commenda della Chiesa di S.Maria del Piano (vasto tempio edificato per ordine di Carlo Magno nel 817 di qua dal rivo che divide dagli altri il nostro Territorio lungi un miglio dall’abitato verso l’Oriente) quelle rendite, ché esatte si fossero per 15 anni dopo  la morte dell’Abate Commendatario ultimo di lei possessore Ecc.mo Sig. Caffarelli Canonico Lateranense, alla costruzione di una nuova Chiesa Parrocchiale unita perpetuamente a quella Abbaziale di S.Maria del Piano, essendo l’antica Parrocchia divenuta per la seconda volta angusta a questa popolazione, che la Dio mercè per la salubrità dell’aria va sempre aumentando il numero dei suoi individui.
La discordia dei pareri sul luogo di costruzione avea differita l’esecuzione di tal Breve fino al 1835, quando il fu Ecc.mo Carlo Odescalchi di gloriosa memoria ne commise l’incarico a Monsignor Francesco De’ Marchesi Canali suo Suffraganeo, ed ora degnissimo Vescovo di Pesaro, ed allora fu che questi divisò edificarla ampliando l’area dell’antica Chiesa eguagliata al suolo. Talché dopo cinque anni si vide sorgere il nuovo edificio in forma ottagonale con cinque Cappelle e bel sotterraneo.
Rimasta però la perfezione del nuovo Tempio nel suo corredo sul più bello sospesa per la vacanza delle Sede Vescovile per morte dell’Ecc.mo Gamberini, sopravvenne l’impegno del vigilantissimo Mons.Carlo Gigli Vescovo di Tivoli, al cui governo spirituale venivano destinati dalla Santità di Nostro Signore Papa Gregorio XVI felicemente regnante con Bolla Apostolica del 25 Dicembre 1841. Ed è perciò che per la cura di Lui, ora fra noi in occasione della sua prima visita Pastorale, si è potuta nel giorno 18 corrente, sacro ai dolori di S.Maria SS.ma officiar la nuova Chiesa permettendo la solenne Benedizione fatta della medesima dal nostro Vicario perpetuo Parrocchiale sig. Arciprete D. Gio. Antonelli Romano a tal uopo deputato, e cantandovisi quindi dal medesimo la solenne Messa della ricorrente festività con l’assistenza e interventoo di questo Collegio de’ Cappellani, e di altri Sacerdoti Religiosi invitati, e con l’accompagno della bella musica ma divotamente concertata da questa antica Filarmonica Società.
Verso la sera poi del dì seguente il nostro Mons. Vescovo dalla sua residenza alla Chiesa di S.Maria dei Raccomandati già dei Religiosi Conventuali, finora officiata per mancanza della Parrocchiale, accompagnato e dal Clero, che si era mosso ad incontrarlo, e dalla civica banda militare volle di sua mano fare il trasporto dell’Augustissimo Sacramento alla nuova Chiesa, premettendo un analogo e commovente ragionamento con quella facondia propria del suo zelo Apostolico, intanto che si allestivano le due numerose confraternite e del Gonfalone ivi eretta, e del SS.mo Sagramento unite alla Parrocchia.
Terminato il discorso e vestito il lodato Prelato de’ Sacri Paramenti fu esposto il SS.mo Sagramento, ed intonati i Sacri Inni secondo il rituale romano, si mosse la processione che riuscì veramente divota.
Precedevano le due Confraternte in bell’ordine disposte e decorate di magnifici attrezzi e copiose torce, seguiva il Clero divenuto in tal circostanza più numeroso, ed infine portavasi l’augustissimo Sagramento dall’Ill.mo Mons. Vescovo assistito dai Ministri nelle persone dei due Canonici Convisitatori e suo seguito, sostenendo le aste del baldacchino scelti individui delle rispettive Confraternite ed attorniato dalle torce che si recavano dai primari di questo luogo in abito nero vestiti, e similmente due ragguardevoli persone forastiere che vollero prestare un sì religioso ufficio, mentre gli individui di questa brigata de’ Bersaglieri facevano ala e frenavano la calca del numeroso popolo che seguiva.
Le abitazioni sulla strada quasi tutta retta che percorse la processione, erano decentemente ornate  di copiosi lumi e fanali, ch’essendo sull’imbrunir della sera, e quieto il vento in quell’ora,  rendevano veramente bella la prospettiva.
I canti alternati dai concerti della civica banda militare, fra il suone delle campane di ambedue le Chiese e fra il rimbombo dei mortari, resero la funzione commovente e religiosissima.
Giunti alla nuova Chiesa dopo aver cantato l’inno di rendimento di grazie e le consuete preci, fu data la prima Benedizione  al popolo col SS.mo Sagramento dal lodato Prelato, che spogliato quindi de’ paramenti sacri si restituì, accompagnato dal Clero e dai privati con torce, alla sua residenza, precedendo la civica banda  militare co’ suoi concerti.
La sera poi fu elevato un magnifico globo aereostatico sulla piazza del palazzo Morelli, presso cui risiedeva l’Illssmo e Reverendissimo Mons. Vescovo fra le salve de’ mortari, mentre  veniva illuminato da fanali un maestoso arco di trionfo ivi erettogli dal Comune.
Speriamo che un tale avvenimento, il quale formerà epoca ne’ nostri padri annali si pel nuovo Vescovo, come pel nuovo Tempio, possa essere principio di felici successi, che senza dubbio ci promettiamo dallo zelo veramente pastorale del nostro amatissimo Prelato.

























Chiesa di S. Maria
   dei Raccomandati



Alla sommità della salita del Borgo esiste la Chiesa a croce latina dedicata alla Beata Vergine sotto il titolo di S. Maria dei Raccomandati, costruita nella seconda metà del secolo XVI E.V. con annesso convento tenuto dai Religiosi Conventuali per alcuni secoli e ciò fino all’epoca Napoleonica in cui fu denominata.
Nel convento vi risiedeva anche la Confraternita del Gonfalone (esistente tutt’ora) aggregata alla Misericordia di Roma.
Ha una armonica e bella facciata e la solida torre campanaria, caratteristica per la sua forma, è innestata al muro di destra della Chiesa in linea con la facciata stessa (fig. 58 e 59).
Nella facciata del campanile che guarda Porta Romana vi è un antico orologio il cui meccanismo, sistemato nell’interno della torre è stato costruito nell’anno 1851 da un certo Vincenzo Colantoni.
All’ultimo piano vi sono collocate tre campane di diversa grandezza; la più piccola porta la seguente iscrizione:
“Coitas ac Venerab Soc. Conf. Et rosarii Caniis – Ad honorem Dive Mariae Da Raccomandati A.D.I.S. 20 mortui”. Tradotto in italiano suona presso a poco come segue: - Donata insieme dalla Confraternita (del Gonfalone) e (Congregazione) del Rosario di Canemorto in onore di S. Maria dei Raccomandati, per i (loro ?) morti.-
Come si vede essa deve essere stata donata dalla Confraternita del Gonfalone ma si ignora la data di fusione che certamente  deve rimontare a qualche secolo fa.
Le altre due sono state rifuse dalla fonferia dei Fratelli Lucenti di Roma, la mediana  l’anno 1833 e la grande l’anno 1766, quest’ultima rifusa (come leggesi su di essa) da altra precedente del 1601.
Le due maggiori andaroni in pezzi in seguito alla caduta di un fulmine abbattutosi sul campanile mentre la più piccola fu rispettata; questa però alla sua estremità inferiore porta i segni ben visibili della folgore. Quando avvenne ciò? Probabilmente nell’anno di rifusione della grande e cioè 1766, perché certamente la media è stata di nuovo rifusa nel 1833.
Si deve ritenere pertanto che la piccola sia stata appesa al campanile prima del 1766.
La Chiesa è coperta con tetto ad incavallature visibili con travature di legno; dalla piazzetta antistante si entra nella porta principale (fig.59) mentre altri due ingressi secondari esistono, uno dal lato sinistro, l’altro da quello destro passando da quest’ultimo attraverso la sagrestia.
Da più punti scoperti, si rileva che le pareti sono tutte affrescate; forse dal cav. Vincenzo Manenti e da suo padre? – Dentro la Chiesa, ai primi del secolo scorso e precisamente durante l’infausta dominazione Napoleonica, ci furono accantonate le aborrite e prepotenti soldataglie francesi.
Le pareti furono molto danneggiate, soprattutto perchè nell’interno della Casa di Dio, vi furono accesi anche dei fuochi dai novelli Unni. Per tale fatto, dopo partiti i gallici devastatori, le autorità del tempo, poco opportunatamente ordinarono l’imbiancatura delle pareti, rimanendo in tal modo coperti gli affreschi.
A destra entrando vi era una bella acquasantiera a piede, in marmo di Cottanello, gemella di quella ancora esistente in S. Maria di Vallebona.
All’inizio delle due pareti di destra e di sinistra esistono due lapidi di pietra (fig.60 e 61)-
Su quella di sinistra (fig.61) è scolpito:

D.O.M
Petro, Fuschetto, S.S. Mav = et Lazae
Equiti. Ob. Meritae. In Eum Ordinem
Commenda. Donato. Spectatae
Belgico. Bello. Virtutis
IACOBUS MUTUS. VALLIS
MUTIAE. DUX. II.
Quod Incomparabili. Fide. Consta-
Ntia. Que. Annos. XL familiarem
Egerit. Qua. Caroli. Patri
Classis. Sabaudiae. Praefecto. Egre
Giam. Operam. Navavit. Qua. Sibi.
Genevensi. Bello. Domiq= Officio
Affectus. Consilio. Pietate. Sadiste
Cit. Vixit. An. LXVI. Decessit. Die XXVIII
Ianv         MDCVIII
(segue lo stemma)

mentre su quella di destra si legge quanto segue:

D.O.M.
P.Paulo I.V.C.Ecc. Nob. Iacobi Fam.
Gall. Lugdunen. Oriundo
Romano. Ob. Singularem

Eius in Rebus Agendis

Dexteritatem Animique
Integritatem Ac Fide. Prin
Cipibus viris Precipue. Vero
Mutiorem. Fam. Summe. Caro
Iacobus Mutius Caroli. F. Vall.
Mut. Dux. II Benevol.e Ergo. P. C.
(segue lo stemma)

Obiit. A.D.M.D.C. VII. XIII. Kal. Sept.
Viscit. Ann. LV

Sopra di esse, all’altezza di quattro o cinque metri dal pavimento esiste la originale lignea cantoria, ancora bene conservata, che vi si accede dal campanile; ricordo bene di aver visto da fanciullo i resti del minuscolo organo che ivi esisteva al tempo dei Conventuali.
A titolo di curiosità dirò che i cosciali di legno del primo caposcale del campanile, sono stati costruiti con travi tolti dal soffitto della Chiesa di S. Maria del Piano.
Ritorniamo in Chiesa. Fatti pochi passi dalla porta principale, si incontra nel bel mezzo del pavimento della unica navata  la prima pietra tombale con al centro scolpite in caratteri romani, due grandi F maiuscole (fig.62) e che chiude la sottostante tomba appartenente alla mia famiglia, perché le due lettere suonano Famiglia Fabriani.
A pochi passi ancora si incontrano due altari uno di fronte all’altro; quello di sinistra (fig.64) sormontato da un grandissimo affresco rappresenta S. Francesco di Assisi che riceve le Stimmate.

Ai lati fanno corona dei piccoli riquadri ove sono riprodotte le Virtù Carnali e Teologali opera poderosa del Cav. Vincenzo Manenti.
La figura con la barba bianca col capo volto un pò a destra, vestita da Papa e indossante pividie con ai piedi la tiara (in basso a sinistra) è l’autore del quadro cioè il Manenti.
Da tale figura è stato riprodotto il medaglione in bronzo che sovrasta la lapide a lui dedicata posta nella facciata della sua caso ove nacque (fig.1 e 2 a pag. 24 C)-
Quello di destra è sormontato da  grandissima e magnifica tela con classica cornice (fig.65) dedicato alla S.S. Vergine del Rosario contornato da piccoli riquadri rappresentanti i quindici misteri; anche questa  è un’opera insigne e probabilmente anche essa sarà uscita dal pennello  del celebre Manenti.
Su questo altare, negli ultimi anni del secolo scorso, mentre fervevano i lavori di ricerca e di indagini per onorare degnamente il grande figlio di Orvinio, Vincenzo Manenti, in occasione del III Centenario della sua nascita, da alcuni membri dell’apposito Comitato costituito per le onoranze, furono rimossi i gradini di legno dove poggiano i candelieri per scrutare sotto la grande tela della suddetta Vergine del Rosario. Con grande stupore fu notato che la parete sotto la grande tela era anch’essa ( o meglio è) affrescata allo stesso modo dell’altare di fronte di S. Francesco e riproducente, credo, la Vergine del Rosario come la tela che lo nasconde alla vista dei visitatori.
La sorpresa non si arresta; nascosta dietro il quadro fu trovata una lettera che è subito sparita, portata da un umile fraticello trasferito per punizione al Convento di Orvinio da un altro Convento dell’Ordine che ora non rammento la località.
La lettera era stata scritta ai primi del XVII secolo dal Rettore del Convento da dove proveniva il Religioso ed era diretta al Rettore del Convento di Orvinio. In essa si esortava quest’ultimo Rettore a sorvegliare e tenere d’occhio il frate trasferito, essendo un essere sospetto.
Alla domanda: chi mai avrà potuto nascondere la lettera in quel posto? Rispondo subito: non può essere stato altri che il fraticello trasferito, in quanto, ben sapendo il motivo del suo trasferimento, doveva immaginare il contenuto della lettera e che dopo averla aperta e venuto a conoscenza di quanto vi era scritto anziché consegnarla al suo nuovo Rettore preferì nasconderla dove fu trovata.
Ai suddetti due altari, come pure all’Altare Maggiore si notano dei magnifici palliotti di cotto che sembrano di maiolica con la superficie lucidissima con bellissimi arabeschi e figure policrome fatte da mano espertissima (fig.70) in tutto identici a quello esistente nell’Altare Maggiore della Chiesa di S. Maria di Vallebona (fig.6 a pag.11°)-
Più innanzi, ai due lati della Chiesa ed all’altezza della crociera, vi sono due Cappelle affrescate anch’esse.
Quella di destra, con l’altare sormontato da una tela dedicata a S. Antonio di Padova, appartenente alla famiglia Basilici, ora scomparsa, ha una leggiadra balaustra di marmo dove domina il cipollino, Cottanello e Carrara.
Ai due pilastri centrali si nota che, pur essendo a posto i cardini, il cancelletto di chiusura è sprito.
Otto medaglioni ovali, quattro per lato affrescati alle pareti entro cornici di stucco, rappresentano personaggi della famiglia Basilici.
Alla parete di sinstra, sopra i medaglioni, una grande tela ovale rappresentante S. Andrea. E’ molto bella  e forse è anch’essa del Manenti.
Di fronte altra identica tela ovale, rappresentante l’Apparizione della Vergine a S. Domenico. Anche questa era molto bella quanto quella di fronte di S. Andrea ma è stata riparata (forse perché deteriorata) da mano poco esperta.
Al centro del pavimento la pietra di chiusura della sottostante tomba della famiglia  Basilici (fig.66)=
La Cappella si sinistra, dedicata a S. Lucia è di proprietà della famiglia Cervelli, come vedesi anche dallo stemma posto sulla chiave dell’arco (fig.67). E’ munita di una balaustra a colonnine tornite di noce nostrale, abbastanza corrosa dai tarli; anche questa è priva del cancelletto di chiusura.
Sovrasta l’altare una grande tela con cornice dorata rappresentante S. Lucia, dipinta da mano maestra e quasi certamente nel XVII secolo.
Tanto le pareti che la volta sono state affrescate mirabilmente dal cav. Manenti, peccato però che il tempo e l’infiltrazione di umidità abbiano compiuta una nefasta opera di distruzione.
Nella parete di destra è rappresentato un sposalizio (forse di qualche membro della famiglia Cervelli); è molto interessante perché riproduce fedelmente i costumi dell’epoca,
Nella facciata di fronte, sotto lunica finestrina, S. Rocco, dinanzi al quale prostrasi inginocchiato un Orviniense.
Al centro del pavimento, pietra di chiusura della sottostante tomba della famiglia Cervelli.
All’altezza delle due Cappelle ed in prossimità dell’Altare Maggiore vi sono altre pietre tombali; su quella a sinistra, in prossimità della Cappella Cervelli si legge la seguente scritta sormontata da uno stemma ovale crociato e sormontato da corona gentilizia:


 

 

Sepolcro

Del.       Sor.
Dei       Cour
D.C.

A destra dell’Altare Maggiore ed in prossimità della Cappella Basilici la pietra tombale porta la seguente scritta

Pro

Familia
T.B.
D.                                                                                                       6

Retrostante all’Altare Maggiore (fig.70) vi è il coro (fig.71) ove si accede da due porte situate a destra e sinistra dell’Altare Maggiore.
Appena oltrepassate le porte sul pavimento, in corrispondenza di ciascuna di esse vi sono due pietre tombali di forma ovale.
Mentre su quella di destra in prossimità del passaggio che immette al Convento vi sono tracce di uno stemma e di iscrizione, quella di sinistra è completamente liscia e priva di indicazioni.
L’Altare Maggiore (fig.70) è dedicato alla Vergine di S. Maria dei Raccomandati. Un antico affresco riproduce le Vergini Sembianze della Madre di Dio dipinto da mano maestra e ultimamente ritoccato da Suor Maria suora delle Figlie della Croce (la stessa che ha riaffrescate le tele degli Stendardi di entrambe le Confraternite del Gonfalone e del S.S. Sacramento). Tale affresco che sia anch’ésso del Manenti o di suo padre? Sovrastante l’altare vi è un timpano spaccato e nel centro contornato da una cornice di stucco a forma quadrata vi è un affresco riproducente l’apparizione di un Angelo alla Madonna, opera del cav. Vincenzo Manenti.
Ai lati dell’Altare Maggiore sono murate due pietre di marmo bianco; quella di destra, verso la Cappella Basilici (fig.69) suona così:






                                          D.O.M.
            Missae  aes ad altra huius eclse
P. Suncis Pontificib. Card. Protect. Ord. Ac.
Frabus Defunct. Ab Eiusd. Ord tantu
Sacerdotib. Qdocunq. Celebratae

Indulto Altaris Privilegiati P Pno

Gaudent Vigore Brevis Bened. PPXIII
D. XXXI Jan.MDCCXXV Insup. Missae Om
nes in obitus Vel alio Die. P Viceprotect
Ordinar. Loci Princib. Suprem. Pronis
              Loci in Teporlib. Benefactorib. Ipsis
              que frabus et mottialib. Ord. Subie-
               ctis horuq. Tui genitorib aquovis
              sacerdote celebratae code P Petro
           Altaris privilegio gaudente ex indul
                 to Benedicti P P XIV Die
                   IV Sept. MDCCLI  +

Mentre su quella di sinistra (fig.68) si legge:
                                            D.O.M
                                            Altare hoc Omnipoteti
                                              Deo in honore Bmae Vir-
Gis Mrae de Racomandatis
Erectu privilegio quoti-
Diano P Peno ore libero P
Mnibus. Defunct ad quos
Cumq. Sacertotes Vigore
Brevis Benedicti PP XIV. D
IV Oct. MDCCLI. Insig-
Nitu atq. A minis-
Tro gnli ordnis
D. XXV M octb.
1752 Designatu


Ai lati è riprodotto in stucco, lo stemma dei Baroni Muti (fig.70) allora proprietari del Castello di Orvinio.
Nel retrostante coro (fig.71) esistono ancora bene conservati gli stalli di legno di castagno e posti all’ingiro delle tre pareti non compresa quella verso la Chiesa; essi sono disposti: cinque per ciascuna delle due pareti a destra e sinistra entrando dalla Chiesa e sette nella parete di fronte, compreso quello del Rettore che trovasi al centro sotto l’unica finestra, sormontato da un piccolo baldacchino dello stesso legno, su cui poggia una bella statuetta lignea di S. Francesco di Assisi.
Il coro fino a pochi anni fa conservava l’originale soffitto a cassettoni decorati e bugnati.
Ricordo anche che circa venti anni or sono sul varco di sinistra vi era ancora un sito, l’originale  e bellissima porta lignea finemente lavorata ed ora scomparsa.
Nel coro, in prossimità della porta di destra, si apre il passaggio segreto che mette in comunicazione la Chiesa con l’annesso Convento.
Si dice che l’attuale Parroco Sarrocco, per la somma di Lire 1800 ha dato l’incarico ad alcuni imbianchini forestieri di imbiancare interamente tutta la Chiesa; se ciò si avverasse sarebbe un vero delitto all’arte. Non sarebbe stato meglio fare lo zoccolo previe le necessarie stuccature in basso e con il residuo della somma far riscoprire i pregevoli affreschi (forse del Manenti) in quanto come è detto sopra, le pareti della Chiesa in origine sono state tutte affrescate?
Il Comune dio Orvinio è l’attuale proprietario sia della Chiesa che del Convento; l’ultimo piano di questo attualmente è adibito ad alloggio delle Suore dell’Ordine “Figlie della Croce” che sono anche Maestre e fanno scuola nelle aule del piano sottostante, mentre al piano terreno vi è l’asilo infantile, con annesso giardino (fig.63) ove si può accedere anche da apposita porta in Piazza Girolamo Frezza, dove crescono sane e robuste le nuove generazioni del Littorio (curate con amore e dedizione dalle instancabili suore) certezza futura della grande patria Fascista.
Sul tetto si  eleva un piccolo campanile (fig.63) e fig.6 a pag.3C) su cui è appesa un’unica campana del peso di circa 100 Kg che ora serve a chiamare gli scolari. In essa si legge esternamente
Ave Maria Gratia Plena
A.D. – M.D.C. VIII – 1608

Escludendo la campana della Chiesa di S. Maria del Piano (che ora trovasi a Rieti) questa è la veterana delle campane di Orvinio essendo tutte le altre di fusione più recente alla data del 1608. Ritengo che questa probabilmente doveva essere in origine collocata sulla torre campanaria della Chiesa di S. Maria dei Raccomandati fino a quando fu sostituita da quella che vi si trova attualmente donata, come detto sopra, dalla Confraternita del Gonfalone perché quasi certamente all’epoca dei frati, il piccolo campanile sovrastante il convento non esisteva ed allora la campana dove era sistemata se non sulla torre della Chiesa?

(Vedasi a pagina 60 e seguenti, del presente, sotto le date 16.7.41 e 8.12.49 in  merito alla campana del 1608)


Continua a pagina 38/B


Chiesa di S. Giacomo


La Chiesa di S. Giacomo, come rilevasi dalla iscrizione esistente nella facciata, è stata  eretta per munificienza del Barone Muti Duca in Valle Muzia,  nell’anno 1612 su disegni di Gian Lorenzo Bernini.
Verso il 1890 l’Eccellentissima Casa  dei Principi Borghese, allora proprietaria, la vendette a tale Antonio Tani fu Luigi di Orvinio e sembra, con l’obbligo di restaurarla e restituirla al culto, cosa che fino ad ora  non è avvenuto e dubito se ancora sarà officiata.
Il Tani preoccupato di aumentare i locali, scavava prima sotto il piano della Chiesa, ricavandone una cantina, poi scoperchiato il tetto ed abbattuto il caratteristico campanile, alzava i muri perimetrali in modo da ricavarne un salone anche sopra  la Casa di Dio.
Da tale sopra elevazione viene rilevato anche dall’occhio più profano, che l’armonia esistente nelle proporzioni dell’intero edificio e specie della facciata (fig.72 e 73) è stata grandemente turbata; però per mera fortuna la facciata non ha subite modificazioni e quindi si possono ammirare anche ora con compiacimento le belle ed agili linee.
Alla sua sommità si nota un grande timpano quale cappello ed a coronamento della facciata stessa entro il quale è stato posto un grande stemma della famiglia dei Muti.
Sottostante al timpano e nel centro della facciata vi è un grande rettangolo sagomato in pietra locale su cui spiccano a grandi caratteri romani le parole “ Sancto  Jacobo”.
Sotto, su una fascia della stessa pietra che gira attraverso tutta la fronte sagomata della facciata, pure in bei caratteri romani, corre la seguente scritta “Jacobus – Mutus. Vallis . Mutie. Dux . I.I.F. MDCXIIII (1614).
Soprastante al bellissimo portale in pietra, sormontato da spazioso timpano, vi è una finta finestra con stipite in pietra entro la quale è murata una lastra di marmo bianco della grandezza del vano stesso su cui si legge:

Questo Tempio edificato nel 1608
Dalla munificenza del Duca Muti
In onore dell’Apostolo S. Giacomo Maggiore

Il 15 Agosto 1892

Per incuria degli amministratori del tempo
Rovinò dalle fondamenta
Antonio Tani attuale libero proprietario
A tutte proprie spese
                  Lo restituì al suo antico splendore             sic!!!!
27 Agosto 1916

La porta è bellamente inquadrata fra quattro finti pilastri in pietra muniti di basi e capitelli dorici; ai due lati della porta due grandi nicchie vuote. Nell’interno tutto lo stile primitivo è stato distrutto; divelto il mattonato, strappato il bellissimo cancello in ferro che esisteva a sagoma curva subito dopo superata la porta, alterate le pareti ed il soffitto che era ad incavallature visibili, soppressa la sagrestia e abbattuto il bel campanile dalle agili linee.
E’ stato rispettato solo l’Altare Maggiore con la bellissima e maestosa statua lignea di S. Giacomo grande  circa due volte il naturale, ma per l’abbandono e l’incuria in cui è stata lasciata, è ridotta in uno stato pietoso e fra non molto, quando la polvere e le tarle avranno completata la loro opera di distruzione, non resterà altro che un mucchio di polvere.
Nelle pareti in alto dove incomincia il sesto dell’arcone dell’Altare Maggiore, vi sono due bellissimi affreschi opera dell’insigne pittore Orviniense cav. Vincenzo Manenti, ancora discretamente conservati, raffiguranti: a destra (fig.74) S. Giacomo che predica al popolo il verbo Cristiano.
A sinistra (fig.75) Gesù che converte la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe.
Al centro del soffitto: Il Padre Eterno benedicente bellissimo lavoro in stucco contornato da analoga cornice ovale.
Anche i due suddetti affreschi sono circondati da bellissime cornici di stucco.
Bellissimi  lavori in stucco sono profusi con larghezza in tutto l’Altare Maggiore. A sinistra di questo si nota un bello stipite in marmo di Cottanello; la porta è stata murata ed immetteva alla sagrestia, fatta scomparire dal Tani. La Sagrestia era in corrispondenza del campanile anch’esso demolito; una costruzione che vorrebbe essere un belvedere è sorta e svetta sul tetto a tergo della Chiesa.
La unica campana ancora esistente e che trovasi nell’interno della Chiesa è del pesi di circa cinquanta Kg. ed è ancora coronata del proprio ceppo.
Esternamente da una parte porta riprodotta l’effigie di S. Giacomo, mentre dall’altra le clave dello stemma dei Baroni Muti. All’ingiro di essa sta scritto:
Jacobus Mutus Dux II+ihs Maria in Honorem B.Jacobi Vallis Mutie Fecit – Anno Jubilei MDCXXV -  (1625).
Alla metà della Chiesa esistono due altari uno alla parete di destra ed uno a quella di sinistra; quello di destra è una pessima riproduzione della tela della Visitazione del Grande Manenti che esisteva all’altare di destra della Chiesa di Vallebona ora scomparso (fig.76).
La pittura dell’altare di fronte che vorrebbe rappresentare S. Giuseppe addormentato sul banco da falegname per non offendere la vista dei visitatori meriterebbe solo che si passasse su tale bruttura una mano di calce.
Qualche anno fa è crollato il soffitto e il tetto, ma l’anno scorso è stata riscoperta; allo stato  attuale è in completo abbandono, preda della polvere ed è fatiscente.
Un piccolo gioiello che non meritava la sorte che gli è stata riservata.
Il colpevole di tanto scempio, dovrebbe essere segnato al libro nero con lettere maiuscole.
































         Il  Castello
                          di  Orvinio



La storia del Castello di Orvinio, corredata di parecchie belle fotografie, ha veduta la luce quattro o cinque anni or sono a cura dell’attuale proprietario S.E. il Senatore Filippo Cremonesi ex Governatore di Roma, in bella veste tipografica e con una tiratura di soli cinquecento esemplari donati ad Autorità ed amici.
Un’altra descrizione del Castello, anch’essa corredata da alcune fotografie, è stata pubblicata nel n.3 del Marzo 1936-XIV E.F. della rivista mensile illustrata “Latina Gens”.
Pur essendo superflua qualsiasi altra descrizione del Castello stesso, mi sia permesso anche a me di portare il mio modesto contributo alla storia di esso, aggiungendo qualche altra notizia.
Da fanciullo ho visitato più volte le così dette soffitte del fabbricato a sinistra entrando dal portone principale (fig. da 7 a 8 e fig.14 a pag.4°).
Ricordo di avere vedute le pareti affrescate da grandi quadri raffiguranti (si diceva) le varie gesta della dominazione dei Baroni Muti e questi riprodotti: sul trono, portati in trionfo con la portantina per le vittorie riportate nelle guerre contro abitati limitrofi ad Orvinio, quando muovevano in guerra contro i paesi vicinori e nemici, ecc.ecc..
Ricordo bene che erano più quadri, ma non rammento con precisione se le pitture coprissero le pareti di una o più sale.
Nel Castello esistono, ed anche bene conservate, le autentiche due portantine adoperate dai Baroni Muti.
In seguito ad alcuni recenti scavi, fatti effettuare dal proprietario, non ricordo bene se dal Barone Berlingieri o da Remo Parodi Salvo, sono venute alla luce alcune lancie  ed alabarde appartenenti certamente agli armigeri dei proprietari dell’epoca feudale; anch’esse come le portantine, sono attualmente conservate nel Castello stesso.
Nel Castello esistevano trabocchetti che funzionavano ed erano in esercizio all’epoca feudale e dell’oscurantismo del tempo dei tratti di corda e delle sonore nervate .
Le pareti ed il pavimento dei locali sottostanti corrispondenti ai trabocchetti stessi, erano munite di spade taglienti e punte e pali di ferro acuminati affinché i miserandi predestinati dalla sinistra sorte, allorché sprofondavano nelle botole, avessero quale premio di rimanere infilzati.
Nel 1913 proprietario del Castello era il Comm.re Filippo Todini che ricavava una grande cantina utilizzando i sinistri locali sottostanti ai trabocchetti. Vi si accede dall’esterno attraverso la grande porta aperta nel muro perimetrale in via della Passeggiata (ora Quattro Novembre)  distinta col n.6 (fig.17 a pag.4B). Durante i lavori, nel fondo di tali lucubri locali, furono trovati moltissimi scheletri umani, con i quali furono riempiti diecine e diecine di carri e trasportati al Camposanto delle Petriane. In un angolo di quei locali di tanti martirii, si rinvenne un grosso tavolone di quercia ancora bene conservato delle dimensioni di centimetri 250x50x15 sotto il quale fu trovato un grosso scheletro che trovavasi in quel posto da parecchi secoli; per curiosità fu misurata la lunghezza di una scapola trovata ben conservata e che risultò lunga la bellezza di centimetri trentacinque, mentre un osso femorale risultò lungo centimetri cinquantacinque. Senza dubbio alcuno, deve avere appartenuto ad un autentico gigante.








Il Castello prima dei restauri eseguiti da Remo Parodi Salvo, durante la grande guerra 1915-1918 (visto da S. Giacomo fig.77 = visto dalle Coste fig.78)




































Il Castello di Orvinio dopo i restauri di Remo Parodi Salvo (1915-1918)














                      Il Castello di Orvinio - Panorama














                                                      Ingresso
Antica torretta e grande Torrione
 circondato dai cedri del  Libano













                                                           Atrio

            Piazzale d’ingresso













         Pozzetto del  Silenzio                                                              Scala principale















Studio










                                                                                  Salone da ricevimento a due stili
                          Camera da pranzo




      Salone da ricevimento a due stili










                  Salone da ballo










                                                                                                      Parco: Fontana



Vecchio Comune


Nei secoli scorsi, mentre la Giurisdicenza era ubicata in via degli Orti n.2, gli Uffici del Municipio di Orvinio erano collocati al primo e secondo piano della casa sita  in via della Passeggiata (ora Quattro Novembre) distinta col civico n.29 (fig.20 a pag.4B).
Il portone non è più quello originale ma quello attuale è rifatto a casaccio con materiali nobili tolti dal vecchio stipite e che ciò si nota a prima vista. Gli stipiti delle finestre invece sono dell’epoca e bene conservati (tutti in pietra scalpellata) delle quali  una alla facciata dove da via Quattro Novembre ha inizio via di Porta Vecchia e due sempre in questa Via  ma nella facciata opposta a quella del portone d’ingresso;
Tanto il vecchio Comune quanto la vecchia Giurisdicenza erano compresi dentro la vecchia cinta di difesa del primo nucleo di Orvinio.


































Vecchia Pretura

Durante le Campagne di Guerra per l’Indipendenza e l’Unificazione del Regno d’Italia, Orvinio fu conquistato dalle truppe del Padre della Patria Vittorio Emanuele II nell’anno 1860 e costituito Mandamento nel Circondario di Rieti in provincia di Perugia.
Orvinio, prima di tale data e per più secoli è stata sede di Governo con la sua Curia o Giusdicenza (oggi R.a Pretura) tanto che vi si emettevano persino sentenze di morte.
Il copioso quantitativo dei documenti riguardanti l’antico e interessantissimo archivio della Giurisdicenza o Pretura di Orvinio, circa dieci anni or sono per ordine del Ministero di Grazie e Giustizia fu trasportato a Roma nei locali del Museo Criminale, istituito dal compianto S.E. il Ministro Alfredo Rocco, e posto credo in uno stabile del Demanio dello Stato in Via Giulia (2).
Nella Biblioteca Vittorio Emanuele in Roma, esiste un opuscolo di parecchie diecine di pagine, concernente uno studio sullo storico ed interessantissimo archivio della Pretura di Orvinio, compilato circa trenta anni or sono dall’allora Pretore di Orvinio (1).
Nei secoli scorsi e probabilmente anche prima della costruzione della nuova Orvinio (Corso Manenti, Via Segni, Via del Giardino, il Borgo ecc.) la Giusdicenza era installata nei locali della casa sita al civico n.2 di via degli Orti (fig.98).
Nella facciata si nota, oltre al portale con arco a pieno sesto anche una bella finestra (oggi murata) a sinistra di esso, ed a frammenti di pietra nobile al portale del piano superiore; subito si nota la nobiltà dell’edificio specie rispetto a quelli circostanti.
L’epoca in cui tanto



(1)   L’autore è stato l’ex Pretore di Orvinio Andreoli avv. Giorgio e tale pubblicazione, da me letta, porta il seguente titolo: “ Le sentenze Capitali nella Curia di Canemorto, oggi Regia Pretura di Orvinio” edita nel 1893 dalla Tipografia Gasperini di Pergola (Pesaro) (formato 12 –17X12 di pag.38). Alla Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma è stata catalogata sotto il n.351. G.22.6.-
(2)   L’archivio della Curia o Giusdicenza del Governo di Canemorto si conserva in Roma presso l’Archivio di Stato, collocato al primo piano del palazzo della Sapienza al Corso del Rinascimento.















Gli Uffici del Comune, quanto quelli della Giusdicenza, abbandonarono i vecchi locali per trasferirsi al Corso Manenti, si perde nella notte dei tempi; ritengo però che tale data non va oltre il secolo scorso.

(A pagina 4C vedere altre notizie)



























           Orvinio - Vecchia Giusdicenza

















CASA DEL MANENTI 


L’insigne pittore cav. Vincenzo Manenti (della scuola del grande Raffaello Sanzio da Urbino) vero maestro del pennello, nacque in Orvinio nell’anno 1600 e precisamente nella casa Fabriani sita in via del Giardino (ora Umberto I) n.4, perché figlio di una Fabriani e lui stesso poi condusse a nozze un altra Fabriani.
Nella facciata della casa (fig.99-100) è stata apposta una bellissima lapide in marmo bianco, per eternare la memoria dell’Illustre Scomparso, opera pregevole del Prof. Ettore Ferrari.
Le sembianze del Manenti, riprodotte nel medaglione in bronzo fissato nella parte superiore di essa, sono state ritratte dal bellissimo affresco esistente nella Chiesa  di S.Maria dei Raccomandati, riproducente S.Francesco che riceve le Stimmate, autodipinto dallo stesso Manenti (fig.7 a pag.17) mentre nella parete superiore sono.........tavolozza con i colori ed i pennelli quali strumenti da lavoro che lo hanno sempre accompagnato nella sua lunga esistenza dell’Illustre Scomparso figlio degnissimo di suo padre anch’egli pittore e maestro del pennello; essa porta incisa la seguente dedica:

                                          ALL’INSIGNE PITTORE
            VINCENZO MANENTI
               GLORIA SABINA
                          QUI’
                OVE NACQUE         IIICENTENARIO MCM – (1900)


Nell’anno 1900 mentre l’apposito Comitato si accingeva a festeggiare il III Centenario della nascita del cav. Vincenzo Manenti, l’anarchico Bresci il 29 luglio 1900 spegneva a Monza, con tre colpi di rivoltella, fra il rimpianto di tutti gli Italiani, il Re d’Italia Umberto I di Savoia, soprannominato “ Il Re Buono”.
Per tale luttuosa circostanza i festeggiamenti in onore del grande  Maestro del pennello, venivano rimandati e si effettuarono con grande sfarzo nel settembre 1904 abbinandoli con quelli in onore  di S.Nicola di Bari Patrono di Orvinio (fig.101).
Vedasi acclusa una copia autentica del manifesto per i festeggiamenti da me gelosamente conservata.
Notisi nel manifesto la marca da bollo apposta a sinistra della parola “Orvinio” in testa al manifesto stesso ed annullata col bollo a calendario dell’Ufficio del Registro di Orvinio sotto la data del giorno 11 settembre 1904.
Il manifesto è del seguente tenore:

ORVINIO


FESTE
In onore del Patrono
S.NICOLA
e
per il III Centenario dalla nascita
dell’insigne pittore Orviniense
VINCENZO MANENTI

PROGRAMMA

17 settembre 1904
  ore 12 - Sparo dei mortari
      18  - Primi Vespri solenni
                                     18 settembre 1904
All’alba – sparo dei mortari
Ore 10  - Solenne messa in musica nella Chiesa Parrocchiale
Ore 11 – Processione del Santo Patrono
Ore 15 – Scoprimento della lapide commemorativa a Manenti, opera dell’illustre Prof.Ettore Ferrari
Ore 18 – Secondi Vespri
Ore 20 – Grandioso fuoco artificiale del pirotecnico Paolo Rosi di Rieti, e innalzamento di globi
               aereostatici  - Illuminazione fantastica.

19 settembre 1904
GRANDE FIERA  DI MERCI E BESTIAME
Ore 16 – Estrazione di una
               TOMBOLA  di £. 350
               a beneficio della locale Società operaia di Mutuo Soccorso divisa come appresso:
               Cinquina in qualunque fila £.50 - 1° Tombola £.200 - 2° Tombola £.100.
               Prezzo di ogni cartella centesimi 55 compresa la tassa di bollo.
Ore 19 – Illuminazione Veneziana ed a Bengala con innalzamento di globi aereostatici.

Le feste saranno rallegrate con servizio speciale dal rinomato concerto di Pescina, diretto dal distinto Maestro sig. Antonio Mercaldo.
     Orvinio 1 settembre 1904
I COMITATI

Avvertenze
a)     In caso di pioggia l’estrazione della Tombola sarà rinviata ad altro giorno da destinarsi con
apposito manifesto.
b)    Per norma dei signori Commercianti e forestieri si rende noto che  è stata aperta al transito  
strada interprovinciale  Orvinio – Percile – Mandela Staz.ne

Foligno – Reale Stabil.to F. Campitelli

In tale ricorrenza il Dott. Armando Lucchetti allora Capo Ufficio dell’Agenzia delle Imposte Dirette e Catasto di Orvinio, compilò a bella posta  il seguente Inno che poi fu musicato dal Prof. Luigi Alessi di Orvinio (questi decesso da pochi anni e trovasi sepolto al camposanto delle Petriane) e fu cantato a gran voce dagli alunni delle scuole di Orvinio per parecchie volte durante i festeggiamenti, accompagnati sempre dalla banda musicale di Pescina (Abruzzi) venuta espressamente per la lieta coircostanza e da quella di Orvinio.
Trascrivo le parole dell’Inno dedicato a questo grande figlio di Orvinio vanto e gloria della nobile vecchia e gloriosa Sabina:

INNO AL CAV. VINCENZO MANENTI

Salve, salve possente Maestro
O splendor della forte Sabina
Nostra gloria tu sei cittadina
Perché Orvinio i natali ti diè

La tua fama d’insigne pittore
Da tre secoli a noi tramandata
Su quel marmo volemmo eternata
Onde ai posteri passi tuttor

Viva, viva il grande pittore
Che la patria sua onorò
Che d’Italia lo splendore
Nuova stella conquistò.

Come i prodi che fero olocausto
Di lor vita sui campi di gloria
Così pure immortali la storia
Chi con l’opre la patria onorò

Salve insigne, il tuo genio d’artista
A niun altro ti rese secondo
E benché tu partisti dal mondo
La tua fama immortale restò.


Viva ognora gridiamo in coro
Il Manenti gran pittor
Che col senno e col lavoro
Alla patria fece onor.

Ho visto con i miei occhi  nei locali sotterranei della Casa Fabriani dove nacque il Manenti, due stemmi in pietra di antica e bellissima fattura; uno appartenente alla famiglia Fabriani, scolpito in un solo blocco di marmo bianco di Carrara, l’altro appartenente alla famiglia Manenti, scolpito in un monoblocco di travertino di Tivoli.
Tempo fa ne ho fatto ricerca perché avevo in animo di farli fissare nella facciata  della Casa, dove certamente in origine dovevano essere collocati, al di sopra  oppure ai lati della lapide del Manenti(fig.99).
Un mio parente che attualmente è proprietario del secondo piano della casa, nomato Fabriani Tersilio, da me interpellato in proposito, mi ha risposto che il dr. Lucchetti, autore dell’Inno al Manenti, siccome faceva parte anche lui del Comitato per le onoranze all’insigne pittore, in tale epoca si faceva consegnare dal suddetto Tersilio i due stemmi suddescritti col pretesto che il Comitato li avrebbe mandati a Roma per ripulirli per bene e poi sarebbero stati collocati nella facciata della Casa, quale degno coronamento della lapide.
Gli stemmi non sono più tornati e per quante ricerche ho fatte s’ignora dove siano andati a finire.
Non è da escludersi che il dr. Lucchetti, conoscendo oppure  semplicemente intuendo il pregio storico artistico degli stemmi in questione, approfittando dell’altrui buona fede, ne abbia fatta una fonte di guadagno a tutto vantaggio personale.
L’anno scorso la facciata sottostante alla fascia di pietra dove poggia la lapide, poiché minacciava di crollare, è stata abbattuta e rifatta, però l’ubicazione delle porte non è quella originale; dal primo piano in su non è stato toccato nulla e la facciata è rimasta integra nella parte superiore.
Nel refettorio del Monastero di Subiaco esiste una grande pittura di parecchi metri quadrati di superficie, opera dell’insigne pittore cav. Vincenzo Manenti orviniense; si ritiene che tale pittura sia il capolavoro dell’insigne maestro.
N.B. Vincenzo Manenti, figlio di Ascanio (abruzzese e pittore anche lui, morto pochi anni prima dl figlio) nacque in Orvinio nel 1600 e morì in Orvinio stesso, l’anno 1674.
Tanto il Vincenzo che il padre Ascanio sono stati seppelliti entrambi nella tomba della famiglia Fabriani esistente nella Chiesa di S.Maria dei Raccomandati .
Per la storia, Vincenzo ebbe molti figli, uno dei quali fu iniziato alla pittura anche egli ma poi nulla più si è saputo di lui; forse abbandonò la pittura, preferendo qualche altra professione, mentre un altro figlio fu ucciso da un certo Ragazzoni di Orvinio. 



















Vecchie Carceri





In via del Giardino (ora Umberto I) annesso al Castello e precisamente al civico n.16 esisteva il lugubre fabbricato delle vecchie prigioni dell’epoca degli Orsini e dei Muti, dove venivano rinchiusi e predestinati alla tortura oppure ad essere soppressi con procedura sommaria e senza tanti complimenti.
Il sinistro edificio dopo il 1860 era adibito a Carcere Mandamentale ed ha funzionato come tale fino agli anni della guerra mondiale (1915-1918).
In tale epoca essendo proprietario anche del Castello un certo Remo Parodi-Salvo di Genova, affidava ad alcuni ingegneri di fiducia il restauro del Castello. Costoro, poco amanti della storia, decidevano fra l’altro, l’abbattimento dello storico edificio fino alla sommità del piano terreno, senza che le autorità locali elevassero protesta alcuna onde impedire si grande sconcezza.
Attualmente è rimasto solo il bel portale a pieno sesto con pietre bugnate (fig.104) con antistanti quattro gradini in pietra per l’accesso all’edificio.
Sovrastante al portone, l’attuale proprietario S.E. Filippo Cremonesi, Senatore del Regno, Ministro di Stato e Presidente della Croce Rossa Italiana, ha fatto apporre una pietra su cui spiccano a sinistra tre fasci littori e la seguente scritta:

RURI TIBI VIVAS
ALII CUM VIXERIS URBE
A.D. MCMXXXIV  - (1934)

Prima che l’edificio fosse abbattuto ricordo bene di avere visto che sulla facciata, all’altezza del secondo piano ed immediatamente sotto il tetto vi era un grande affresco riproducente una sacra Immagine; subito sotto sporgeva  dal muro per circa un paio di metri, un travicello di legno quadrato dello spessore da quindici a venti centimetri di lato.
In basso, perpendicolare al travicello ed immediatamente a destra dei gradini esterni guardando il portone ed a circa ottanta centimetri da terra, era fissata al muro una campanella o anellone di ferro dello spessore di circa venticinque millimetri e del diametro da quindici a venti centimetri circa.
Dopo l’abbattimento dell’edificio nella sua parte superiore, pur essendo scomparsi  sia l’affresco che il travicello, la campanella era stata risparmiata e continuava a stare al suo posto:
Recatomi colà giorni or sono, con mio grande stupore ho notato che anche quest’ultima era stata divelta ed il muro rabberciato di recente; certamente deve  averla fatta togliere  l’attuale proprietario  Senatore Cremonesi, ignaro forse della importanza storica di essa ed in tal modo ha voluto contribuire anche lui alle barbare manomissioni contro lo storico edificio.
Preciso che la capriola della campanella era fissata dentro il muro tra due blocchi di pietra durissima, comunemente chiamata pietra scagliola, e l’anello a forza di battere contro di essi, aveva consumata la  pietra imprimendovi le sue orme tanto nel blocco inferiore che in quello superiore, specie al primo con scanalatura profonda di due o tre centimetri; lascio giudicare al lettore da quanti secoli eravi stata apposta .
Orbene il travicello e la campanella facevano parte, insieme ad una corda ed una carrucola che venivano applicate al momento del supplizio, di un terribile strumento di tortura tremendamente atroce, dove si davano dei cosiddetti “tratti di corda”.
Il suo funzionamento si effettuava nel seguente modo: - Il candidato veniva solidamente legato ad una estremità della corda con le braccia a tergo, mentre l’altra estremità della corda stessa veniva passata attraverso la carrucola che era stata già fissata all’estremità del travicello e quindi veniva assicurata per bene alla campanella.
Il predestinato, dopo legata la corda alla campanella, veniva a risultare sospeso alla corda e sollevato da terra circa un metro; il carnefice allora ad un segnale stabilito, tirava la corda dalla parte dell’anello  ed il condannato veniva sollevato fino ad una altezza stabilita adeguata alla punizione, quindi lasciatala d’un colpo, il corpo dell’infelice precipitava con veemenza nel vuoto.
Poiché per il modo con cui era stato legato, il corpo del torturato non poteva toccare terra con i piedi, nello strappo violento che si verificava, il meglio che gli poteva capitare, da simili carezze, era la slogatura delle braccia.
Giustizia dei tempi oscuri!!…
Si racconta, pure, che in tale epoca, allorché due giovani fidanzati si univano in matrimonio, la sposa subito dopo celebrato l’atto nuziale, doveva essere immediatamente presentata  al Signore proprietario del Castello, dominatore unico ed assoluto di Orvinio.
Se era brutta e a questi non piaceva, veniva rimandata dallo sposo che ansiosamente certamente l’attendeva; nel caso opposto invece, la sposa veniva trattenuta al Castello ed obbligata a trascorrere  la prima notte di matrimonio, anziché con lo sposo che mordeva di rabbia, col proprietario del Castello, signore e padrone di Orvinio.
Chi poteva ribellarsi a tali prepotenze?
Erano guai molto seri per entrambi gli sposi che malauguratamente avessero consumato il matrimonio precedentemente; li attendevano i cupaci trabocchetti del Castello.
Che bei tempi che dovevano essere quelli!!
Per noi Fascisti del tempo di Mussolini sono incomprensibili.





















 

Via della Passeggiata





La via della Passeggiata si diparte da Piazza Girolamo Frezza dove è il bel monumento ai caduti in guerra, opera dello scultore Tamagnini di Perugina, sormontato dalla statua bronzea raffigurante “La Gloria”  e costeggiando il muro di cinta della Villa o Parco del Castello, arriva fino al torrione con sottostante torre di difesa .
In quel punto si allaccia con il tratto di via della Passeggiata, ora Quattro Novembre, percorrente entro l’abitato per poi, attraverso il Corso Manenti, Porta Romana e Piazza Garibaldi, formare l’anello della via di Circonvallazione.
Essa da Piazza Girolamo Frezza fino al Torrione, è stata costruita circa sessanta anni or sono a proprie spese e donata alla Cittadinanza di Orvinio, dall’Ecc.mo Principe Don Paolo Borghese che in tale lasso di tempo era proprietario sia del Castello che del terreno sottostante alla via della Passeggiata (e precisamente del nuovo tronco costruito) denominato “La Torre o Torra”.



































Fornaci di Vallebona
e
Chiesa di S. Giovanni



Seguendo la strada mulattiera che da Orvinio conduce a Scandriglia, oltrepassato di poco il Monte di Vallebona e prima di giungere in località “Pratarella”, a sinistra della strada stessa e prossima ad essa, esiste una località nomata “Fornaci”.
Ivi fino  verso la metà del secolo scorso vi erano dei forni, comunemente dette fornaci, dove si fabbricavano e cuocevano degli ottimi mattoni ed embrici in terracotta, ad uso di Orvinio e dei paesi limitrofi.
I pavimenti delle chiese di S.Nicola di Bari (da pochi anni sostituito con mattonelle unicolori di cemento a forma esagonale), di S.Maria dei Raccomandati e relativo convento annesso ora adibito a scuola, asilo infantile e abitazione per le Suore, di S.Giacomo, di S.Maria di Vallebona e di S.Giovanni, sono stati costruiti con i mattoni forniti dalle fornaci suddette.
Allo stato attuale si nota un grande piazzale, i ruderi dei forni, avanzi di pilastri che sorreggevano i capannoni ed anche la cava della materia prima, l’argilla.
La chiesetta di S.Giovanni sorge in prossimità delle fornaci suddette, e più precisamente  in località S.Giovanni.
E’ una piccola chiesetta a forma rettangolare della superficie  interna di circa cinquanta metri quadrati, avente un solo altare posto al centro della parete di fronte alla porta d’ingresso.
L’altare era sormontato da un quadro ad olio con cornice di circa un metro quadrato riproducente S.Giovanni ed era conservato nella Sagrestia della Chiesa di Vallebona.
Sembra che sia stata officiata  fino verso il 1875 ed in essa vi si recavano processionalmente gli Orviniensi per poi raggiungere la Chiesa di Vallebona.
Attualmente restano solo i muri, la porta è stata divelta ed il tetto scoperchiato; fra qualche tempo cadranno anche i muri e con la campagna circostante si confonderà anche il punto dove fu fabbricato con tanto amore il sacro edificio.
Altre fornaci similari alle suddette, dovevano certamente senza dubbio alcuno esistere in Orvinio nei paraggi della Chiesa di S.Giacomo in prossimità dell’attuale Largo Benito Mussolini, perché nei suoi pressi e precisamente il fondo “Canapine” non era altro che una cava di argilla, facilmente riconoscibile per la sua forma concava e dalla terra argillosa ivi esistente, ottima per farne embrici e mattoni nonché tegole romane.
Che siano state proprio queste le fornaci che fornivano il materiale di terracotta occorrente all’antica Orvinium? Ritengo di si.

Su e giù per Orvinio

 

Antichità e Varie







Nel giardino del cav. Uff. Armando Alessi sito al n.43 di via Cesare Battisti (già via Nuova) sopra un’erma di pietra è collocata  un’antichissima testa muliebre in marmo bianco di Carrara (fig.122) grande due volte il naturale e forse appartenente a qualche statua  rappresentante una divinità pagana e che certamente è proveniente dall’antica città di Orvinium.
Nella stessa via e precisamente al n.41, in un locale di proprietà di Alfonso Scanzani, al posto della soglia è stata collocata una grossa pietra di travertino proveniente dai ruderi del Castello dell’antica città Sabina di Vesbula situata in vetta al monte denominato Morretta o Pietra Demone in territorio di Scandriglia.
Essa fu trasportata e messa dove attualmente è collocata, da Benedetto Taschetti di Orvinio, l’anno 1761; su di essa si legge..OVA CACUNO F.C. (fig.6) il Biondi interpretò per IOVI CACUNO FACIUND CURAVIT, ritenendo ivi la possibile esistenza di un tempio a Giove sul “Cacumen”, vale a dire sulla cima della montagna.
Al n.39 di via Vincenzo Segni esiste un bellissimo portale a pieno centro; lo stipite è formato da pietre che in origine facevano parte di un fregio di trablazione dorica, con metope e triglifi provenienti da qualche importante edificio dell’antica Orvinium.
Al corso Manenti nella casa distinta col n.71 di proprietà di Alessi Mariano esisteva fino a pochi anni or sono, un bellissimo ed antico portale in travertino a forma gotica con sesto acuto.
In seguito ad alcuni restauri, il porttale con l’aggiunta di nuove pietre fu trasformato a forma rettangolare.
Le basi, i verticali e la chiave dell’arco del vecchio portale sono state utilizzate a formare la nuova porta, mentre le altre, dai novelli vandali, sono state spezzate per essere utilizzate come pietre comuni nel rifacimento del muro stesso.
Anche questo signore merita di essere incluso nell’elenco dei barbari del bello e dell’arte.
Al portone n.7 di via Vincenzo Segni, appena entrati, guardando sul bel soffitto di legno, si nota la seguente scritta intagliata su di una traversa di legno : IVL-IAC-1651-RES.
Nell’anno 1914, mentre era sindaco di Orvinio il Comm.re Filippo Todini, sopra la Porta Romana (fig.105) veniva sistemato nell’apposita torretta ivi costruita un orologio a doppio quadrante di vetro (fig.106). Per i pesi furono fatte delle aperture verticali alle spallette della porta stessa, dalla sommità dell’arce fino a terra.
Con tale lavoro venivano divelti gli antichi cardini di ferro che avevano sostenuto fino verso la metà del secolo scorso la grande porta di legno ora scomparsa.
Ricordo di avere veduto che i cardini in sito erano cinque, tre a volta interna dell’arco e due a sinistra entrando alla porta; mancava solo quello in basso che forse sarà stato tolto quando fu abbattuta la grandissima porta di legno.
I cinque cardini sono spariti ed anche gli autori di tale scempio, che poteva essere evitato perché si potevano benissimo rimettere  a posto dopo praticate le aperture, meritano anch’essi l’onore di essere segnati al libro nero dei barbari del bello, della storia e dell’arte.
L’acqua della Fonte Vecchia che sbocca in prossimità dei lavatoi dietro la grande fontana in via Roma, in prossimità di Piazza Garibaldi (fig.108-109) nasce nei paraggi dell’Immaginetta (fig.117) sul colle della Guardia, ma si ignora il punto preciso della sorgente.
Circa ottanta anni fa, essendosi verificata una dispersione di acqua per guasti prodottisi nella tubatura in terra cotta, fu deciso di fare delle ricerche ed i lavori furono affidati ad un certo Alessi Luigi, soprannominato “Scarpetta”, muratore di Orvinio.
Questi faceva aprire dei cavi alla sommità della via Nuova (ora Cesare Battisti) e riallacciava l’acqua, facendola defluire in un tombino centrale costruito sotto il suolo stradale ed in corrispondenza del civico n.21.
Ad indicare il punto preciso esiste nel muro di cinta del giardino del cav. Uff. Armando Alessi un sasso scoperto risparmiato dall’intonaco; ebbene all’altezza di questo sasso trovasi il tombino di raccolta delle acque.
Nei locali del Municipio di Orvinio si trovano circa un migliaio di mortaretti di acciaio, ivi compresi i cosidetti mortaroni, alcuni dei quali tre o quattro volte più grandi dei normali ed uno di dimensioni ancora più grandi, della capacità di circa tre litri che viene esploso per ultimo a conclusione della sparatoria che si effettua nelle grandi feste e quindi il suo colpo è infinitesimamente più forte dei fratelli minori.
Essi sono di acciaio fuso di un solo pezzo a forma cilindrica con la base un po più ampia in modo da stre bene in piedi.
Nella parte superiore sono a bocca aperta mentre quella inferiore è a fondo chiuso; un foro di circa 5 millimetri di diametro è praticato nella parte inferiore a circa un centimetro dalla base ed all’altezza dl piano del fondo interno attraversando la parete in senso orizzontale, comunica con l’esterno.
Le loro dimensioni sono circa le seguenti: altezza centimetri dieci, larghezza interna centimetri tre, esterna quattro; alla base centimetri cinque.
Si caricano per circa la metà inferiore con polvere pirica e per il resto calcina compressa a
 suono di solenni martellate; fra la polvere e la calcina si introduce un pezzo di carta qualsiasi. Si collocano su una strada o zona periferica (ad Orvinio di solito vengono sparati o in via della Passeggiata da Piazza Girolamo Frezza al Torrione oppure in cima al Colle della Guardia) con il foro rivolto ad una sola parte già prescelta e si pongono ad una distanza che varia da centimetri 50 ad un metro.
Per ciascun mortaretto  si mette un po di polvere pirica a terra in corrispondenza del foro e questo è già stato riempito di polvere stessa, avendo cura che la comunicazione delle polvere esterna con quella interna, attraverso il foro, sia perfetta.
Al momento dello sparo il fuochista munito di una canna lunga circa un metro e venti centimetri, munita di miccia accesa alla estremità inferiore, dà fuoco alla polvere esterna causando lo sparo dei singoli mortaretti alla distanza di qualche secondo uno dall’altro senza interruzione.
Le cosidette batterie (volgarmente battagliere) sono costituite da un numero a piacere di mortaretti (normalmente da venti a cinquanta o giù di lì) vengono collocati in circolo irregolare con il foro rivolto nella parte interna ed alla distanza di circa trenta centimetri uno dall’altro.
Tutti i mortaretti del circolo vengono uniti con una linea continua di polvere pirica ed il fuochista, accostando la miccia in un punto qualsiasi della linea della polvere del circolo, si pone in disparte;
appiccato il fuoco, i mortaretti della cosidetta batteria, esplodono con grande fragore quasi simultaneamente.
Per ogni sparatoria si formano più batterie ad una certa distanza  una dall’altra, in modo che dopo sparata la prima, prima di giungere alla seconda vi sono fra di esse gli spari dei mortaretti singoli.
A conclusione della sparatoria si pone sempre una batteria più numerosa forse di un centinaio di pezzi ed allora risultando il circolo più grande si pongono anche mortaretti nell’interno di esso a croce o in linee orizzontali ma tutti collegati con la polvere pirica; nel punto opposto a quello in cui verrà appiccato il fuoco si fa una diramazione con polvere lunga circa un metro dal circolo ed in contatto con esso ed alla estremità esterna si colloca il più grande mortarone che esplode per ultimo.
Lo sparo di questi coincide presso a poco quando durante le processioni religiose il Santo portato in processione risulta nel giro di ritorno in prossimità di Porta Romana.
I mortaretti sono stati acquistati nel modo seguente e tutti prima dell’anno 1860, anno in cui Orvinio cessò di appartenere allo Stato Pontificio e venne incorporato nello Stato del Regno d’Italia.
Nello Stato Pontificio tutti i negozi erano privative, e quindi vi era un solo caffé, una sola bettola, una macelleria, una pizzicheria, un forno, ecc..
Era consuetudine che ogni anno ciascun appaltatore di singola privativa doveva acquistare a proprie spese un nuovo mortaretto e regalarlo al Municipio onde aumentarne il numero e sostituire quelli che eventualmente scoppiavano, si perdevano durante gli spari o venivano sottratti.
Questo è un dettaglio preciso che mi è stato riferito da molte persone da me interpellate  e che hanno vissuto l’epoca prima del 1860.
I colombi, comunemente chiamate “palombelle” sono stati introdotti per la prima volta ad Orvinio verso l’anno 1885, ad opera dell’Ecc.ma Casa dei Principi Borghese che li fecero venire da Roma.
La tradizione vuole che la famiglia Taschetti di Orvinio sia oriunda della antica città di Vesbula (comunemente detta Pietra Demone o Morretta) e la famiglia Biscossi provenga da Castello Sinibaldi.
L’impianto della luce elettrica di Orvinio è stato inaugurato nell’anno 1914, in sostituzione di quello a fanali con lumi a petrolio, dal comm. Filippo Todini ed a sue proprie spese, come pure a spese dello stesso Todini, quasi contemporaneamente alla luce elettrica, fu inaugurato il servizio postale automobilistico Orvinio-Stazione Ferroviaria di Mandela, precursore di quello Orvinio-Roma che seguì circa dieci anni dopo.
Al n.5 di Piazza Garibaldi si ammira un bellisssimo portale di marmo di Cottanello.
Nella stessa piazza, sulla chiave dell’arco del portale distinto col n.2 è inciso quanto segue:

M.D.
C. III

Trattasi probabilmente della data 1604 e deve riferirsi certamente  all’anno della sua costruzione.
Nelle pietre degli architravi di entrambe le finestre situate al secondo piano sopra alle porte distinte con i numeri civici uno e tre del corso Vincenzo Manenti è stato inciso in caratteri romani:
IOSEPH. AN.TASCAE” riferentisi probabilmente al proprietario dell’epoca, appartenente alla famiglia Taschetti.
Riferentisi a varie epoche esistono vari stipiti in pietra di portoni e finestre abbastanza interessanti, alcuni dei quali bellissimi ed anche bene conservati; ne indicherò quì di seguito la loro precisa ubicazione:
-Salita del Borgo, al primo piano sopra le porte nn.tre e quattro, due finestre.
-Corso Manenti n.23 caratteristico e bel portale.
-Corso Manenti n.91, bellissimo portale con caratteristiche mensole che sostengono l’architrave.
-Corso Manenti al primo piano sopra il portone n.92, bellissima finestra.
-Corso Manenti, finestra al primo piano sopra il portone n.93; questa finestra si riferisce forse alla  casa del portale n.91 di cui sopra.
Nella facciata della casa situata in via della Passeggiata in angolo col Corso Manenti (ora Quattro novembre) e di proprietà dei fratelli Francesco e Gioacchino Alivernini, distinta al n. civico (fig.107) si notano un bel portale e due finestre.
Sempre nella stessa via al n.29, avanzi di nobile portale e nella stessa casa tre finestre che si affacciano sulla via di Porta Vecchia delle quali, una all’inizio della discesa e due nei due piani alla facciata opposta al portale.
Altra finestra al primo piano sopra il portone n.61 della stessa via della Passeggiata.
Dentro l’abitato si notano delle Sacre Immagini e precisamente :
Al corso Manenti tra le due finestre al primo piano della Casa n.1, di proprietà di Anna Mancini in Zacchia, esiste una bella edicola con quadro dedicato alla Madonna della Provvidenza (fig.115).
Nella stessa via, della casa distinta col n.30 di proprietà di Elisa Marcangeli in Tani, notasi una vecchia edicola con visibili tracce di pitture; esiste ancora in sito il braccio in ferro battuto ancora bene conservato e che sosteneva il fanalino scomparso.
Via Roma, al primo piano della casa n.1, entro una nicchia, quadro ad olio riproducente la Madonna di Vallebona (proprietà di Livio Alessi).
Via della Passeggiata, presso il Torrione, nel muro di cinta del Parco del Castello di S.E. Filippo Cremonesi, in prossimità di un angolo entro una nicchia in pietra e sportello in ferro a vetri, Sacra Icone della Madonna di S:Agostino.
Via di Porta Vecchia, facciata della casa distinta col n.11, affresco del grande  taumaturgo S.Antonio di Padova.
Al 2° piano di via Cesare Battisti e precisamente al n.40 esiste una nicchia vuota, ma che certamente in altri tempi doveva contenere qualche Sacra Immagine; ciò si desume anche dall’esservi conficcato un gancio nella parte superiore della nicchia e ad esso attaccato un pezzo di filo di ferro.
Nella parte interna del muro del giardino di proprietà del cav. Uff. Armando Alessi sito in via Cesare Battisti n.43 esiste una bella nicchia rivestita con mosaico d’oro con cornice di marmo bianco scolpita e arabescata e sovrastante riparo fisso con vetri colorati e lanternino di ferro battuto.
Entro la nicchia è stata collocata una statuetta bellissima in marmo bianco riproducente S.Teresa del Bambino Gesù (fig.114).
Fuori dell’abitrato esistono tre cappellette in punti diversi del territorio; una in località “La Chiusa”, prossima al mulino di cereali omonimo dedicata alla Madonna della Pietà (proprietà di Nicolino De Angelis) (fig.116).
Una seconda situata al bivio della località “Immaginetta” fra la strada che conduce a Vallebona e quella al Colle della Guardia, dedicata all’Immacolata Concezione (proprietà di Augusto Petrucci) (fig.117) e la terza in località S.Benedetto o Madonnella dedicata alla Madonna di Lourdes di proprietà di Sante Biscossi (fig.118).
La prima si chiama comunemente Madonna della Chiusa, la seconda Immaginetta e l’ultima Madonnella.
Nell’aprile 1849, diretto alla difesa di Roma, dimorò in Orvinio l’Eroe dei due mondi, Generale Giuseppe Garibaldi ed alloggiò nella casa  in Piazza Garibaldi n.1 di proprietà della famiglia Morelli e precisamente nella stanza al secondo piano avente la finestra in prossimità dell’angolo con la salita del Borgo ed in asse con via Roma e la porta della chiesa di S.Giacomo (finestra di mezzo della fig.7).
Nell’Archivio del Comune si conservano delle lettere autografe del Generale Garibaldi, ricordo di averle vedute anche io, ma anziché essere conservate con amorevole cura sono state vilemente trafugate ad opera di persone prive di onestà.
Anche costoro meritano l’onore di essere segnati al libro nero dei rapaci e distruttori del bello, della storia e dell’arte.
Ignorasi se insieme  al prode Generale abbia dimorato ad Orvinio anche la sua moglie Anita, degna sua compagna, morta tre mesi dopo nelle campagne Tosco-Romagnole in seguito ai grandi stenti e disagi sopportati con stoica virtù Italiana; le probabilità e qualche punto di appoggio ci sono che lei sia stata ad Orvinio, ma non è accertato, il compito è riservato ad altri.
Attualmente esiste ancora il letto dove dormì il Grande Generale; non sarebbe male, anzi sarebbe doveroso da parte del Comune di Orvinio si prendesse l’iniziativa di farsi promotore affinché tale stanza con gli arredi dell’epoca di Garibaldi fosse dichiarata Monumento Nazionale e posta alla venerazione dei posteri.







A ricordo di tale avvenimento, sulla facciata è stata murata una pietra di marmo (fig.111-112-113) con la seguente dedica ivi scolpita ad eternare tale avvenimento:

In questa casa
Diretto alla difesa di Roma
Dimorò nell’Aprile 1849
Giuseppe Garibaldi
A perpetuo ricordo
Il Municipio di Orvinio
Pose il 20 settembre 1884




































Nell’anno 1928 ho dedicato ad Orvinio il seguente “Inno” (fig.119) da me composto ed è adattato ad un semplice motivo di bell’effetto musicale sia se cantato a soli che in coro e specie se accompagnato da strumenti musicali e meglio da complessi bandistici.
La tiratura l’ho fatta effettuare solo con milleesemplari compreso quello a fig.15

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inno a Orvinio

(antico Orvinium)
Parole
di Amaranto Fabriani
(da cantarsi sull’aria di Valencia)

Orvinio , perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua stella
Della luce la più bella
Orvinio, sei immensa nella gloria
E di Te parla la storia
Più grande sempre noi Ti vogliamo
E quest’Inno a Te eleviamo

Manenti il gran pittore
Nel marmo è già eternato
Frezza grande incisore
Che dev’essere onorato
Santa Maria del Piano
Gioiello del secolo Nono
San Giacomo del Bernini
Il Castello co’ suoi giardini

Orvinio, perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua Stella
Della luce la più bella
Orvinio, pel presente e pel passato
Dai vicini sei invidiato
Sii sempre, vigilante sentinella
Della nostra terra bella

Garibaldi il generale
Diretto alla Capitale
Nell’aprile quarantanove
Venne a te verso le novembre
Nel Tuo grembo fu ospitato
E dal Tuo popolo fu acclamato
Nel palazzo dei Morelli
Vi passò dei giorni belli

Orvinio. Perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua stella
Della luce la più bella
Orvinio, dall’acqua Tua cristallina
E dall’aria sopraffina
Tu sei, dolce luogo incantatore
Dalle donne piene d’amore

Fra le tue cose più belle
Prime vengono le Zitelle
E fra quelle più pregiate
Sono certo le Maritate
Ci son pure le Vedovelle
Anche loro graziose e belle
Sempre pronte a conquistare
Un altro uomo da sposare

(maggio 1928 anno VI E.F.)





In seguito al mio tenace interessamento presso le Autorità Capitoline, ho potuto ottenere che anche Orvinio fosse compreso fra i nomi delle vie dell’Urbe.
Ebbene la mia fatica è stata coronta dal successo e dall’anno 1935 “via Orvinio” è una realtà palpabile che chiunque può vedere per sincerarsene. Essa si diparte da via di Villa Chigi, che percorre la fronte della villa omonima, ed è ubicata di fronte a  Villa Savoia, proprietà del nostro amato Sovrano, ed è in prossimità del luogo dove sorgeva l’antica città sabina “Antemnae” (oggi Andenne).
Allego due fotografie eseguite in sito nell’anno stesso della sua nascita (1935) e la persona che si vede è lo scrivente (vedere fig.120 e 121).
In prossimità della Casa Parrocchiale e più precisamente fra i civici numeri 69 e 71 del Corso Vincenzo Manenti, a circa un metro di altezza dal piano stradale, esiste una finestra  munita di inferriate a forma romboidale.
Sul davanzale della stessa è stata posta un’antica pietra in travertino e sul lato superiore di essa è scolpito quanto segue:
       + ED ENOCE  O M LV
Apparteneva forse alla prossima Chiesetta medioevale ora scomparsa e sostituita dall’attuale Chiesa Parrocchiale??


















                                Roma - Via Orvinio
                                E’ situata di fronte a Villa Chigi ed in prossimità
                                di Villa Savoia residenza del nostro amato Sovrano

Caduta di

 Meteoriti




Ricordo che il Prof. Luigi Alessi di Orvinio, morto alcuni anni or sono e sepolto al Cimitero delle Petriane, ebbe a raccontarmi il seguente episodio:
Un giovane pastore di  Orvinio, tale Gioacchino figlio di Pietro Riscossi un giorno trovandosi in un prato, in località Pratogrande (volgarmente Praturanne) intento a far pascolare  il proprio bestiame.
Benché fosse una bella giornata col sole splendente ed il cielo terso privo di qualsiasi nube, tutto ad un tratto la sua attenzione fu richiamata da uno strano rumore simile a quello prodotto dall’imminenza di un grande temporale.
Incuriosito per tale fatto insolito, tanto più che intorno a lui regnava il silenzio più profondo, pose maggiore attenzione con la speranza di poter scoprire e rendersi conto dell’insolito fenomeno.
Infatti immediatamente dietro a lui sentì il rumore specifico prodotto dalla caduta come di un sasso lanciato con veemenza.
Il Biscossi si voltò istintivamente, ma contemporaneamente quà e là intorno a lui, si verificarono altre cadute come la prima.
Riavutosi dallo spavento provato in seguito all’inspiegabile  episodio cui involontariamente era stato spettatore, incuriosito volle fare una accurata ricognizione nei punti dove, come diceva lui, erano caduti dei...sassi.
Con molta fatica riusci a tirare fuori dal terreno i vari...sassi che, data la veemenza nella caduta, si erano conficcati abbastanza profondi nel prato; li raccolse e la sera tornando ad Orvinio li portò a casa.
Fu informato dell’accaduto il sig.Vincenzo Segni, allora Sindaco di Orvinio, il quale fattosi consegnare tutto il materiale raccolto lo portò a Roma ove fu accertato trattarsi di meteoriti.
Al suo ritorno in Orvinio, assicurò di averli fatti collocare in un Museo della Città Eterna, per essere colà conservati ed ai quali fu imposto il nome di “Orvinite”.
Il fatto è avvenuto verso l’anno 1875.
Quanto suddescritto mi è stato confermato anche dallo stesso Gioacchino Biscossi sprannominato “Lu Vecchiu” morto parecchi anni or sono.
Con un po’ di pazienza i suddetti bolidi potrebbero anche essere rintracciati da una persona di buona volontà.

N.B. In seguito a mie ricerche, ho potuto appurare quanto segue:
La caduta dei suddetti meteoriti avvenne alle ore 5,15 antimeridiane del giorno 31 agosto 1872.
Dal Museo di Mineralogia presso la Regia Università di Roma, esiste un solo frammento (da me esaminato) così classificato: Condrite bronzitica nera – Orvinite – frammento in buona........del peso di grammi 710 . Altri tre frammenti di Orvinite si conservano presso i seguenti Istituti:
-Museo Mineralogico presso la Regia Università di Torino-frammento del peso di grammi 80.
-Museo Mineralogico presso la Regia Università di Bologna-frammento del peso di grammi 32.
-Museo Civico di Storia Naturale presso la Regia Università di Milano, del peso di grammi 15.
Come vedesi i pezzi raccolti e conservati sono quattro complessivamente; non si sa con esattezza se i bolidi caduti siano stati soltanto quelli sopra elencati, oppure se qualche altro è andato disperso.
Al riguardo se ne sono interessate le seguenti pubblicazioni:
-F. Millosevich – Le Meteoriti del Museo di Mineralogia presso la Regia Università di Roma -Tipografia Bardi – Roma 1928.
-L. Lipoez – Analysem Meteorites von Orvinio – Tscherm – Mineral, III – Wien 1874





 
 












Castello Sinibaldi




In località “Castellu“, soprastante ad un mulino idraulico con due macine per cereali portante il nome della stessa località ed in prossimità del vocabolo Vigne Secche, su di un amena posizione di rimpetto alla località denominata “Selva“ fronte a Montorio in Valle, sorgeva il paese di Castello Sinibaldi, comunemente nomato “Castellu“.
Ignorasi la sua data di nascita, quando da chi e come fu distrutto, nonché l’epoca in cui fu abbandonato dai suoi abitanti.
Attualmente sono bene conservati gli avanzi di due torri, poste certamente a difesa della porta del paese (forse l’unica che esistesse) e nella parte che guarda verso Orvinio.
Quà e là esiste ancora qualche piccolo rudero della cinta e dei fabbricati scomparsi.
Allo stato attuale non è possibile stabilire esattamente il suo perimetro, però con un pò di buonavolontà si riesce ad intuirlo.
Il paese deve ritenersi di epoca medioevale e certamente dopo il mille dell’era volgare e la sua popolazione contava  sulle cinquecento anime.
Circa quaranta anni or sono il proprietario di quel terreno certo  Ragazzoni Vincenzo di Orvinio, soprannominato “Lu Rusciu”, perché di capigliatura bionda, col miraggio di poter eventualmente rinvenire un qualche tesoro, con molta fatica  riuscì ad aprire un piccolo varco attraverso le spesse e poderose mura della torre di sinistra entrando e precisamente quella a monte della gemella e che è più grande e più alta dell’altra.
Praticato un piccolo pertugio, attraverso il foro si calò nell’interno della torre ove sul fondo di essa trovò solo una buona quantità di grano ma tutto bruciacchiato ed annerito forse dal fumo.
Da tale scoperta si deve arguire che l’abitato di Castello Sinibaldi fu distrutto quasi certamente da un incendio e gli abitanti scampati furono costretti a rifugiarsi in altri centri vicinori.
La famiglia Biscossi di Orvinio sembra che provenga da Castello Sinibaldi.
Mi è stato assicurato da più persone che attualmente in località Vignesecche, prossime all’abitato di Castello Sinibaldi, località quanto mai pittoresca e bene situata, con ottima terra per buone coltivazioni, esistono in vari punti alcuni mucchi di sassi, comunemente chiamati “maceruni”.
Su di essi sono cresciuti molti rovi e piante selvatiche che li ammantano completamente; ebbene in mezzo a quella spontanea vegetazione esiste e vegeta ancora qualche pianta di vie e di fichi.
Tali piante non sono certo nate sole ma saranno una riproduzione delle loro antenate poste a dimora per mano dell’uomo e pertanto si deve ritenere per certo che tali piante siano lo sparuto residuo dei vigneti ivi esistenti piantati dai Castellani.
Di fronte a Castello Sinibaldi dalla parte della torre suddetta esiste la località denominata “Selva”.
Il terreno ivi è cosparso di una miriade di pezzi di tegole romane: mattoni e embrici di terracotta.
La tradizione vuole che colà esistesse una fornace di laterizi in terracotta; io ritengo che ivi invece esistesse la necropoli di Castello Sinibaldi perché è alle falde del monte dove esisteva il paese distrutto.
Basterebbe fare uno scavo con metodo di appena qualche metro di profondità e sono sicuro che il mistero sarebbe squarciato e la realtà mi darebbe certamente ragione.

Notizie accertate posteriormente: Dai seguenti documenti trascritti nel Regesto di Farfa, risulta che fra gli anni 1036 e 1090 d.c. esisteva il castello o rocca Senebaldi o Sinebaldo (da non confondere con Rocca Sinibalda situata verso Rieti) perché la sua ubicazione è posta in prossimità di Orvinio, Pozzaglia e il fiume Turano:
-       Documento 567 – anno 1036 –Volume III – pag.274.
-       Documento 1095- anno 1084 – Volume V - pag.90
-       Documento 1255 – anno 1090 – Volume V – pag.235.

























 

 

 






Monte Castellano

 



La tradizione vuole che al vertice del monte Castellano, a tergo del vecchio paese di Vallebona dove esiste la chiesa di Vallebona descritta a pag.8B, esistesse un paese.
Nella parte più alta del monte stesso, in una posizione dominante e suggestiva, di rimpetto alla località Pratarella, si nota una specie di grande piazza abbastanza piana.
Esaminando bene la configurazione del terreno si è portati a credere che tale spianata non sia proprio naturale, ma peraltro fatta ad opera dell’uomo.
Da molti abitanti di Orvinio, concordi nell’asserzione, ho sentito dire che ivi esistono anche dei ruderi in più punti e bene conservati quali avanzi residuali dell’antico abitato.
Tale fatto confermerebbe la tradizione dell’esistenza del paese stesso e che probabilmente si chiamasse col nome di “Monte Castellano” o semplicemente “Castellano”.
Da un sopraluogo da me ivi eseguito non ho rinvenuta alcuna traccia di ruderi più o meno cospicui.
Forse qualche avanzo di muri ancora superstiti ci sarà senza dubbio come mi viene assicurato, ma certamente sarà rimasto interrato oppure sarà nascosto dalla selvatica vegetazione.
Dall’insieme del luogo si può ritenere che fosse di proporzioni modeste, molto più piccolo di Vallebona e forse anche di Castello Sinibaldi.
La sua origine e la sua distruzione si perde nella notte dei tempi.
























Memento Homo




Le donne Sabine rapite al “Ratto”, secondo Dionigi, furono 683 (seicentottantatre) compresa la bellissima Ersilia riservata sposa a Romolo, primo Re di Roma.
I Sabini, decisi a lavare nel sangue l’onta subita, si prepararono in silenzio alla guerra e l’anno seguente al ratto delle Sabine, avvenuto sotto la protezione del dio gonfo nella Valle Murcia e precisamente dove attualmente esiste il Circo Massimo, guidati dal Re  dei Sabini, Tito Tazia, suocero del secondo Re di Roma, Numa Pompilio, mossero in battaglia contro i Romani giungendo fino alle mura della Città Quadrata, superando persino la Porta Mugonia (ora scomparsa) situata in prossimità dell’Arco di Tito.
Per intervento personale della bellissima Ersilia la guerra cessò e fu fatto un patto di alleanza fra Romolo e Tito Tazio, rispettivamente Re dei Romani e del Popolo Sabino.

Il motto abbreviato S.P.Q.R. è nato in Sabina che voleva dire “Sabinis Populis Qui Resistet?” che voleva dire “Ai Popoli Sabini chi resisterà?”.
Fu risposto dai Romani “Senatus Populusque Romanus” che voleva dire “Il Senato e il Popolo Romano”.
Quindi fu cambiato in seguito in S.P.Q.S. significante “Il Senato e il Popolo Sabino”.


























G. G. Frezza (Incisore in rame)



Giovanni Girolamo Frezza nacque in Orvinio nell’anno 1659 e morì nel 1741 (vedasi nota a pagina 37 B del presente, in fondo alla descrizione)
Compì i suoi studi in Roma e a giovane età divenne celebre incisore in rame.
Risiedeva nell’Urbe e lavorò indefessamente fino a tardissima età.
Dalla superba incisione su lastra in rame, levigatissima (delle dimensioni di centimetri 21,50 X 19 di superficie incisa compresa la cornice, riproducente fedelmente le angeliche sembianze della Madonna SS.ma di Vallebona)(Santuario esistente nel territorio di Orvinio) incisione da me più volte ammirata e gelosamente conservata dal parroco della Chiesa Abbaziale di S. Nicola di Bari in Orvinio, si rileva che il Frezza la incise per una devozione in Roma nell’anno 1740 alla bella età di anni 81.
Nella Galleria Corsini, sita in Roma via della Lungara al n.10 piano II – Gabinetto delle Stampe, esiste una statua tratta da un incisione del Frezza, raffigurante un’allegoria, sulla quale oltre al nome e cognome del Frezza ed all’anno 1727, è inciso dall’autore quanto segue “Per acquisti rivolgersi dal Frezza in faccia alla Chiesa degli Scozzesi vicino a Piazza Barberini”
Detta stampa è conservata nel volume 57 n.12 al n.116.642.
Nello stesso ufficio si conserva un libro dell’anno 1837, classificato Magler – Volume n.4; ebbene a pagina 494 e 95 vi è descritta la biografia del Frezza e le incisioni da lui eseguite; il libro è scritto in tedesco.
Di fronte alla porta della Chiesa degli Scozzesi situata in Via delle Quattro Fontane (in prossimità di Piazza Barberini) vi è il portone n.10; dobbiamo ritenere pertanto che ivi era il domicilio del grande artista scomparso da me ricordato nell’Inno a Orvinio (fig.15 a pag.32B)    pag.35
In seguito ad indagini da me espletate, la casa ove ebbe i natali il Frezza, ritengo sia quella  in via Manenti al 1° e 2° piano dei civici n.147-149-153 e 155,




















casa addossata alla Porta Vecchia, questa ora quasi totalmente demolita per allargarne la strada) e prospicente la Piazza del Sole, già Piazza del Casalino.
Questo grande figlio di Orvinio attende sempre di essere  degnamente onorato; speriamo che qualcuno se ne ricordi per il prossimo terzo centenario della sua nascita che ricorre nel 1959.
Quasi tutte le opere del Frezza sono riproduzioni di pitture e sculture celebri.
Presso la Regia Calcografia di Roma, sita in via della Stamperia, primo piano, sono conservati i seguenti rami incisi dal Frezza:

n. di
Quantità


classifica
dei rami
                Specifica del soggetto
         Annotazioni

incisi


907
1
Sacra Famiglia





1112
      (?)
Soggetti Mitologici (riproduzioni da pitture
Dal catalogo che il gruppo si compone di


esistenti nel Palazzo Giustiniani in Bassano
20 rami incisi da vari artisti fra i quali il



Frezza al quale ne va attribuita solo una



parte




1335
3
S. Andrea - S. Giovanni - S. Matteo
Riproduzione statue degli Apostolo esi-



stenti nella Arcibasilica di S.Giovanni in



Laterano




1338
8
Tavola 34 - Minerva medica



      "    35 - Venus Comam Ornans



      "    44 - Fortuna



      "    47 - Melpomene



      "    48 - Thalia



      "    61 - Filosofo



      "    77 - Concordia



      "    83 - Genio della Biga





1602
1
S. Giuseppe Anchieta


Presso la Galleria Corsini sita in Roma via della Lungara n.10 piano II (Gabinetto delle Stampe) sono conservate le seguenti stampe, tratte su incisioni del Frezza, ma si ignora dove siano conservati i relativi rami incisi dal grande Maestro.
















             Classifica

Quantità delle
Note
Volume
n.
Specifica del soggetto
incisioni

cartella 630
44
Papa Clemente XI
1
Fondo Nazionale
1002
14568(147)
Cardinale Fondodarius
1

1005
14571(37)
       "                 "
1

     "
14571(65)
      "          Emericus Czacki
1

26M19
4639
Soggetto mitologico
1

27M18
10140
Francesco Albani
1

   "
10141
Soggetto mitologico
1

   "
10142
       "                 "
1

   "
10143
       "                 "
1

   "
10144
       "                 "
1

   "
10145
       "                 "
1

   "
10146
       "                 "
1

   "
10147
       "                 "
1

   "
10148
       "                 "
1

   "
10149
       "                 "
1

   "
10150
       "                 "
1

   "
10151
       "                 "
1

   "
10152
       "                 "
1

   "
10153
       "                 "
1

   "
10154
       "                 "
1

   "
10155
       "                 "
1

   "
10156
       "                 "
1

57N12
116596
       "                 "
1

   "
116597
       "                 "
1

   "
116598
       "                 "
1

   "
116599
Annunciazione di Maria Vergine
1

   "
116600
Natività di Gesù Cristo
1

   "
116602
Gesù presentato al vecchio Simeone
1

17N12
116603
Gesù consegna le chiavi del Paradiso a S.Pietro
1

   "
116604
Apparizione dello Spirito Santo agli Apostoli congregati
1

   "
116605
S.Filippo Neri orante davanti al Crocefisso
1

   "
116606
La Vergine che allatta il Bambino Gesù
1

   "
116608
Sacra Famiglia con S.Giovanni Battista
1

   "
116609
Sacra Famiglia con S.Giovanni Battista
1

   "
116610
Assunzione della Beata Vergine
1

   "
116611
Assunzione della Beata Vergine
1

   "
116612
La Vergine col Bambino
1

   "
116613
Fatto sacrilego davanti alla Madonna del Pianto
1

   "
116614
S.Pietro converte le genti
1

   "
116615
Santi in preghiera
1

   "
116617
S.Andrea
1

   "
116618
S.Matteo
1

   "
116619
S.Giovanni da Capistrano
1

   "
116620
Venerabile Nicola de Sios
1

   "
116621
S.Pantaleo
1

   "
116622
S.Andrea Corsini
1

   "
116623
S.Agostino
1

   "
116624
Santo con Angeli
1

   "
116625
Ascenzione di Gesù Cristo
1

   "
116626
Assunzione di Maria Vergine con religiosi
1

   "
116627
S.Giovanni di Dio
1

   "
116628
S.Francesco di Paola
1

   "
116629
S.Francesco di Paola
1

             Classifica

Quantità delle
Note
Volume
n.
Specifica del soggetto
incisioni

17N12
116630
S.Ignazio di Loyola
1

   "
116631
Riproduzione di un Altare con Pala
1

   "
116632
S.Vincenzo de Paoli
1

57N12
116633
S.Felice da Cantalice
1


116634
S.Andrea Avellino
1


116635
Altare di S.Luigi Gonzaga
1


116636
Santo in mezzo a tribù barbare e belve feroci
1


116637
Venerabile Fernus Dei Galeatius
1


116638
Due Venerabili
1


116639
Due Venerabili
1


116640
Adorazione della Sacra Famiglia
1


116642
Allegoria
1


116643
Padre Eterno con Angeli
1


116644
Adorazione della Vergine Assunta in cielo
1


116645
S.Giuseppe con la Vergine
1


116646
Sacra Famiglia e Angeli
1


116647
S.Margherita da Cortona
1


116648
Beata Caterina de Riccijs
1


116649
Piede destro di S.Teresa di Gesù
1


116650
S.Giuliana Falconeria
1


116651
Venerabile Battista Vernazza
1


116652
Scena Mitologica di Roma antica
1


116653
Giudizio di Paride
1


116655
Soggetto mitologico
1


116656
Soggetto mitologico
1


116657
Trio Austriaco
1


116658
Statua del Silenzio
1


116659
Statua di Antinoo
1


116660
Centauro
1


116661
Centauro
1


116662
Isis
1


116663
Archigalli
1


116664
Vaso artistico
1


116665
Riproduzione della Macchina eretta sulla piazza di Castel Gandolfo il 17 giugno 1717

116666
Riproduzione della facciata del Duomo di Orvieto
1


116667
Stemma Pignatelli
1


116668
Paesaggio (le Amerelle)
1


116669
Papa Clemente XI
1


116670
Papa Benedetto XIV
1


116671
Giovanni Fontana
1


116672
Ritratto di Prelati e Gentiluomini
1


116673
Ritratto di Prelati e Gentiluomini
1


116674
Ritratto di Prelati e Gentiluomini
1









Poiché risulta chiaramente che il Frezza è stato un artista molto prolifico, si deve ritenere per certo che oltre al rame conservato presso la Parrocchia di Orvinio ed alle incisioni sopra elencate, ne esistano delle altre presso Gallerie pubbliche e private.
Nella Biblioteca Sarti sistemata al secondo piano del Palazzo della Accademia di S.Luca situato nella piazza omonima prossima alla fontana di Trevi in Roma, ho consultati i seguenti libri dove si fa menzione del Frezza:

1)     Allgemeines Lexikon der Bildenden Kunstler – volume XII, stampato Leipzig-Verlag Von E.A.- Seemann – anno 1916 – a pagina 449 si legge: nato a Canemorto, località vicino a Tivoli, l’anno 1659 e morto nel 1741; segue un elenco delle opere incise dal Frezza. Fra queste, risulta che nell’anno in cui morì (e cioè 1741)eseguì delle incisionia bulino ed acquaforte che si conservano agli Uffizi di Firenze.
2)     Notizie Istoriche degli Intagliatori di S.Giovanni Gori Gandellini – Tomo II – Siena 1808. A pagina 43-44 e 45 oltre ad una descrizione delle opere da lui incise si legge: Apprese i principi del disegno da Arnoldo Van Vestherant, fu di vivace ingegno e di idee vaste; ha lasciato una infinità di stampe intagliate da se a bulino ed acquaforte, nelle quali si ammira la perfezione del disegno e la dolcezza del taglio che innamora gli amatori dell’arte onde con ragione fu stimato uno dei primi intagliatori del suo tempo.
Nota Bene: Ritengo che il decesso del Frezza sia avvenuto in Orvinio per i seguenti motivi: Poiché Roma era la sua residenza, se la morte l’avesse raggiunto in detta città, l’avvenuto decesso sarebbe stato trascritto sul Registro Atti di Morte della Parrocchia nella cui giurisdizione era compresa l’abitazione del Frezza.
Non avendo potuto individuare con certezza tale Parrocchia, sono stato costretto a recarmi all’Archivio Vaticano, ove ho attentamente e scrupolosamente consultati i registri degli Atti di Morte dell’anno 1741 di tutte le Parrocchi di Roma, ma non ho trovato alcuna traccia della morte del Frezza.
Escludendo Roma, quale luogo dove probabilmente avrebbe potuto avvenire il decesso, perché, penserà il lettore dovrebbe essere Orvinio?
Ora vedremo. Il Frezza, nell’anno 1740, avendo raggiunta la bella età di anni 81, forse presentendo l’approssimarsi del suo trapasso, decideva di lasciare alla sua patria un ricordo in onore della Madonna SS.ma di Vallebona, incidendone le Sacre Sembianze su di una levigatissima lastra di rame.
Lo stupendo lavoro venne eseguito per sua devozione in Roma nell’anno 1740 (certamente sullo scorcio di detto anno, perché è assodato che il Frezza ha lavorato a bulino ed acquaforte anche al principio del 1741, anno della sua morte). La splendita incisione è gelosamente conservata nella Parrocchia della Chiesa  di S.Nicolò di Bari in Orvinio.
Se la detta lastra di rame è stata incisa in Roma, come risulta, come è giunta ad Orvinio in quell’epoca che non esistevano nè aerei, nè auto, nè ferrovie e nemmeno strade carrozzabili, mentre non esisteva neppure allo stato intenzionale un sia pur rudimentale servizio postale o di corrieri?
Certamente il Frezza, che aveva sulle spalle 82 primavere, presentendo prossima la sua fine, abbandonò Roma, portando seco la celebre incisione in parola, per tornare alla sua Orvinio ove morì lo stesso anno 1741.
Disgraziatamente la Parrocchia di Orvinio in quell’epoca non aveva ancora istituito il Registro degli Atti di Morte, iniziato solo verso la fine del 18° secolo.




Continuazione (Da Orvinium a Orvinio)

Accertamenti successivi.

In seguito a metodiche ricerche eseguite su una copia litterale del famoso Regesto di Farfa, ho rilevate le seguenti notizie: In tutti i seguenti documenti in esso trascritti e cioè:
-       Documento 1016 – Anno 1075 . Volume V – Pagina 19
-                         1045 -          1080 .                            47
-                         1095 -          1084 .                            90
-                         1255 -          1090 .                          235
-                         1205 -          1110 .                          198

redatti, come vedesi, fra gli anni 1075 e 1110, ricorre costantemente il nome di Canemorto, mentre in quelli quì sotto elencati, che vanno fra gli anni 1012 e 1062, ricorre quello di Malamorte:

-       Documento 450- Anno 1012 – Volume III -  pagina  163
-                         633          1012                 IV                 31
-                         635          1012                 IV                 32
-                         572          1017                 III                279
-                         518          1019                 III                229 (*)
-                         522                                   III                231
-                         521          1025                 III                230
-                         573          1032                 III                280
-                         567          1036                 III                274
-                         996          1036                 IV                375
-                         570          1038                 III                277
-                         776          1044                 IV                184
-                         938          1062                 IV                332


Pertanto deve ritenersi che il nome Orvininium fu deposto e sostituito con quello di Malamorte probabilmente fra il 917 d.c. (anno in cui fu costruita la Chiesa di S,Maria del Piano) e il 1012 (vedasi documenti 450-633 e 635 del Regesto; fra il 1062 e 1075 (documenti 932 e 1016 dello stesso Regesto) quello di Malamorte con Canemorto ed infine questo con quello di Orvinio, ripristinato con Regio Decreto del 29 marzo 1863.
A titolo di curiosità aggiungo che presso l’Archivio Storico Capitolino, collocato al primo piano del Palazzo dei Filippini in Piazza della Chiesa Nuova in Roma, trovasi l’antico archivio degli Orsini, già signori di Orvinio.
In esso si conserva una pergamena del 21 novembre 1378, riguardante la vendita di un pezzetto di terra in territorio di Canemorto in vocabolo “le Coste” fatta da Giorgio di S.Alberto a favore Giovanni Di Pietro, per la somma di otto fiorini d’oro – Notaro Giacomo di Carluccio di Canemorto – Tale pergamena ha sullo schedario il seguente riferimento: II A VII – 27.

(*) nel documento 518, alla parola Malamorte, vi è una chiamata in fondo alla pagina 229 che riporta integralmente: In una postilla marginale scritta per quanto pare verso il principio del secolo XVII, si legge: puto canem m(or) tuum, et non...Le lettere tra parentesi mancano nel testo perché risecate quando il codice fu rilegato.




Continua da pag.     (Chiesa di S.Maria dei Raccomandati)


A pag.143 e seg. del libro “Apparato Minorico della Provincia di Roma” R.P. Maestro F. Bonaventura Theuli di Velletri – Anno 1648 – si legge:
Del Convento di Canemorto . Capitolo XIII.
Il Convento di Canemorto è sotto il titolo di S.Maria de’ Raccomandati, fuora della Terra, congiunto alle Mura di essa; era Hospidale, fu dato alla Religione, e per essa al P.F. Massimo Pirchio dal Borghetto Diocesi di Civita Ducale, ma perché spettava al Vescovo Cardinal Sabinense a prestarvi il consenso, fu necessario ricorrere alla di lui benignità per ottenerlo, quale s’ottenne nel MDLXXXII (1582) dal sig. Alessandro Lana Vicario Generale dell’Eminentissimo Cardinal Gravellano Vescovo Sabinense, come apparisse per Breve, che comincia: Reverend in Christo Patribus Ministro Generali Ord. S. Franc. Conventualium, Provinciali Urbis, ac Custodi seu Guardiano, et Fratibus num existentibus in Ecclesia Santae Mariae de’ Raccomandatis extra Castrum Canis Mortui, Sabinensis Diocesis salutem in Domino sempiternam. Pro parte vestra nobis expositum fuit, quod alias, annis elupsis Communitas, et homines dicti Castri et Dat Romae ex Aedibus nostrae Residentae sub an. 1582. 9. Non presentib. DD Nicolao Scaglioni Canonico Sabinensi, et Dominco Gomez Canonico Turulen.
Registrato da Not. Porfirio Corsetto di Aspra, il quale registra ancora la concessione, e facoltà data al detto Vicario dell’istesso Eminentissimo di conferire, e concedere Beneficij, Cure, Chiese, Collegiate, e altre cose del Vescovato a chi li pareva, sotto l’ultimo di Maggio MDLXXIX (1579).
Con questa facoltà e con il vigore di tal Breve se ne pigliò di nuovo il possesso per mezzo della Communità a’ 15 di Decembre anno come sopra, il che apparisce per l’infrascritto Istrumento.
In Dei nomine Amen. Anno Indictione et Pontificatus Sanctiss. D N Gregorij PpXij, anno undecimo, die vero 15 Decembris. Ego Dominicus de Fabris de Canemortuo publicus Apostolica auctoritate Notarius et vigore retroscrittarum literarum requisitus a’ R.PF. Maximo Pirchio de Burghetto Civitatis Ducalis in Regno Neapolitano Religionis Conventualium S. Francisci me una cum Marco Antonio Tiberijm Mattheo Francisci et Marco Francursii, mascarijs, ac testibus infrascriptis persolaniter contuli ad Ecclesiam S.Mariae de Raccomandatis sitam extra Castrum Canis Mortui predicti et aperta I anna dictae Ecclesiae Cum Damorum ipsius adiunctarum, emundem R.Patrem introducendo, et genuflexo, facta debita adoratione ad Altare, ut decet, ipsum nomine et pro sacra Religione S. Francisci Conventualium etc.. presentibus etc..- quali scritture in un sol foglio di Carta pergamena si conservano nel nostro Convento.
Si pigliò dunque il possesso non solamente della Chiesa, ma ancora d’alcuni beni stabili a quella annessi.
La Chiesa è grande, bella con organo, ben tenuta. V’è un’Imagine antica della Madonna sotto nome de’ Raccomandati, la cui festa si celebra il giorno dell’Assunzione di Nostra  Sig.
Dietro l’Altare Maggiore vi sta una Cappella abbellita da’ Signori Muti con la loro sepoltura, nella quale sono sepelliti alcuni di questa nobile famiglia, per essere stati Duchi di questo Castello, e di tutta la Valle Mutia.
Nell’entrare in Chiesa vi sono, una per parte, nel muro le due seguenti memorie in marmo. (?) non è marmo, ma pietra, forse botticino) (vedere figura 3 a pag.16B e la descrizione a pag.14C, nonché fig.4 a pag.16B e la descrizione a pag.14 B del presente).
Questo luogo è piccolo senza Claustro, povero, sta però in bel sito, godendosi in esso la veduta di tutta Valle Muzia e di tutte le Terre, e Castelli delle sue Colline; non vi sono stati padri graduati, solamente il P. Fra’ Francesco Zoppi cantore buono, che è stato Vicario per molti anni ne’ Conventi di Fiorenza, di Roma e d’Assisi, e vivente v’è il P. Fra Domenico Iannelli sudetto.


 

 
 
 
 
 
 
 
 
 








Vedute varie
di
Orvinio

















   



                 Porta Romana prima del 1914



                                                                                  La fontana prima del 1939 (si vede bene
                                                                                  la cancellata scomparsa nel 1939)











































                                       
                                                         Orvinio dopo il 1918



































 
Il Castello da Piazza del Sole                                 Via del Giardino


















                       S. Maria del Piano





































           






             Notisi a destra un uomo a cavallo e vicino un lampione a petrolio
               (prima del 1914)





























Strada medioevale











                                                       
                                                        La Visitazione . Quadro dipinto dal cav.Dino
                                                       Mora da Colorno pel Santuario di Vallebona



















(Fotografie eseguite nel 1940)






















Orvinio – Quartiere Villini






















La fontana dopo il 1939 (senza la cancellata)



  (FOTOGRAFIE ESEGUITE NEL 1949)





Errata - Corrige
e
Aggiornamento

18 settembre 1940 XVIII –
Mi riferisce l’eremita della Chiesa di Vallebona che verso la fine di ottobre dell’anno scorso, una sera si scatenava un grande temporale con abbondanti tuoni e lampi. Tutto ad un tratto, mentre erasi recato in Chiesa, sentiva un forte schianto seguito da un forte tonfo, cosa era successo? Un fulmine aveva colpito la torre più alta della cinta del vecchio paese di Vallebona che svettava maestosa nell’orto dell’Eremita e la parte superiore di essa crollava con grande fragore.

1939 – Per ordine  del Segretario Comunale Meloni Luigi è stata tolta la..........di ferro....................................................................................................................................................
tà di Piazza Garibaldi per essere offerto il metallo alla patria.

16-7-1941
In seguito ad ordini ricevuti dalle Superiori Autorità, occorrendo il metallo alla Patria per supreme necessità di guerra, il Comune di Orvinio, ha fatto togliere oggi stesso i due timpani di bronzo dell’orologio collocato nella torretta soprastante la porta Romana e la campana del campaniletto dell’edificio scolastico (ex convento) attiguo alla Chiesa di S. Maria dei Raccomandati.
Qualche mese dopo a mezzo della corriera  sono stati portati a Rieti.

17-5-1942
E’ morto in Roma, S.E.Filippo Cremonesi proprietario del Castello di Orvinio

1943
Ai primi dell’anno 1943 il Castello di Orvinio ha cambiato nuovamente il proprietario; è stato acquistato dal Marchese Roberto Malvezzi Campeggi (Guardia Nobile Pontificia) si dice per lire tre milioni e mezzo a porte chiuse e compresa la fattoria.
Per ordine del nuovo proprietario, tutte le suppellettili formanti l’arredamento del Castello di Orvinio, sono state portate a Roma e vendute all’asta pubblica nella Galleria Giacomini in via Condotti 91 e precisamente nei giorni dal 9 al 20 marzo; per la storia, sono state vendute (il giorno 11) persino le due bellissime e storiche portantine esternamente di cuoio nero con arabeschi dorati ed internamente foderate di velluto cremisi, frange d’oro e merletti del 600 – 700, appartenente ai Baroni Muti, in quell’epoca proprietari del Castello di Orvinio, per la somma di £.700 cadauna, io presente.

 giugno 1940
L’Italia fascista (Capo del Governo Benito Mussolini) alleata della Germania (nazional socialista o nazista) con a capo Adolfo Hitler e del Giappone, dichiara guerra alla Francia e all’Inghilterra.
Dopo i primi successi, abbastanza effimeri, incominciano i rovesci militari che si risolvono nel più grande disastro che l’Italia ricordi.
L’Inghilterra e i suoi alleati occupano prima l’Africa Orientale Italiana (costituita dalla Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea) poi la Cirenaica e quindi la Tripolitania.
Gli Stati Uniti d’America, attaccati dal Giappone, scendono in campo a fianco dell’Inghilterra; lo stesso fa la Russia perché attaccata dalla Germania.
Siamo alla primavera del 1943. Mentre la Russia si incarica di stritolare i tedeschi, gli anglosassoni occupano le isole italiane di Lampedusa e Pantelleria, sentinelle avanzate nel mare Mediterraneo; successivamente viene la volta della Sicilia incominciando dalla costa meridionale e quindi attraverso lo Stretto di Messina avviene l’invasione della nostra martoriata penisola incominciando dalla Calabria.

25 luglio 1943
L’Italia è stremata per i terribili colpi ricevuti nonché per le gravi sofferenze e restrizioni inconcepibili a cui è stata sottoposta.
Sua Maestà Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e d’Albania e Imperatore di Etiopia fa arrestare  (in Roma a Villa Savoia) Mussolini, dopo averlo esonerato dalla carica di Capo del Governo, nominando quale suo successore S.E. il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

8 Settembre 1943
S.E. il Maresciallo Badoglio, dopo attento esame della tragica situazione italiana, d’accordo col Sovrano, chiede agli Anglosassoni ed ai Russi la pace, che viene accettata con la resa  a discrezione dell’Italia (purtroppo non c’è altro da fare).
Mentre la quasi totalità dell’aviazione e oltre centomila unità della nostra Regia Marina vengono consegnate agli Inglesi nei porti dell’isola di Malta, il resto del nostro glorioso esercito rimasto in Italia, mediante arti subdole e a tradimento con l’uso anche delle armi viene disarmato e disperso dalle armate tedesche che erano disseminate un pò dappertutto sul suolo Italiano.
In meno di una settimana, i teutoni (che sono sempre degni discendenti ed emuli di Attila) sono riusciti a polverizzare il nostro Esercito occupando l’Italia Settentrionale e Centrale, compresa Roma.

Settembre 1943
Orvinio viene occupato dai tedeschi verso la fine di settembre 1943 da circa sessanta uomini tra graduati e truppa.
Il comando tedesco prende dimora nella  casa del cav. Uff. Armando Alessi (ultimo piano del palazzo Morelli in Piazza Garibaldi) mentre la truppa si impadronisce della Fattoria del Marchese Malvezzi.
Successivamente occupano il Granarone del Castello, tutto il quartiere dei Villini e l’autorimessa di Ricci Pompeo sulla strada carrozzabile in prossimità di Carpinetto.
Nonb ostante che il Castello fosse stato posto sotto l’egida dello Stato neutrale della Città del Vaticano e non ostante che agli ingressi fossero state apposte delle ben visibili tabelle monitrici dai colori della Santa Sede, i novelli Unni non hanno mancato di invaderlo lo stesso; sembra però che non vi abbiano arrecati gravi danni.
Dopo l’occupazione dell’Italia da parte tedesca, il nostro sovrano dichiara guerra alla Germania ed al Giappone, ponendosi a fianco dei suoi nuovi alleati Anglosassoni, Russia, Cina, Brasile e molti altri Stati minori per liberare il nostro sacro suolo dalle orde teutoniche.



17 giugno 1944
Incalzati dalle truppe italiane ed alleate gli ultimi soldati tedeschi abbandonano Orvinio alle ore cinque di sabato 17 giugno1944 dirigendosi verso Rieti dopo aver fatti saltare con la dinamite, alle ore tre il ponticello o chiavicotto detto dello sprofondo o del bottino ed alle ore cinque della stessa mattina il ponte grande in località Grugnaleta (detto Ponte di Orsi – nome del costruttore) prospiciente il Santuario della Madonna SS.ma di Vallebona.
Verso le 5,30, ad opera degli stessi eroi, la stessa sorte è toccata al ponte grande di Poggio Moiano in località Malpasso.
La sera precedente con lo stesso metodo e dagli stessi eroi, saltavano in aria il ponte sotto Roccagiovine e un altro ponte sopra Percile stesso ed il località Fotrani veniva abbattuto un muro di sostegno della montagna con conseguente frana ed ostruzione della strada carrozzabile.
In seguito alle distruzioni suddette, Orvinio è rimasto completamente isolato sia dalla parte della via Salaria e sia dalla Tiburtina Valeria.
Mentre gli abitanti dei centri vicinori hanno sofferto gravi danni, specie Licenza, Percile e Poggio Moiano, gli edifici di Orvinio si sono slvati miracolosamente.
Non un solo fabbricato è stato distrutto o danneggaiato seriamente, non ostane che il Castello, il palazzo Morelli, la casa Frezza e la casa Ricci fossero state tempestivamente minate.
Stante la precipitosa ritirata dei barbari, forse non hanno fatto in tempo ad appiccare il fuoco alle miccie.
Si può pertanto coscenziosamente escludere il Divino intervento della Madonna SS.ma di Vallebona?
Mi viene riferito che qualche giorno prima, Orvinio è stato visitato anche dal Maresciallo del Reich tedesco Kesserling Comandante in Capo delle truppe germaniche in Italia.(Roma è stata occupata dalla V Armata Americana e da reparti di bersaglieri ed alpini italiani il giorno 4 giugno 1944).
Solo il Sommo Iddio è stato testimone (e certamente sarà anche il Supremo Giudice inesorabile) di civiltà a tutte le genti, commettendo un infinità di fucilazioni, deportazioni anche in massa, saccheggi, distruzioni di interi villaggi e città, vessazioni di ogni generee le più raffinate arti affinché le atrocità fossero più terribili nonché atti di vera crudeltà effettuati con cinismo ributtante non risparmiando  né donne, né bambini, né vecchi, né ammalati a letto e nemmeno suore e sacerdoti.
Anche Orvinio ha pagato di persona con due dei suoi figli migliori; due giovani certi Alessi e Ragazzoni che inermi transitavano per istrada furono, senza motivo alcuno fucilati.
Questo gli Italiani debbono ponderare e ricordare.

8-9-10 settembre 1943
Mentre i tedeschi con la forza e con l’inganno, si incaricavano di dissolvere il più rapidamente possibile i resti del Glorioso  se pur sfortunato Regio Esercito Italiano che dopo la disfatta subita in Africa settentrionale,  era ancora forte di oltre trenta Divisioni, la stessa sorte era  purtroppo riservata alle sei Divisioni poste alla difesa di Roma.
Se si esclude il valore dimostrato da qualche sparuto reparto in località e da Corpi diversi, il peso (si può dire totale) fu sostenuto dalla sempre fedelissima ed invitta non mai smentita Divisione “Granatieri di Sardegna” (già Guardia del Re) che era stata scaglionata  da Albano a Fiumicino.
L’urto tremendo avvenne nei paraggi della Città militare in località “Cecchignola” fuori Porta S.Paolo e la lotta furibonda durò ininterrottamente circa 50 ore.
Il valore dei granatieri fu superiore ad ogni elogio.
La superba Divisione affrontò l’impari lotta con la forza di soli tremila uomini, senza alcuna speranza, e dopo aver resistito oltre ogni umana possibilità di fronte alle preponderanti forze tedesche armate fino ai denti e che facevano un fuoco infernale, il giorno dieci , senza l’appoggio di bocche da fuoco, accerchiata da numerosi carri armati, esaurite le munizioni  epriva di viveri per mancanza di rifornimenti, essendosi dimostrata inutile ogni ulteriore resistenza, soprafatta doveva, suo malgrado, cedere.
Tempestivamente però era stato provveduto a mettere in salvo le gloriosissime bandiere onuste di gloria e cariche di medaglie al valore comprese quelle auree.
I Tedeschi escogitarono ogni mezzo, dalle lusinghe alle minacce, per venire in possesso dei gloriosissimi vessilli, ma non ci riuscirono.
Le perdite subite dalla indomita Divisione sono stete spaventose e cioè 1550 unità (oltre il 50%).
Queste cifre bastano da sole a documentare l’alto valore e l’eroico comportamento dei baldi
Granatieri.
Sappiano gli Italiani (lo ricordino e non lo dimentichino) che durente l’aspra lotta, i Granatieri che cadevano prigionieri dei tedeschi, venivano da questi prima spogliati, denudatie poi fucilati ed infine gettati nel fiume Tevere: Ogni commento guasterebbe.


8 maggio 1945
Gli eserciti alleati operanti in Italia, composti di truppe Americane (5° Armata), Inglesi (8° Armata), Australiane, Brasiliane, Canadesi, Indiane, Sud Africane, Francesi e Polacche oltre a sei  Divisioni del Regio Esercito Italiano ed al concorso della nostra Regia Aeronautica e Regia Marina, alla fine di Aprile 1945 avevano ricacciati i barbari tedeschi dalla Sicilia fino alla Pianura Padana.
La notte del 3 maggio 1945 nell’Italia del Nord ancora soggetta al tallone teutonico, avveniva la simultanea sollevazione generale delle bande di Patrioti Italiani comandati e diretti dal Generale Raffaele Cadorna che occupavano quasi per intero il Piemonte, la Liguria, l’alta Emilia e buona parte della Lombardia e del Veneto, nonché le principali città con la cattura  di molti repartoi tedeschi sorpresi dall’inspettata  simultanea  sollevazione.
Per talke fatto i Comandi alleati a corsa veloce accorrevano in sostegno dei patrioti Italiani ed occupavano fino al Passo del Brennero senza combattere ed il giorno 8 maggio 1945 si concludeva la campagna della cacciata dall’Italia dei barbari tedeschi invasori in una sala del Palazzo Reale di caserta dove veniva firmato l’atto di resa senza condizioni del Gruppo delle Armate teutoniche operanti in Italia, in Austria meridionale e nella Bassa Baviera fino a Berdsgaden (fortezza e rifugio du Adolfo Hitler.
Per tale avvenimento vi sono stati tre giorni di festeggiamenti in tutto il mondo a comincare dalla martoriata Londra che ha sofferto come poche altre citt°.

24 settembre 1947
In compagnia del sig. Firmani, segretario del Municipio di Orvinio, ci siamo recati a Rieti alla ricerca della campana della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Dopo il dovuto permesso concessoci dal Segretario Capo di quel Municipio, abbiamo ispezionati i locali del Teatro Civico, del Museo e della torre campanaria sovrastante la facciata del Palazzo Comunale, ove si siupponeva fosse stata collocata.
Le ricerche sono state coronate da pieno successo, perché il Sacro Bronzo è stato scovato in un angolo remoto presso il palcoscenico del Teatro Vespasiano.
In un colloquio concessoci dal Prof. Sacchetti Sanetti Sindaco di Rieti, questi ci ha confermato che la campana di S. Maria del Piano di Orvinio, è effettivamente quella che trovasi nei locali del Teatro Civico. La campana misura centimetri ottanta di altezza, esclusa la corona che serve per fissarla al ceppo; il diametro della bocca è uguale all’altezza cioè cm.80, spessore cent. Otto.
Nella parte superiore esterna, in due righe poste tutt’ingiro si nota:








Fra Nucula e Abba la Beata Vergine seduta con in grembo ilSanto Bambino poppante (che riproduca la Madonna di Vallebona conosciuta fin da quel tempo?)
Più sotto un albero di olivo con rami, foglie e radici.
Sotto la parola Aquilanus si nota una aquila reale ad ali mezze aperte con corona a tre palle in testa (forse simboleggia la città di Aquila).
Sotto il quarto C della data di fusione un piccolo Crocefisso (circa otto centimetri) a circa venti centimetri dalla cupola un festone di fiori ed angelica a quattro ali equidistanti di circa cinque centimetri con festoni di fiori.
Tutto il resto della superficie esterna è completamente liscio.
Il Munificio di Orvinio ha già iniziate le relative pratiche presso le Superiore Autorità, onde  rientrare in possesso della sua campana; speriamo che il nulla osta, da circa un secolo tanto agognato, non si faccia troppo attendere affinché la bella campana, dalle elegantissime linee, dopo un si lungo periodo di forzato silenzio, possa con la sua squillante voce, placare il giusto risentimento di tutti gli Orviniensi per l’immeritato affronto commesso nell’aprile del 1849 dal Preside di Rieti sig. Raffaele Feoli.

Giugno 1948
(Vedere 1939) La cancellata della fontana, dopo ese
sere stata divelta e gettata a terra nei retrostanti locali dei pubblici lavatoi, è rimasta  colà per tutto il periodo della guerra ed oltre.
Con lodevole iniziativa, il Municipio di Orvinio, dopo averla fatta restaurare, la faceva ricollocare al proprio  posto, degno corollario della monumentale fontana.

2 Giugno 1946
Giornata di lutto nazionale e di vergogna per l’Italia.
La coalizione dei partiti politici di estrema sinistra, capeggiati dai comunisti e dai socialisti fusionisti, in unione ai partitini di azione e repubblicano storico, ai quali si è aggiunto all’ultimo momento il partito della democrazia cristiana che, (per essere in questo momento il partito più forte, porta il maggior peso delle proprie gravi responsabilità) è stato imposto alla Nazione il referendum istituzionale, affinché gli Italiani si pronunciassero, mediante il voto,  se prferissero continuare e quindi confermare se intendessero essere governati dal regime Monarchico, oppure preferissero quello repubblicano.
Peraltro, anziché attendere un periodo di maggior calma, affinché gli Italiani avessero potuto dare il loro voto con maggiore ponderatezza e dopo matura riflessione, si è invece stabilito a bella posta, di effettuarlo a poca distanza dalla fine della tremenda guerra perduta, quando cioè gli animi erano esasperati per la sconfitta immeritatamente subita, e tanti continuamente in tale stato, dalla iniqua e perfida nonché falsissima propaganda, fatta abilmente dagli attivisti degli stessi estremisti. Aggiungasi poi, che il Ministro degli Interni era un certo ingegnere Romita socialista e fervente repubblicano che in combuttacon la cricca estremista, ha manovrato a danno della Monarchia Sabauda in modo palesemente sconcio e ributtante che  veramente è amata  e benvoluta dalla stragrande maggioranza degli Italiani degni di questo nome.
Hanno fatto votare più volte la stessa persona in sezioni diverse, i morti i bambini, annullate schede valide, accettate schede false, sostituzione  di schede durante le votazioni e gli scrutini, intimidazioni alle persone, lettere minatorie, sorvegliati gli elettori alle cabine ed ingannati dove dovevano apporre la crocetta sulla scheda; schede sottratte e distrutte (i fruttivendoli del mercato di Piazza Vittorio Emanuele in Roma-ci è stato riferito da molti- hanno incartato la loro merce con schede sottratte ai seggi), seggi ed urne violati col consenso di agenti partigiani di Romita ecc ecc.
Sono stati esclusi dal voto moltissimi ex fascisti, ex Senatori, gli Italiani della Venezia Giulia, i prigionieri Italiani trattenuti fuori dell’Italia, gli Italiani delle Isole del Dodecanneso, quelli rimasti nelle Colonie Italiane e tutti gli Italiani all’estero, nonché quelli che trovavansi sulle navi in tutti i mari del mondo, ben sapendo che il loro voto sarebbe andato difilato alla Monarchia.
Non ostante ciò, i comunicati radio che continuamente annunciavano l’andamento degli scrutini in tutto il Regno, fin verso le ore 23, dicevano chiaramente che la Monarchia era sempre in prevalenza sulla repubblica.
Poi per alcune ore la radio ha taciuto; che cosa era avvenuto? E’ certo che sono stati dati  gli  ordini…………………………………………………………………………………..
Annunciare il seguente comunicato ufficiale e cioè:
 Monarchia voti 10.719.284 
 Repubblica voti 12.717.923
 Voti nulli 1.498.136.
Questi i dati ufficiali fatti su misura in un simile referendum!!!
Sappiano i posteri che così è nato questo mostriciattolo di repubblica così detta  di Masaniello.
Ci auguriamo invece che, fra non molto, possa indirsi un nuovo referendum con liberissime elezioni; sono certo che allora gli Italiani sapranno dare una giusta risposta, in riparazione dll’onta subita coercitivamente nel nefasto 2 giugno 1946.
Qusto non per una idea, ma solo nell’interesse di tutta l’Italia che adora, come sempre, Casa Savoia e non dimentica che non avremmo mai avuta l’Italia unita se la Monarchia Sbauda, al principio del secolo scorso, non avesse raccolto il grido di dolore di tutti gli Italiani oppressi dal giogo dei vari staterelli che pullulavano nella nostra martoriata penisola.
Si tenga sempre ben presente che la Monarchia ci unisce dalle Alpi al Lilibeo, mentre la Repubblica ci divide.

8 Dicembre 1949
(vedere 1939 – 16.7.1941 e giugno 1948)
Come è stato provveduto a rimettere a posto la cancellata nella fontana monumentale in via Roma, così è stato provveduto a riavere dallo Stato delle fusioni in bronzo titolato, identiche per forma e peso a quelle requisite il 10.7.1941.
La benedizione dei sacri bronzi, prima di essere ricollocati al posto dove furono tolti, è avvenuto oggi stesso nella piazzetta antistante la Chiesa di S. Maria dei Raccomandati.
Il battesimo della campana che le è stato imposto il nome dell’Angelus è stato impartito dal parroco di Orvinio Mons. Sarrocco don Salvatore; madrina è stata Suor Anna delle Figlie della Croce, Superiora del Convento di Orvinio. E’ stata ricollocata sulla sua torretta alle ore 12 del 17.12.1949 parlando per la prima volta con la sua bronzea voce, alla popolazione di Orvinio che attendeva ansiosa.
La nuova campana pesa Kg.94; nella parte esterna, alcentro è riprodotta l’effigie della Madonna SS.ma dei Raccomandati che sormonta l’Altare Maggiore della prossima Chiesa omonima, con sotto la scritta della vecchia campana requisita e cioè AVE MARIA GRAZIA PLENA A.D. MDCVIII.
In alto verso la cupola della stessa cinque teste di cherubini alati con festoni.
In basso presso la bocca si legge:
ABLATUM TEMPORE BELLI A.D.MCMXL –MCMXLV –RESTITUTUM PUBLICO SUMPTU A.D. MCMIL (cioè 1949)
Qualche giorno dopo sono stati messi a posto anche i nuovi timpani dell’orologio sovrastante a Porta Romana.

21 Novembre 1949
Il Municipio di Orvinio con ordinanza n.59 del 21.11.49 a firma del sindaco dott. Valentino Tani ha ingiunto alla popolazione di provvedere entro dieci giorni alla rimozione delle salme, sepolte entro la Chiesa di S.Maria del Piano e tumularle nel nuovo Camposanto in voc. Petriane nelle rispettive tombe di famiglia, trascorso detto termine il Comune ha provveduto a proprie spese a trasportare tutte le ossa entro l’ossario comune nel nuovo Camposanto. Provvedimento meritorio.

Luglio 1951
La ditta F.lli Lorioli di Milano ha coniate diecimila medaglie da diciotto millimetri di diametro in onore della Madonna SS.ma di Vallebona con la scritta “Madonna SS.ma di Vallebona” mentre sul rovescio è riprodotto il monte di Vallebona con il sovrastante celebre Santuario e la grande torre nel prossimo orto dell’eremita con la leggenda “Santuario di Vallebona – Orvinio”.
Per averne qualche esemplare occorre rivolgersi al Parroco di Orvinio mediante una libera offerta a beneficio del Santuario stesso.

Estate 1951 e seguenti
Per allargare di alcuni metri il viale Roma dalla Piazza Garibaldi al piazzale antistante la Chiesa di S.Giacomo, è stato effettuato il taglio del monte e con il materiale di risulta si è colmata la conca delle Canapine (ex cava di argilla per le prossime antiche fornaci di laterizi) contigue al viale Roma; con tali movimenti di terra ne è risultato un immenso piazzale molto comodo per effettuarci delle partite di calcio, per effettuarvi la trebbiatura del grano e per il riposo dei numerosi villeggianti.
Nello stesso periodo sono stati rinnovati i selciati con le relative cordonate nell’intera Salita del Borgo, della cordonata che immette dal Corso Vanenti alla Porta dell’Arco e riattamento della maggior parte delle strade e piazze dei Rioni Casalino, Torricello e S.Giacomo, nonché la sistemazione del viale della Passeggiata con speciale riferimento al Torrione; però, a mio parere, il lavoro non è stato eseguito a regola d’arte e certamente i nuovi selciati resisteranno breve tempo, al confronto di quelli disfatti, che hanno funzionato egregiamente per un periodo ultra secolare.
Sempre nello stesso periodo di tempo è stato rabberciato il muro di sostegno del Piazzaletto antistante la Chiesa di S.Maria dei Raccomandati; peraltro mentre prima del muro di sostegno non esisteva alcun ripro, ora sono stati eretti all’ingiro alcuni pilastri in pietra collegati da canne metalliche a coronamento di tutta l’estensione del muro di sostegno stesso.

1 gennaio 1951
Sono stati avulsi dal Mandamento di Orvinio ed aggregati a quello di Rieti i seguenti Comuni con le rispettive frazioni:
-        Collalto
-        Collegiove
-        Marcetelli
-        Nespolo
-        Paganico
solo per la Giurisdizione degli Uffici finanziari e cioè Agenzia delle Imposte Dirette ed Ufficio del Registro, mentre per quella della Pretura, appartengono sempre a quella di Orvinio.

18-22 febbraio 1953
Da testimoni oculari ho appreso i particolari del crollo totale dell’intera facciata principale della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Il 18 febbraio 1953 inaspettatamente è crollata la parte anteriore del muro della zona superiore comprendente le opere d’arte della facciata stessa e cioè il coronamento del timpano, il rosone, la finestra, le due lesene con i rispettivi capitelli corinzi ed i sei archetti con le due lapidi.
Verso le ore 11 delòla successiva domenica 22 febbraio, con grande fragore improvvisamente rovinava il resto della facciata, fino alle fondamenta, compreso il portale; rinuncio a descrivere il miserando spettacolo che si è presentato ai miei occhi allorché mi sono recato a vedere……………………………………………………………………………
……..Lazio in Piazza S.Ignazio informandola del disastro capitato a S.Maria del Piano; infatti una commissione di ingegneri della stessa Sovrintendenza da me sollecitati, effettuava il 10 marzo 1953 un sopraluogo, redigendo un’ampia relazione per il superiore Ministero della Pubblica Istruzione.
Il 17 marzo 1953 riunione nel palazzo comunale di Orvinio  dei rappresentanti della suddetta sovrintendenza, dell’Intendenza di Finanza di Rieti e del sindaco di Orvinio professore Goffredo Liguori  per concordare la cessione gratuita di tutto il complesso di S.Maria del Piano, dal Comune di Orvinio verso lo Stato Italiano, giusta Deliberazione n.4 del 30 aprile 1953 del Consiglio Comunale di Orvinio, debitamente approvata dalla Autorità Tutoria; in detta Deliberazione il Comune di Orvinio ha posto a suo carico le spese di registrazione dell’atto di cessione.
Nel frattempo, in seguito al mio personale interessamento, avendo ottenuto dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti presso il Ministro della Pubblica Istruzione, un primo stanziamento di fondi sl bilancio 1953 di detto Ministero, nella misura di cinque milioni di lire, ai primi di giugno 1953 infatti si soino iniziati i tanto sipirati lavori di restauro cominciando dalla torre( vedi fig.22 e 23 a pag.62 A) campanaria .
I lavori saranno lunghi e pazienti e speriamo di vedere presto l’opera compiuta in modo che la bella e importantissima Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano, vanto di Orvinio e dell’intera Sabina, torni a splendere quale fulgida gemma, del suo antico splendore.


S. Maria del Piano dopo il crollo della facciata della Chiesa avvenuto il 18 e 22 febbraio 1953.






















S. Maria del Piano dopo il crollo




















Giugno 1953 – Inizio dei lavori di restauro della torre Campanaria di S. Maria del Piano











L’Osservatore Romano – 24 Dicembre 1954

Il restauro al campanile di S. Maria del Piano in Orvinio

Vuole la tradizione che il complesso abbaziale di S. Maria del Piano nei pressi di Orvinio sia stato eretto dall’imperatore Carlo Magno in segno di gratitudine alla Vergine per avere  riportato in quei luoghi una eccezionale vittoria  sui Saraceni nella marcia da Ancona verso Roma dove lo attendeva la solenne incoronazione in S. Pietro. Pur prestando alcuna fede a  quanto narra la leggenda fiorita in una regione che pur vede  nella sua storia l’apparizione dei Franchi, non si può fare a meno di constatare  elementi ed esemplari stilistici nella costruzione dell’abbazia, che  di molto si avvicinano al periodo approssimativo narrato nella leggenda e fanno datare almeno in parte l’abbazia e la chiesa  con la torre campanaria ad età anteriore al l’XI secolo.
Comunque il primo documento riguardante S.Maria del Piano, risale al 1015 e ricorda come dei magnati del luogo donarono a Farfa un territorio della Sabina “in loco qui nominatur ad illa plana, ubi est aedificata ecclesia vocabulo Sancta Maria”.
L’importanza dell’abbazia toccò il punto massimo nel pieno medioevo e quindi cominciò a declinare, subito dopo il Rinascimento di grado in grado finché fu abbandonata e, nel 1869, ceduta al Comune di Orvinio, che vi crò un piccolo cimitero.
Attraverso vari secoli di completo abbandono la stuttura muraria dei tre nuclei subì ingenti danni che culminarono mesi or sono con il crollo in due tempi della facciata della Chiesa bellissima nello stile romanico abruzzese con la monofora istoriata sottostante al rosone e con il portale quattrocentesco sovrapposto in un secondo tempo allo stile iniziale.
Negli ultimi tempi l’unico elemento che conservava una certa integrità era il campanile. Lesioni longitudinali per tutta la sua altezza ne insidiavano la stabilità e fecero decidere il prof. Ceschi, Soprintendente ai Monumenti del Lazio, ad iniziare il restauro del superstite avanzo di quella che fu una potente e ricca abbazia.
La direzione del lavoro venne affidata all’ing. Giovanni di Geso. Dopo aver liberato la base del campanile dalla folta vegetazione selvatica abbarbicata alle mura e dopo aver raccolto e selezionato il materiale giacente all’intorno e caduto dalla torre stessa, si approntò un robusto ponte di servizio, tutto intorno al perimetro del campanile ed avente funzione , insieme  a sei cerchiture in ferro alternate fino alla sommità della costruzione , di sostegni di sicurezza nel caso di eventuali movimenti di assestamento del campanile.
Tali mosse di assestamento si temettero allorché fu liberato l’interno della torre dal materiale e dai detriti della copertura e a maggior sicurezza furono operate nell’interno sbadacciature in considerazione anche della totale polverizzazione della malta fra i conci e quindi della conseguente maggiorata sensibilità dei muri a pressioni esterne ed interne. Fu ripresa poi l’opera muraria dei quattro piloni del campanile, due dei quali presentavano un notevole fuori piombo. Nel delicato lavoro fu  impiegato tutto il materiale originale rinvenuto ai piedi della torre campanaria e rappresentato nella  sua gran parte da mattonati e conci romani, alcuni dei quali recanti incise scritture indubbiamente facenti parte di antiche lapidi scolpite nel periodo romano.
Successivamente si provvide a disostruire le aperture del campanile, le bifore e le trifore, ricollocando al proprio posto le originali colonnine e i capitelli rinvenuti nel materiale caduto e accumulatosi a terra  e a ricostruire il tetto completanmente mancante, a quattro pioventi, interpretando l’andamento di tutto lo stile. In questo modo nel novembre 1954 si pose termine al restauro del campanile iniziato nel giugno del 1953, ridonando allo antico monumento le suggestive caratteristiche proprie della sua epoca.
Della secolare abbazia benedettina, al di fuori del campanile non rimane che un  insieme di mura decrepite e in rovina nell’insieme  del quale a stento  si rintracciano i fondamentali motivi architettonici. La torre campanaria restaurata e rinnovata innalòza i suoi contorni precisi che si stagliano, alla base,  sull’incerto biancore delle rovine.
E l’antica abbazia  attende che anche per lei giunga il giorno della miracolosa resurrezione per poter ridonare al campanile la completezza  originaria e per poter ancora per molti decenni tramandare ai posteri la tradizione che è metà storia e metà leggenda del re dei Franchi, Carlo Magno.



















































Allegati


Una copia del manifesto originale dei festeggiamenti dell’insigne pittore cav. Vincenzo Vanenti nel III Centenario della sua nascita e riprodotto in fotografia (fig.3 a pag.25°)


Una copia del Bollettino d’Arte delò Ministero della Pubblica Istruzione (anno V Fascicolo XI 30 novembre 1911) dove è riprodotto un bellissimo articolo corredato di parecchie fotografie circa la Chiesa ed Abbazia di S.Maria del Piano ad opera del Prof.Lorenzo Fiocca.

Una copia della Rivista Mensile “Latina Gens” anno XIV n.3 marzo 1936 XIV) con un articolo di Orette Tarquinio Locchi su “Orvinio e il suo Castello”

Una copia della Rivista mensile “Latina Gens “anno XVII n.1-2 gennaio – Febbraio 1939 XVII) con un articolo dello scrivente sulla “Chiesa ed Abbazia di S.Maria delk Piano in Orvinio”


Manoscritto d’ignoto descritto a pag.2.