Il Libro di Orvinio di Amaranto Fabriano (Edizione Gianni Forte)
Prefazione
Rendermi utile alla mia patria (Orvinio) è stato sempre mio continuo ed
assillante pensiero. Ciò che modestamente ho fatto o che farò per
realizzare, se Dio vorrà, durante
la mia fugace esistenza sulla terra, è dipeso solamente dall’amore sconfinato
che ho sempre nutrito per essa.
Quale
funzionario del Governatorato di Roma, ove presto ininterrotto servizio da
ventotto anni presso l’Azienda delle Tranvie e Autobus del Governatorato di via
Volturno 59-65, costretto a lavorare per vivere, ho avuto pochissimo tempo a
mia disposizione per potermi dedicare ad indagini minuziose e ricerche di
notizie interessanti la gloriosa e nobile, ma purtroppo negletta ed alquanto
dimenticata Orvinio.
Non mi sono prefisso di fare
la storia della mia città natale, perché tale compito potrà essere riservato ad
altri, ma ho voluto soltanto fissare alla buona delle notizie che certamente
saranno molto utili e serviranno di guida a colui che vorrà accingersi a
compiti ben più vasti.
Affinché le descrizioni siano meglio illustrate unisco
molte fotografie fatte prendere a bella posta.
Molte
notizie sono sconosciute ai più, mentre ve ne sono delle altre del tutto
inedite.
Relativamente
ad Orvinio, non mi risulta che altri prima di me abbiano fatto o semplicemente
tentato di compilare un lavoro non dico di indagini o ricerche approfondite, ma
anche semplicemente superficiali.
Domando venia ai lettori se qualche cosa è stata omessa
involontariamente, oppure se in qualche descrizione non sono stato molto
chiaro, ma ho cercato di fare del
mio meglio per spianare la via a chi, nei tempi futuri, vorrà andare più oltre.
Una caldissima raccomandazione faccio ai miei successori,
quella cioè di conservare nel miglior modo possibile o far conservare in qualche archivio di Orvinio (che non sia preda di
mani rapaci o attacchi di persone abbiette ed incoscenti), il presente lavoro con tutti gli allegati, affinché i
posteri possano attingervi tutte quelle notizie che possano riuscire utili e
vantaggiose alla cara Orvinio.
Alla memoria
dei miei adorati genitori Alessandro ed Angelina nata Clavelli, deceduti
rispettivamente il 13 maggio e 11 agosto 1905, con profondo amore filiale, nel
giorno del mio compleanno, dedico queste modeste pagine, scritte durante l’anno
corrente.
Orvinio, 28 settembre 1939 – XVII dell’Era Fascista.

firmato
Amaranto Fabriani fu Alessandro
Nato in
Orvinio (in via Vincenzo Segni 49) il 28-9-1886
(allo
stato civile 4-10-86) (ai registri Parrocchiali il 3-10-86)
Da Orvinium
ad Orvinio

Orvinium di origine sicula è stata una delle più belle e
più importanti città dell’antica Sabina, a nessuna seconda delle maggiori o
minori consorelle come Reate (Rieti)
patria di Terrenzio Varrone – Momentum
(Mentana) – Eretum (Monterotondo) – Cures
(Corese) patria di Numa Pompilio, genero
di Re Tito Tazio, Anco Marzio e Tito Tazio – Amiternum (Amiterno) – Forum Novum (Vescovio) – Carseoli (Carsoli) – Teate (Chieti) – Corfinio (Sulmona) – Frentana
(Francavilla) – Palatium (S.Giovanni
Reatino) – Aspra (Casperia) – Ascra (Ascrea) – Anazzano
(Lanciano) – Preneste (Palestrina) – Trebula (Montorio Romano) – Vesbula (Morretta o Pietra Demone) – Sema (presso Poggio Moiano) – Mefula (Scandriglia) – Cursula (Moggio) – Marruvio (Morro)
– Vazia (Campo Laniano) – Lista (prossima a Rieti) – Thora (S.Anatolia di Castel di Tora) – Cutilia (pressp Paterno) – Pitinium (presso Aquila) – Regillo (presso Mompeo) patria di Appio Claudio – Cameria (Palombara) – Falacrine (presso Cittàreale a dodici miglia da Amiterno) patria dei
Flavi – Nursia (Norcia) – Tibur (Tivoli) – Antemnae
(Andenne) – Fidene (Castel Giubileo) e
tante e tante altre.
La città Capitale dell’antica Sabina era Amiternum (Amiterno) situata a circa cinque chilometri da Aquila.
Marco Terrenzio Varrone loda Orvinium per la sua
ampiezza e nobiltà in cui ancor si vedeano i fondamenti delle sue muraglie, i
sepolcri di antica costruzione con i loro recinti sulle alture dei colli ed un
tempio molto antico di Minerva nella sua rocca, dove sorge l’attuale Castello
ora proprietà del Senatore Filippo Cremonesi – Ministro di Stato .
Dionisio di
Alicarnasso nei riguardi di Orvinium così si esprime:
“Città quant’altra mai illustre, grande e magnifica,
imperocché si scorgono i fondamenti delle mura ed alcuni sepolcri di struttura
antica e le divisioni dei sepolcri disposti lungo dei terrapieni, sulla Città
vi sta un antico tempio di Minerva ed il tempio di Atena eretto sull’Arce”.
Il Guattani
(Monumenti Sabini, volume III, pag.92) della Città di Orvinium così scrive :
“sono ivi sepolcri, canali sotterranei scavati a
scalpello nella viva roccia calcarea; fu prima da Cincinnato e poi da Orazio
Pulvillo quasi interamente distrutta”.
Come e quando avvenne la completa distruzione dell’antica
Città di Orvinium si perde nella notte dei tempi, certamente però, prima del
mille dell’Era Cristiana.
Secondo la tradizione, il suo antico nome fu deposto ai
primi del secolo IX e sostituito con quello di Canemorto, allorché , nella
Valle Nuzia, in prossimità della antichissima e celebre Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano, le truppe
di Carlo Magno riportarono una strepitosa vittoria sui Saraceni, facendone una
vera strage.
Sembra che ai primi tempi il nome si pronunciasse in
plurale e cioè Cani Morti, alludendo al
massacro dei Saraceni.
Altra versione sarebbe, che il comandante delle truppe di
Carlo Magno si chiamasse di nome Can
oppure si riferiva alla qualifica del suo alto grado di comando (come oggi si
direbbe Generalissimo o Maresciallo d’Italia) e che tale comandante venuto a
morte, l’Amministrazione Civica di Orvinium, in segno di riconoscenza delle
grandi e molteplici benemerenze acquisite verso la Città e per onorare
degnamente e perennemente la memoria decise di sostituire il nome di Orvinium
con quello di Can è morto, poi divenuto
Canemorto.
Però la versione più diffusa, sempre secondo la tradizione,
è la seguente.
Sembra che Orvinium fosse
dominata da un crudele tiranno che era il terrore degli abitanti. Avvenutane la
morte, il popolo ne avrebbe esultato dalla gioia, gridando: Finalmente il cane
è morto! Il cane è morto!
Il nome di Canemorto è rimasto fino al 1863, epoca in cui
fu ripristinato l’antico e glorioso nome di Orvinium italianizzato in quello di
Orvinio (Deliberazione Consiliare del 29.11.1862 che provocava il Reggio
Decreto 29 marzo 1863.
Orvinio fu per molti secoli
sotto il dominio dei monaci Benedettini di S. Maria del Piano, passando quindi
agli Orsini e da questi alla famiglia Muti. Più tardi fu dei Borghese con il
titolo di Ducato.
Il Castello negli anni più vicini a noi è stato
anche proprietà del Comm.re Filippo Todini e poi Remo Parodi Salvo di Genova,
il Barone Berlingeri ed aattualmente ne è proprietario il Senatore S.E. Filippo
Cremonesi, Ministro di Stato e Presidente della Croce Rossa Italiana.
Orvinio sotto lo Stato
Pontificio era sede di Governo con Residenza di Governatore; nel 1861 divenne
Capoluogo di Mandamento nel Circondario di Rieti in Provincia di Perugia e
comprendente i seguenti Comuni:
-Orvinio;
-Collalto Sabino con le frazioni di Ricetto e S.Lorenzo;
-Collegiove;
-Marcetelli;
-Nespola;
-Paganico Sabino;
-Petescia;
-Poggio Moiano con la frazione di Cerdomare;
-Pozzaglia Sabina con le frazioni di Pietraforte e Montorio
in Valle (l’appellativo di “in Valle” prima si diceva “nella Valle”; gli è
stato applicato perché prospicente l’antica Valle ...Muzia);
-Scandriglia con la frazione di Ponticelli (attualmente
comprende anche il Comune di
Monteleone
Sabino con la
frazione di Ginestra)
Fino al 31 dicembre 1840 è stata alle dipendenze della
Curia Vescovile di Sabina e dal 1 gennaio 1841 è passata a quella di Tivoli da
dove dipende attualmente.
L’attuale Orvinio sorge sulle rovine dell’antica Orvinium e l’imponente
Castello turrito si ritiene sia stato edificato sull’Arce dell’antica città
sabina.
Notizie estratte dall’archivio dell’Ecc.ma Casa Corsini,
desunte da un manoscritto redatto da un anonimo, probabilmente tra la fine del
18° e i primi del 19° sec. e sul quale si legge quanto segue:
“Esiste nella Valle Muzia l’antica e spaziosa
chiesa dedicata alla SS.ma Vergine
sotto il titolo dell’Assunta, ora però volgarmente detta S.Maria del Piano.
L’edificazione di questa Chiesa s’ignora, e sol si congettura possa essere
stata fabbricata da Carlo Magno, e
però nel settimo secolo. E’ certo bensì che è stata posseduta e uffiziata
longamente da P. Benedettini, che presso ad essa avevano il Monastero, di cui
vi sono ancora le reliquie. Sebbene non sappia quando Eglino ne ebbero il
possesso, pare possa dirsi, l’abbandonassero sul fine del secolo XV o sui primi
anni del secolo XVI, giacché Leone X avendo alli 11 di maggio 1513 quello fa,
che la ridusse ad Abbazia Secolare, dopo che i Monaci erano partiti, ab aevis,
gravitate, et redditure diminatione.
L’Abbate Benedettino godeva i diritti Parrocchiali de’
quattro Castelli, che erano intorno, cioè Petescia, Montorio, Pozzaglia e Valle
Bona (Canemorto non formava a quel tempo Comunità, ma era una piccola Villa).
Rovinate le fabbriche di Valle Buona, piacque a suoi
abitanti stabilirsi in Canemorto, onde restò questo, come il Castello da cui
ebbe l’origine, sotto la giurisdizione
di questa Parrocchia di S.Maria.
Partiti
i Monaci, e conceduta l’Abbazia ad un Prelato, questi di Petescia, Montorio e
Pozzaglia, formò tante Cure distinte, sgravandone se stesso, ed assegnò a
rispettivi Parroci la metà delle decime del rispettivo Territorio. Volle solo
per se ritenere la Cura di Canemorto forse, che luogo più prossimo alla sua
Chiesa. Perché però non avesse il popolo il grave incomodo di trasferirsi per le funzioni di S.Maria destinò a
tal uopo la chiesa di S.Nicola esistente dentro la Terra, mai però a quella
togliendo l’onore di essere prima Chiesa, Capo e Matrice della Parrocchia,
ond’è, che S.Nicola è stato sempre detto :Unita Ecclesia Sancte Marie=Membram
Ecc.le S.Maria=Ecclesia Filialis ed dependens”.
In seguito
all’avvenuto crollo delle Fabbriche di Valle Bona i suoi abitanti abbandonarono
quel paese e si trasferirono nella quasi totalità in Orvinio ad eccezione a
qualche famiglia che prese dimora a Civitella e Porcili (oggi Percile) Quando
avvenne ciò? Cercherò di stabilirlo il più esattamente possibile.
Premesso che
nel 1513, come risulta dal surriportato documento con notizie desunte
dall’Archivio Corsini, Orvinio non faceva Comunità, ma era una Villa (Castello
e sottostante primo nucleo di case) mentre il Castello di Vallebona esisteva al
pari di quelli di Petescia, Montorio e Pozzaglia, pertanto l’esodo degli
abitanti di Vallebona deve essere avvenuto esattamente dopo il 1513.
Poiché l’attuale Chiesa di Vallebona è stat costruita nel
1643, quando l’abitato di Vallebona era stato già distrutto, si deve ritenere
quindi che tale esodo sia stato effettuato dopo il 1513, ma prima del 1643.
Vediamo ora se è possibile ridurre ancora tale distanza.
Se la casa in Orvinio dove nacque l’insigne pittore cav.
Vincenzo Manenti è compresa nel gruppo di queste fabbricate in Orvinio dagli ex
abitanti di Vallebona, si deve ritenere per certo che ciò avvenne tra il 1513 e
il 1600, anno di nascita del cav.Manenti.
Stabilito inequivocabilmente il periodo di fusione
fra gli abitanti di Vallebona e quelli di Orvinio, troviamo nel periodo
compreso fra le due date (1513-1600) l’atto di nascita del nuovo nucleo di
Orvinio comprendente via Segni da Porta dell’Arco a Porta Romana, via del
Giardino dal portone n.14 fino a Piazza Vittorio Emanuele III, corso Vincenzo
Manenti da via Ripetta a Porta Romana, le due porte suddette e il Borgo
compreso fra la salita del Borgo e via Nuova ora Cesare Battisti.
Nello stabilire il nuovo
perimetro di Orvinio (il vecchio sarà descritto in seguito) fu tenuto
certamente conto della sua possibile difesa forgiata in modo tale da
rendere impossibile o quasi la sua
espugnazione da chiunque avesse tentato di assalirla dall’esterno.
Procediamo quindi lungo la sua
linea di difesa: In Piazza Garibaldi guardando verso il Corso


La torre di sinistra invece, che trovasi in asse con la
salita del Borgo era una autentica fortezza.
Ricordo di averla veduta circa quaranta anni or sono, prima
che fosse profanata con l’apertura della porta a piano terra e con la
stabilitura esterna dal proprietario del piano terreno Attilia Luigi, nella sua
imponente interezza come ce l’avevano tramandata i costruttori.
A circa due metri da terra,
disposte intorno alla torre e alla stessa altezza, esistevano quattro
bellissime feritoie simmetriche per bocche da cannone. Una o parte di essa,
certamente è scomparsa con la non mai abbastanza deprecata apertura della porta
suddetta; basterebbero pochi colpi di piccone per togliere l’indesiderata
stabilitura onde vedere riapparire le feritoie nella loro maestosità ed
imponenza. Non ricordo bene se nei due piani superiori esistessero feritoie per
fucili; ritengo però che vi fossero effettivamente.
Verso la sommità della torre, ed all’ingiro di essa a mò di
cornicione, esistevano delle mensoline ora scomparse ed ignoro quale fosse
stata la loro funzione.
Inoltre ricordo bene di avere veduto bene l’attuale tetto
che se non sarà quello originale, sarà certamente stato rifatto identico ad
esso e con lo stesso materiale.
Nella dannata ipotesi che i nemici che avessero attaccato
Orvinio in quel punto fossero riusciti a superare la Porta Romana, i difensori
potevano far fuoco d’infilata da una feritoia, esistente tutt’ora a bocca quadrata di circa centimetri
dieci di lato; detta feritoia è stata inserita nella terza e quarta bugna dalla
parte destra dello stipite bugnato del primo portone a sinistra sul Corso Manenti entrando
da Porta Romana contrassegnato
col civico numero due e
prolungantesi
a piramide tronca attraverso il muro avendo per base l’interno della casa (fig.4).

Proseguendo a sinistra il muro
perimetrale esterno dei fabbricati fronteggianti Piazza Girolamo Frezza (dove
trovasi il monumento dei Caduti in guerra 1915-1918, opera dello scultore
Tamagnini di Perugia (figg.5-6-7-8)
fino ad incontrare il muro di cinta del Parco del Castello, fungeva
magnificamente da muro di cinta, in quanto era privo di porte, perché quelle
che vi sono attualmente sono state aperte posteriormente ed in un lasso di
tempo più vicino a noi.
In quell’epoca, ai locali a pianterreno di detti
fabbricati, si accedeva dall’interno dell’abitato.
La rampa con le arcate lungo la via della Passeggiata, con
la soprastante strada che da Piazza Girolamo Frezza immette al Parco del
Castello (fig.5) è stata costruita
nella seconda metà del secolo scorso dall’Ecc.ma Casa Borghese.
Antecedentemente il muro di cinta del Castello s’innestava
con il fabbricato delle Vecchie Carceri.




Verso la sommità si notano delle feritoie per bocche da cannone su tre lati (una per
facciata) escluso quello verso Porta Vecchia che forse anche tale facciata ne era munita probabilmente
abbattuta
con le aperture praticatevi in seguito (fig.9)




Oltre a ciò, contribuiva efficacemente la poderosa
difesa del Castello e ben a ragione gli Orviniesi che hanno vissuto in
quell’epoca potevano essere ben sicuri ed al riparo da qualsiasi attacco nemico
sferrato dall’esterno.
La porta del Castello era munita di ponte
levatoio;
esternamente si notano (fig.14) in
basso fra gli stipiti e la soglia quattro grandi e massicci anelli di ferro,
dove giravano i cardini del ponte stesso e nel muro, soprastante il portone,
due aperture per il passaggio delle catene che servivano per alzare ed
abbassare ilponte stesso.




Esse sono state ricavate dal punto di vista
strategico in quanto sono prese d’infilata tutte le strade circostanti.

Proseguendo ancora oltre e giunti di fronte al n.35 della
stessa Via, il muro del Castello forma un altro angolo e colà esistono altre
quattro feritoie a diverse altezze, delle quali, due per bocche di cannone e
due per fucileria (fig.18).

Prima che l’attuale Orvinio si ingrandisse in seguito alla
fusione dei suoi abitanti con quelli di Vallebona che avevano abbandonato il
proprio abitato, era composto dal Castello e dal piccolo nucleo di abitazioni
ad esso sottostanti.
Anch’esso era munito di mura di cinta e la line, partendo
da un punto qualsiasi per esempio da via della Passeggiata (angolo Piazza
Girolamo Frezza) seguiva presso a poco il seguente andamento.



Porta Vecchia era inserita nel complesso di una massiccia
torre di difesa a forma quadrangolare ancora esistente e bene conservata. In
detta torre a varie altezze si notano feritoie a tutte quattro le facciate e
precisamente: due da cannone a quella che guarda verso Piazza del Sole (fig.10 dove si nota bene la spalletta di sinistra della porta
Vecchia scomparsa), quattro da cannone (una delle quali murata) e quella che
guarda verso le Coste (fig.11) due da
cannone alla terza facciata (una è murata)(fig.12).
Della quarta
e precisamente quella che guarda verso la Porta dell’Arco ne sporge solo una
piccola parte formando angolo col fabbricato su cui è appoggiata la torre
stessa.
Ebbene anche a questa facciata esistono due feritoie per
bocche da cannone, una al primo piano ed una al secondo piano (entrambe murate)
mentre al terzo ne esiste una per archibugieri (fig.12).
Da questa
facciata si prendeva d’infilata via Vincenzo Segni,
Anche per la
cinta primitiva contribuiva efficacemente il muro di cinta sia del Castello che
del Parco alla difesa del primo nucleo di Orvinio .
NB. Accertamenti postumi.
Risulta che il Tribunale (comunemente chiamato Curia) del
Governo di Canemorto, nel 1583 già era passato dagli Orsini ai Duchi Muti,
mentre quello dai Muti ai Borghese avvenne dopo il 1625.
Sotto i Muti il Capo della Curia aveva il titolo di
“Governatore e Vice Duca” , mentre
sotto i Borghese quello di “Uditore”.
A quell’epoca i paesi sottoposti alla Baronia di Collalto
Sabino non facevano parte del Governo di Canemorto, mentre sotto la
giurisdizione di questo, fra gli altri, erano compresi anche i seguenti
abitati: Orvinio, Scandriglia, Ponticelli, Poggio Moiano, Cerdomare, ,
Pozzaglia Sabina, Montorio della Valle, Pietraforte, Petescia, Poggio Nativo,
Castel Vecchio (oggi Castel di Tora), Colle Piccolo (oggi Colle di Tora),
Vallinfreda, Percile, Licenza, Civitella, Viavaro, Roccagiovine.
Sulla via Salaria esiste un ponte (all’altezza circa di
Nerola) e nel parapetto di destra, andando verso Roma, troneggia una grande
lapide in pietra indicante che fino lì si estendeva la giurisdizione del
Governo di Canemorto.
Le condanne che poteva infliggere la Curia di questo erano
le seguenti:
1)
pena di morte;
2)
galera a vita;
3)
galera a tempo;
4)
multe;
5)
esilio;
6)
tratti di corda;
7)
la catena infame o berlina.
Le pene inflitte di cui ai
nn.1 e 2 portavano come conseguenza la confisca totale o parziale dei beni.
Il condannato alla pena di cui al n.5, veniva
esiliato o dal solo Stato di Canemorto o da quello ecclesiastico a seconda
della gravità della mancanza commessa.
Le sentenze di morte venivano eseguite mediante
impiccagione.
S. Maria
del Piano
La Chiesa e
Abbazia di S.Maria del Piano dedicata alla SS.ma Vergine sotto il titolo
dell’Assunta fu costruita in località Valle Muzia nell’anno
ottocentodiciassette (817) d.c. per ordine di Carlo Magno in seguito alla
strepidosa vittoria riportata dalle sue armi contro i Saraceni , dalla strage
dei quali Orvinium prese il nome di Cani morti (poi Canemorto) e quindi di
nuovo Orvinio.
Nel supplemento al n.42 nel giornale “Le notizie del
Giorno” del 20 ottobre 1842 si legge: “...Vasto Tempio edificato per ordine
di Carlo Magno nell’817, di quà dal rivo (fosso di S.Maria) che divide dagli
altri il Territorio di Canemorto lungi un miglio dell’abitato verso
l’oriente....” .
Anche la persona più profana rileva, sia dal tempio che
dalla torre campanaria come gli alti cocci ivi impiegati, siano provenienti certamente da altri edifici
di epoca romana.
Nella convinzione, per non dire certezza, che tali blocchi
appartenevano ad edifici ormai distrutti, dell’antica città di Orvinium che
certamente doveva sorgere in quei paraggi, probabilmente dove è l’attuale
Orvinio; infatti l’attuale Castello di Orvinio si ritiene sia stato costruito
sopra l’Arce dell’antico Orvinium.
Sulla facciata della Chiesa (fig.41) in alto a sinistra e precisamente sotto il primo archetto
fra i capitelli delle prime due lesene,
è incastonata una piccola pietra di marmo bianco con la seguente
iscrizione che certamente si riferisce ad un restauro “Bartholomeus hoc op
fieri fecit 1219”.
Sotto un altro archetto è incastrata un altra pietra (fig.42). Come ho suesposto la Chiesa era dedicata all’Assunta,
tanto è vero, che fino ala prima metà del secolo scorso, il 15 agosto di ogni
anno (festa dell’Assunta) gli abitanti di Orvinio si recavano là
processionalmente e la festa era allietata da una fiera comunemente detta
“della nocchiata” perché intervenivano numerosi venditori di nocchie
(nocciole).
L’Abbazia era retta da Monaci Benedettini , aveva una
rendita vistosa, corrisposta non solo da Orvinio, ma da Pozzaglia, dalla
Pietra, Vallinfreda, Montorio, Petescia, Pietra Balle, ...da Salce, Monte
S.Maria e Rieti.
Data la sua grande importanza, nei secoli scorsi (come
risulta anche dall’archivio del Seminario di Magliano Sabino), era autorizzata
anche a coniare monete – in merito sarebbe bene esaminare la grande raccolta di
monete (che si dice la più completa del mondo) esistente nel Palazzo del
Quirinale a Roma e di proprietà
del nostro amato sovrano Vittorio Emanuele III.
Nel contempo consultare la grandiosa opera ricca di molti
volumi (finora ne sono stati stampati 18) illustrante la suddetta collezione di
monete del Re Imperatore alla compilazione della quale si dedica con amore il
nostro sovrano primo numismatico del mondo.
Dopo tanto splendore, la prima calamità che si abbatté su
di essa, fu nel periodo napoleonico; la Chiesa con l’Abbazia furono demaniate,
i suoi Monaci dovettero rifugiarsi presso altri Monasteri dell’Ordine e dopo la
morte dell’Abate Commendatario, ultimo di essa possessore, Ecc.mo Sig.
Caffarelli Canonico Lateranense, la Chiesa rimase abbandonata e le rendite che
si fossero esatte per quindici anni dopo la morte del suddetto Abate
Caffarelli, erogate allo scopo di ricostruire ampliata, la nuova Chiesa
Abbaziale e Parrocchiale di Orvinio sotto il titolo di S.Nicola di Bari, che fu
infatti inaugurata il 18 e 19 settembre 1842.
Nella prima metà del secolo scorso crollò una parte del
soffitto della unica navata (formato da incavallature di legno visibili e
embrici di terracotta); successivamente, a brevi intervalli dal primo,
seguirono altri crolli.
Nel 1855, mentre in Italia infieriva il colera, Orvinio subì
la stessa tragica sorte; in tale occasione e dato l’enorme numero di decessi,
per misura igienica, essendo proibito di continuare il seppellimento dei
cadaveri nella Chiesa dell’abitato, il Comune di Orvinio decise il
seppellimento dei colerosi nella Chiesa di S.Maria del Piano.
Mi raccontavano dei vecchi che avevano vissuto in
quell’epoca, che i colerosi deceduti venivano posti dentro le casse di legno e
cosparsi di calce viva onde impedire il propagarsi del terribile morbo. Più di
un caso si verificò che il coleroso, dopo essere stato incassato e cosparso di
calce viva, fu portato a S.Maria del Piano che ancora non aveva reso l’anima a
Dio.
Verso il 1870 il Comune di Orvinio, non avendo i fondi per
costruirsi un camposanto, ottenne dall’Autorità Prefettizia di poter seppellire
liberamente dentro la Chiesa di S.Maria del Piano.
In tale occasione fu tolta la porta di legno e il vano
murato, tolto il resto del tetto della unica navata, scoperchiate le due
cappelle e divelto il mattonato.
Come si intuisce, l’edificio già fatiscente si avvia
rapidamente alla completa rovina.
Nella seconda metà del secolo scorso anche la torre
campanaria, rimasta quasi intatta, fu colpita dalla folgore che demolì il tetto
ed una parte del muro di vertice di essa (fig.33).
All’altezza
della cella campanaria, su ciascuna delle quattro facciate vi è una finestra
trifora formata da tre archetti;
quello centrale è poggiante su due colonnine di marmo con capitelli a
stampella.
Nei piani sottostanti altre finestre bifore e monofore.
Il 19 settembre 1885 il Comune di Orvinio stipulava il
contratto di appalto relativo al nuovo camposanto che fu subito costruito a
forma rettangolare, in prossimità della chiesa di S.Maria del Piano e,
precisamente a sinistra a filo della strada venendo dalla parte di Orvinio, a
circa 50 metri dalla facciata principale di detta Chiesa e nomato “Camposanto
delle Fargne”.
Appena ultimato, allorché si procedette alla inaugurazione
della prima salma (certo Bernabei Michele, soprannominato Michelitto) fu
riscontrato che nella fossa ci nasceva l’acqua..
Da tale fatto, resa impossibile la sepoltura nel nuovo
Camposanto, fu continuata dentro la Chiesa di S.Maria del Piano, fino all’anno
1906, epoca in cui fu inaugurato il nuovo cimitero, situato sulla strada carrozzabile che conduce a Percile, e
precisamente a Km.1 da Orvinio in località Petriane.
Allorché fu stipulato il contratto per la costruzione del
Camposanto delle Fargne, sembra che l’Amministrazione Comunale dell’epoca
(sindaco Morelli Augusto) avesse concesso all’appaltatore Amici Nicola, di
poter demolire la facciata del prossimo tempio di S.Maria del Piano, onde poter
utilizzare il materiale ricavato, per la costruzione del prossimo sacro
recinto.
Sembra
impossibile tale assurdità ma purtroppo è verissimo, perché agli atti del
Comune di Orvinio due lettere originali: una del Principe Don Paolo Borghese in
data 1 dicembre 1884, l’altra in data 30 novembre 1884 al n.387 di protocollo
della R.a Prefettura di Perugia, indirizzata al sindaco di Orvinio, con le quali
si chiedono schiarimenti e si proibisce nel modo più assoluto il non mai
abbastanza deprecato disegno di abbattimento della facciata dell’illustre
monumento.
Attualmente, benché non siano passati molti anni dalla
costruzione del Camposanto delle Fargne, non esiste più traccia di muratura del
recinto sacro, perché senza dubbio la malta adoperata, è stata di qualità
scadente; si racconta, che alla pochissima calce adoperata, anziché pozzolana o
sabbia, fu impastata dell’autentica terra.
L’unico cancello di questo Cimitero è stato posto in opera
nel nuovo Camposanto delle Petriane, nella facciata che guarda Vallebona e
precisamente in fondo a quella specie di galleria dove è sistemato l’ossario ed
i loculi provvisori.
Torniamo alla Chiesa di S.Maria del Piano.
Nei secoli scorsi vi sono state varie vicende e litigi,
alle volte anche cruenti, fra gli abitanti di Orvinio e quelli di Pozzaglia,
per il diritto di possesso del Tempio.
Verso l’anno 1849 gli abitanti di Pozzaglia si
appropriarono del quadro della Madonna che troneggiava sull’Altare Maggiore.
Da tale fatto, il Comune di Orvinio, come contro partita
chiese alle superiori Autorità di potersi appropriare dell’unica campana
collocata sulla apposita torre (fig.33).
Fallite
tutte le trattative bonarie, in via amministrativa, gli abitanti di Orvinio ai
primi dell’anno 1849 si recavano in forza a S.Maria del Piano e, non ostante le
energiche proteste di molti Pozzaglietti presenti, toglievano la campana e dopo
averla portata a Orvinio, la issavano sulla torre campanaria della Chiesa
Abbaziale di S.Nicola di Bari, collocandola sulla cella che guarda il tetto
della Chiesa e precisamente al lato opposto della facciata della Chiesa stessa,
nel piano sottostante a quello dove sono attualmente le campane, in quanto detto
campanile, a quell’epoca era un piano più basso.
Tale fatto non poteva rimanere occultato ed il Preside di
Rieti, con sua nota n.31 PS del 24 marzo 1849, stigmatizzando l’accaduto,
ingiungeva al Priore dell’epoca (attualmente podestà) di consegnare la campana
entro tre giorni deponendo contemporaneamente i Componenti la Civica
Amministrazione; la revoca di tale provvedimento fu ottenuta solo dopo avere
dato assicurazione di consegnare subito la campana.
Per la
storia il Priore era Taschetti Marco.
Non essendo
ancora costruita la strada carrozzabile “Orviniense”, la campana scortata da fanti e cavalieri della
prima Legione della Guardia Nazionale, per portarla a spalla da trenta uomini,
da Orvinio fino all’Osteria Nuova, territorio di Frasso Sabina, passando nella
strada di Vallebona, dove fu caricata su un carro che la portò direttamente a
Rieti.
Esiste agli atti del Comune di Orvinio la ricevuta
originale così concepita:
Repubblica Romana
n.3288
Il Preside di Rieti
Al Cittadino Priore di Canemorto
--
La
campana è giunta in Rieti ed è in deposito in un locale di questa residenza.
Tanto
in replica al Vostro foglio del 10 corrente n.266 e Vi auguro prosperità e
saluti.
Rieti
13 aprile 1849
Aff.mo
f.to
Raffaele Feoli
Da tale
epoca il Comune di Orvinio ha sempre lottato strenuamente per riavere la sua
campana, ma inutilmente, perché le Autorità Superiori hanno sempre sostenuto
che tale restituzione avrebbe potuto turbare l’ordine pubblico fra Pozzaglietti
ed Orviniensi, essendo i primi contrarissimi a tale restituzione.
Si sappia che un acerrimo e temibile nemico del
buon diritto di Orvinio è stato un certo Negri Enrico di Pozzaglia e segretario
comunale di quel paese, deceduto molti anni or sono e più precisamente verso la
fine del secolo scorso o i primi di quello attuale.
La campana fu prestata al Comune di Rieti in occasione
che in quel teatro civico si
rapprasentava l’opera “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi.
Il Comune di Rieti, sollecitato da quello di Orvinio,
rispondeva con nota n.2115 del 17 gennaio 1889, che nei locali del Teatro
Civico esisteva realmente una campana, ma che si ignorava la sua provenienza,
non solo, ma che il Comune di Rieti era depositario di essa.
Falliti tutti i tentativi per via amministrativa, il Comune
di Orvinio per rientrare in possesso della campana stessa, conveniva in
giudizio il Comune di Pozzaglia e credo che vi sia stata sentenza del Tribunale
di Rieti (emessa dopo il 1894) favorevole al Comune di Orvinio; però la campana
è sempre restata a Rieti. Si potrà riavere? Ogni buon Orviniense lo spera.
La Chiesa ed Abbazia di S.Maria del Piano fu acquistata dal
Comune di Orvinio al Demanio dello Stato, per la somma di Lire 402,70 (quattrocentodue
e centesimi 70) ivi comprese quaranta deciare di terreno adiacente al Tempio.
L’atto fu stipulato il 6 settembre 1869 a rogito Valentini
Antonio di Petescia e firmato: per il Comune dal sindaco di Orvinio, sig.
Vincenzo Segni, e per il Demanio dello Stato dal Ricevitore dell’Ufficio del
Registro di Orvinio sig. Celentani Emilio; atto registrato in Orvinio il 18
ottobre 1869 al volume 4 n.60 foglio 8 Atti Pubblici – Esatte £.14,30. – Agli
atti del Comune di Orvinio risulta (ordine n.32) il 24 aprile 1854 fu pagato
dall’Esattore Comunale di Orvinio, sig. Camillo Tani, a Pietro Bonaiuti
falegname scudi due per l’acquisto del legno occorrente alla costruzione della
porta si S.Maria del Piano (ordine n.54) (come sopra) scudi due e baiocchi cinquanta per lavoro da
falegname.
Dato lo
stato fatiscente dell’intero edificio, il Comune di Orvinio trovandosi nella
impossibilità di effettuare i necessari restauri per mancanza di mezzi provvide
a farlo dichiarare Monumento
Nazionale.
Lo Stato concesse un sussidio quindici anni or sono circa;
infatti fu riparata e ricoperta la torre campanaria nonché murata la porta di
accesso nell’interno.
Per mancanza di direzione e senza un minimo dì’arte, il
tetto del campanile fu rifatto ad un solo piovente, anziché a quattro come era
quello originale.
Per quanto
però non sia stato fatto a regola d’arte, per ora la torre campanaria è
riparata dalle infiltrazioni dell’acqua piovana; se si otterrà di restaurarla,
allora si potrà ripristinare la copertura come l’originale.
Molti articoli in varie epoche e da diverse persone sono
stati scritti per richiamare l’attenzione delle Superiori Autorità, specilmente
quello del Prof.Lorenzo Fiocca pubblicato sul Bollettino d’Arte, edito dal
Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione delle Belle Arti Anno V
fascicolo XI del 30 novembre 1911) ricco di partecchie fotografie e pianta
dell’intero edificio (fig.23) fino ad
ora sono caduti tutti nell’oblio.
E’ inutile descrivere lo stato misero in cui si trova il
sacro edificio; basti dire che dell’Abbazia sono in piedi in parte i muri
perimetrali (fig.23-24-25-26) e qualche
cosa dei muri divisori; il resto tutto a terra.
La torre
campanaria, per quanto anche essa avrebbe bisogno di qualche restauro, allo
stato attuale è bene conservata.
La Chiesa, come è detto sopra, è tutta scoperchiata, ad eccezioe dell’abside che è coperta da
una robusta volta; i muri perimetrali, benché sbocconcellati, ancora resistono.
E’ a terra la cappella di destra, prossima alla torre
campanaria; sono crollati anche gli archi intorno al Presbitero. Intatto ancora
il magnifico Altare Maggiore in marmo bianco; è scheggiato solo un angolo
anteriore nel piano superiore.
Dal vertice della facciata ( che ancora si difende come può
dalle ingiurie del tempo e dalla manomissione degli uomini dalle mano rapaci) è
caduto il blocco di pietra dove era impiombata la croce di ferro e che ricordo
di averlo veduto gettato in un angolo interno della cappella di dstra; speriamo
che non sparisca e che si rinvenga intatto con tutta la croce come l’ho veduto
io.
Sono caduti anche alcuni frammenti del rosone sopra la
finestra della facciata principale e mi si riferisce che siano conservati nei
locali del Comune di Orvinio.
A vedere S. Maria del Piano nelle condizioni in cui si
trova, si stringe il cuore ad ogni buon cittadino e se l’auspicato restauro si
farà attendere ancora, il secolo attuale sarà responsabile della rovina di si
insigne monumento e chiunque che per caso si incontrerà a passare in quel luogo
desolato, dirà:”una volta quì esisteva la splendida e famosa Chiesa ed Abbazia di S.Maria del Piano”.
Il Governo Fascista che dedica le sue amorevoli cure al
Patrimonio Artistico Nazionale, sono certo non permetterà lo scempio della
completa rovina del Sacro Tempio.
Il seguente
articolo , da me redatto, è stato pubblicato sul giornale di Roma “Il Giornale
d’Italia”del giorno 3 dicembre 1938 XVIII E.F. e successivamente sugli altri
quotidiani della Capitale “Il Messaggero”-“La Tribuna e Idea Nazionale” – “Il
Popolo di Roma” nonché sulla rivista mensile “Latina Gens” anno XVII E.F.
distinta con i n.1 e 2 Gennaio-Febbraio 1939.
Non deporrò le armi e non desisterò dalla nobile e santa
battaglia da me ingaggiata, affinché l’auspicato e completo restauro di si
insigne monumento divenga al fine realtà.
Volere è potere e umano è sperare nella definitiva
vittoria .
Foto S.Maria e articolo
Accertamenti postumi. – Nel
Regesto di Farfa risultano trascritti i due seguenti documenti nei quali si fa
menzione di S. Maria del Piano e cioè:
Documenti 555 e 938
rispettivamente compilati negli anni 1026 e 1062 – Volumi III e IV – pagina 263
e 332 = Ritengo pertanto che se nel 1026 risulta esista fiorente S. Maria del
Piano, data accettata, relativa alla costruzione di detta Chiesa, non può non
essere quella fissata nell’anno
917 d.c..
(Per altre notizie vedere Errata Corrige e Aggiornamenti a
pagina 60 e seguenti del presente.)
Fig.1-2 ora 22 e 23
Veduta d’insieme


Già 5
Orvinio, Chiesa di S. Maria del Piano Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Particolare
della facciata Particolare
della finestra e della rosa


Muro
destro della nave longitudinale
Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Capitello innestato al muro destro della
nave longitudinale


Orvino, Chiesa di S.Maria
del Piano
Veduta esterna dell’abside
Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Porta
d’ingresso alla nave traversa

Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Fregi di trabeazione dorica innestati
nella
Torre campanaria
Orvinio, Chiesa
di S.Maria del Piano
Torre
Campanaria

Fregio di
trabeazione dorica innestato
Nella
Torre Campanaria

Orvinio, Chiesa
di S.Maria del Piano
Fregio
di trabeazione dorica innestato nellaTorre Campanaria


Orvinio, Chiesa
di S.Maria del Piano Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Occhio del muro
destro del presbiterio Arco
e corrispondenti semicolonne nella nave
traversa
Orvinio, Chiesa di S.Maria del Piano
Angolo
d’incrocio della nave long. Con la traversa

Orvinio, Chiesa
di S.Maria del Piano
Campata destra
della nave traversa.
Particolare
della volta a crociera


Iscrizione posta sulla facciata della Chiesa
Chiesa e abitato di
S. Maria di Vallebona

Sorge al
centro del vecchio abitato del paese di Vallebona.

E’ a forma
rettangolare con annessa casa con le abitazioni per il Custode o Eremita e per
il Cappellano (attualmente vi risiede solo l’Eremita tale Timperi Augusto di
Orvinio).
Vi si accede
da una unica grande porta a stipiti di pietra sormontata da timpano, situata
nella facciata che guarda verso
Orvinio; ai lati della porta vi sono due finestre quadrate poste all’altezza di
circa un metro da terra e munite di robustissime inferriate.
Non si
trascurò di provvederla di redditi stabili e ciò avvenne con tanto
entusiasmo che in breve tempo il
reddito superò i cinquemila scudi romani.
Sull’Altare
Maggiore (fig.48) si ammira
l’antichissimo affresco della Vergine che non è stato dipinto in loco dopo la
costruzione dell’altare attuale, ma l’intonaco appare segato e quindi
certamente è stato tolto da un altro edificio precedente ora scomparso.
La Sacra
Effige di S.Maria S.S.ma è rozzamente dipinta e rappresenta la Madre di Dio in
atto di allattare il Divino Figliolo (fig.44-45-48).
L’epoca e
l’autore di questo antichissimo affresco si perdono nella notte dei tempi,
certamente però esso fu dipinto da
mano esperta quando la pittura era al suo inizio; lo dimostra il fatto che
pochissimi colori sono in essa applicati.

L’affresco è
molto sbiadito ed è prossimo a scomparire.
Nella facciata
di fronte “Adorazione dei Re Magi”.

In alto a
destra “La fuga in Egitto”. E’ un affersco meraviglioso sia per la realistica
concezione che per il contrasto e la vivacità dei colori (fig.50).
Di fronte “La
Vergine con Santi” (fig.51). Come
vedesi dalla fotografia, non si distingue quasi più perché molto deteriorato.
Al centro
della volta, entro una ricca cornice ovale di stucco “L’Assunzione di Maria
Vergine” (fig.48).Nella lunetta in alto
sopra l’Altare Maggiore (fig.48)
l’affresco riproduce il Padre Eterno che stende sul mondo il braccio sinistro.

L’altare di
sinistra che è situato di fronte a quello testè descritto, è sormontato da
una meravigliosa tela del Manenti;
è danneggiata nella parte centrale
in alto essendone caduto un pezzo rettangolare orizzontalmente (fig.55), ma in generale è ancora bene conservata..

Sul ligneo
soffitto della Chiesa esistevano tre grandissime e stupende tele del Manenti
contornate da cornici sagomate e riproducenti: quello verso la porta della
Chiesa “Gesù che indica a S.Pietro la Porta del Paradiso, dopo avergli
consegnate le chiavi (fig.52).
Al centro, di
dimensioni più grandi degli altri due, “un Angelo che addita alla Vergine la
venuta dello Spirito Santo”(fig.53).
Il terzo
collocato verso l’Altare Maggiore, rappresentava S.Giovanni.
Il primo è
ancora discretamente conservato; il secondo (al centro) è abbastanza
deteriorato come si riscontra anche dalla fotografia (fig.53),; il terzo, invece, riferentesi, come sopra detto,
a S.Giovanni, non esiste più perché qualche anno fa un muratore di Orvinio,
nomato Petrucci Angelo, mentre lo toglieva per essere restaurato, non avendo
disposte le cose a
modo, lo faceva
precipitare dall’alto della Chiesa e nella caduta sul nudo pavimento rimaneva
completamente distrutto.

I visitatori della Chiesa di
Vallebona, alzando gli occhi al soffitto, guardano con mestizia al vuoto, non
facilmente colmabile, lasciato dal meraviglioso quadro andato distrutto, senza
lasciare tracce di se.


Vi sono alcune
vecchie pitture su legno o su tela, ex voti per grazie ricevute; una vecchia canna
di archibugio ridotta in due pezzi.
Avvi pure moltissimi quadri con cuori di argento
ex voti, spadini di argento, vezzi di corallo, viere, ecc. anche essi offerti
alla Miracolosa Sacra Immagine della Vergine S.S.ma di Vallebona.(fig.48)
Il cuore d’argento
entro il quadro con cornice dorata e vetro a sinistra dell’altare maggiore, il
primo in alto a destra verso l’altare e che vedesi nella fig.48, indicato dalla freccia, è stato da me donato alla
Madonna per avere ricevuto indegnamente ben tre grazie da me accertate.
Altri
bellissimi quadri ad olio su tela sono appesi nelle pareti della Sagrestia.
Ivi si
conserva anche una bella tela molto antica, rappresentante S.Giovanni; essa
sovrastava l’unico altare della Chiesetta dedicata a questo Santo, prossima a
Vallebona; fu 
tolto nel secolo
scorso quando la Chiesetta con i
terreni circostanti furono demaniati e portata a Vallebona.


Qualche anno
fa il Parroco di Orvinio, Sarrocco don Salvatore, nativo di Siciliano, faceva
ripulire la Chiesa di Vallebona.
Durante i
lavori di raschiatura dl vecchio intonaco, si scopriva nella parete di destra,
in prossimità della porta che immette alla scale che conduce alla casa
dell’Eremita ed a circa metri due e cinquanta centimetri di altezza dal
mattonato, un affresco delle dimensioni di circa un metro quadrato e che forse
rappresenta un ex voto.


Verso la metà dell’anno 1898,
la vecchia campana fu fatta precipitare dal campanile, dal lato che guarda
verso il camposanto delle Petriane o meglio quello in linea con la parete
sinistra della Chiesa, mentre la nuova ha risalito e preso il posto della
vecchia entro la cella campanaria sopra un ponte di legno gettato sopra la
strada che fiancheggia il lato destro della Chiesa dall’ingresso dell’orto
dell’Eremita fino al tetto della Chiesa e quindi attraverso il tetto stesso, su
cui erano state tolte le tegole, dentro il campanile.
L’ultima
fusione è avvenuta alle 5,45 del giorno 25 agosto 1898 presente Antonio Tani di
Orvinio nella fonderia dei F.lli Mari di Salle (Abruzzi).
Dopo la
fusione fu trasportata in Orvinio il giorno 5 settembre successivo alle ore 6
ed appesa, per la cerimonia battesimale, a delle robuste corde legate nella
catena di ferro che attraversa le spalle dell’arco della cantoria, antistante
l’organo, della Chiesa Parrocchiale di Orvinio.
Fu battezzata
da Mons. Pietro Monti, allora Vescovo di Tivoli, assistito dai Ministri
:Valentini arciprete Valentino Diacono, Pietro Filizzola Sacerdote e Cappellano
Rettore di Vallebona e dal cerimoniere Don Emilio Valeri.
Padrino il
Comm.Filippo Todini fu Alessandro, madrina S.E.Elena Principessa Borghese con
procura alla Madre Angelina suora delle Figlie della Croce.
Portata a
spalla a Vallebona, dai fedeli Orviniensi, il giorno successivo della natività
di Maria Vergine ed appesa al campanile lo stesso giorno.
In tale
circostanza fu celebrata a Vallebona la Messa dallo stesso Vescovo Mons.Monti.
La campana
attuale porta la seguente scritta: “Fusa dai fratelli Mari di Salle-A-1898”
Il ceppo
invece è stato rinnovato nell’anno XVI –E.F. dal falegname Frezza Goffredo di
Orvinio.
Mio padre
Alessandro Fabriani fu Bernardino nato nel 1836, mi raccontava di rammentarsi
bene la fusione precedente della campana di Vallebona, fusione avvenuta a
Vallebona stessa quando lui era giovane.
Il forno era
stato costruito a ridosso della parete esterna sinistra della Chiesa (fig.43) e
precisamente quella in linea con la torre campanaria. Estenamente partendo
dalla base del campanile e procedendo verso la facciata dell’ingresso alla
Chiesa, si incontra un muro sporgente che riguarda l’altare, a sinistra
entrando in Chiesa, dove è la tela dell’apparizione della Madonna al Beato
Stefano (fig.55).
Tale sporgenza
forma due angoli retti rispetto alla facciata della Chiesa; uno a sinistra
verso il campanile, l’altro a destra verso la facciata della porta.
Ebbene il
forno era stato costruito in quest’ultimo angolo; anche oggi si notano
benissimo degli avanzi della costruzione del forno come vedesi dalle due
fotografie (fig.43-47).
Mio padre
aggiungeva che durante tale fusione i fedeli recandosi a vedere quell’inusitato
spettacolo, facevano a gara per gettare nel crogiuolo a seconda delle proprie
possibilità, monete di argento e di oro affinché la campana potesse risultare
con un suono più argentino.
Il lunedì di
Pasqua si fa una bella festa a Vallebona, ove si recano in gran numero gli
abitanti di Orvinio e dei paesi circostanti. Colà si consumano largamente le
ottime torte di Pasqua, salametti (specialità locali) uova sode, agnelli
arrostiti ed altro, non escluse abbondanti libagioni di vino più o meno
generoso.
I sacerdoti di
Orvinio vi celebrano la S.Messa e la campana suona a distesa diffondendo con la
sua grande bocca la sua squillante voce lungo le vallate in fiore a cui fa
riscontro il festoso cinguettio degli uccelli mentre la dolce primavera fa
notare la sua presenza.
Quest’anno
tale giorno ricorreva il dieci aprile; fra gli improvvisati campanari, era
salito sul campanile il giovane Alberto Desideri, il quale, volendo forse
gareggiare in bravura di fronte ai suoi compagni, inferse maggiore impulso alla
campana tanto da farla uscire dal castello di legno ove è appesa, e farla
precipitare sopra la volta esistente alla base della cella campanaria.
Figurarsi lo
spavento dei campanari in erba, i quali si calarono precipitosamente sul tetto
della Chiesa, lo attraversarono fino alla grondaia sovrastante l’ingresso
esterno della casa dell’Eremita e spiccando un mastodontico salto da
quell’altezza, in direzione dell’orto dell’Eremita, si dileguarono.
Senza dubbio
vi fu l’intervento Divino della Madonna di Vallebona, perché non solo non
successe nessuna disgrazia alle persone, ma la campana per vero miracolo
precipitò ai piedi del campanile.
Nella caduta
si spezzò solo una gamba il piccolo Crocifisso che è fuso alla parete esterna
della campana stessa.
Dopo qualche
giorno alcuni volenterosi rimisero a posto il sacro bronzo.
Un’altra festa
vi si celebra il 2 luglio, giorno della Visitazione.
Per tradizione,
io pastori di buoi (detti comunemente
butteri o bifolchi) a piedi scalzi portano processionalmente da Orvinio
a Vallebona, la Sacra Icone della Vergine delle Grazie, esistente nella Chiesa Parrocchiale di S.Nicola
di Bari.
In tale festa
accorrono numerosi anche gli abitanti dei paesi viciniori.
E’ incredibile
il concorso e la generosità dei devoti.
Frequenti sono
le grazie che la miracolosa Madonna dispensa ai suoi fedeli devoti, facendo
accrescere la devozione del popolo e la fiducia verso la Madre di Dio.
Il popolo di
Orvinio ripone tutta la sua devota fiducia nella Vergine di Vallebona, per il
sollievo delle sue sofferenze.
Si racconta
che gli abitanti dell’ex paese di Vallebona, dopo aver abbandonato il proprio
abitato si trasferirono ad Orvinio ed in tale epoca fu costruita da loro stessi
la parte nuova dell’abitato di Orvinio.
Il paese di
Vallebona andò in isfacelo e le mura diroccate divennero presto preda dei rovi
e dell’edera.
Un giorno un
pastore di Orvinio recatosi a Vallebona, armato di scure saliva su di un rudero
allo scopo di tagliare dell’edera che lo ammantava onde poter far nutrire le
sue capre.
Mentre menava
un forte colpo per recidere un grosso ramo, fu scosso da un grido di donna,
proveniente dal fitto fogliame, e nello stesso tempo si accorgeva che la lama
della scure era intrisa di sangue. Lì per lì rimase allibito, ma poi fattosi
coraggio, volle vedere cosa si nascondeva sotto l’edera.
Strappate le
foglie che ricoprivano il muro, scoprì la Sacra Effige della Vergine S.S.ma che
grondava sangue come persona vivente, da una ferita sul lato sinistro del
labbro inferiore, precisamente dove era stata colpita dalla scure del pastore.
Anche oggi,
dopo alcuni secoli, guardando la Sacra Immagine, si vede distintamente il
labbro tagliato.
Il pastore
corse subito ad Orvinio a raccontare la prodigiosa visione e tutto il popolo si
portò processionalmente a Vallebona.
La Sacra
Immagine fu tolta e portata nella Chiesa di Orvinio; dopo avervi celebrati dei
solenni Vespri, in onore della Vergine S.S.ma, la sera fu chiusa la porta come
al solito.
La mattina
seguente, il sagrestano recandosi ad aprire la porta della Chiesa, rimase
sorpreso nel vedere che la Sacra Immagine portatavi la sera precedente da
Vallebona, era scomparsa..
Dato l’allarme
ed effettuate delle pronte ricerche, la Sacra Immagine fu ritrovata a
Vallebona, e precisamente nel posto primitivo dove fu scoperta dal pastore.
Si pensò
subito che la Vergine S.S.ma non voleva separarsi da Vallebona ed allora fu
deciso di costruire l’attuale Chiesa della Madonna di Vallebona, collocando
nell’Altare Maggiore la Sacra Immagine scoperta dal pastore.
Nel suo libro
“La città di rifugio dell’Abruzzo Aquilano” padre Domenico di Sant’Eusanio ci
dice che altre due miracolosissime Immagini furono eseguite sul modello di
quella di Vallebona, e ci racconta quanto segue: “Predicava le Sante missioni
in terra di Scandriglia il cappuccino padre Giuseppe Antonio Lattanti da
Trevignano, predicatore, ai suoi tempi, celeberrimo e zelantissimo, albergando
in quei giorni in una casa di un pio benefattore, avvenne che una sera il figlio di costui, bambino di appena
otto mesi, avuta tra le mani un immagine di carta della Madonna di Vallebona,
così strettamente se la teneva che a niun patto la volle ad altri consegnare se
non solo a padre Giuseppe Antonio. Or costui rimanesse
colpito dalla espressione dolce ed attraente della Vergine, o ravvivasse
nel fatto del bambino qualche cosa di straordinario e quasi un avviso celeste,
carissima si tenne quell’Immagine; anzi trovato in Roma un giovane pittore gli
affidò l’incarico di ritrarre le medesime fattezze su tela ed in proporzioni
più grandi, avendo stabilito servirsi di quella Sacra Effige in tutte le Sante
Missioni che gli sarebbe dato ancor predicare.
Avuta poi la desiderata copia,
tanto se ne compiacque che altre due similissime ne fece dipingere con
intenzione di farne un devoto regalo a quei paesi che nel corso del suo
Apostolato, più avesse visti infiammati nell’amore di Maria S.S.ma.
E come aveva
stabilito così veramente eseguì, recando seco dovunque nella sacra predicazione
di quelle tre bellissime copie, e donando le altre due alla Collegiata di
S.Marco di Bagno nell’Aquila ed alla Collegiata del paese di Antrodoco, la sua
nominando, Vergine Consolatrice degli Afflitti, le altre Madonna S.S.ma del Popolo”. La terza
copia che rimase a padre Giuseppe Antonio non si è mai potuto sapere dove e a chi la donasse.
La copia
lasciata a S.Marco di Bagno è posta tuttora in venerazione alla Chiesa di
S.Maria sotto il nome di “Madonna del Popolo Aquilano” è ritenuta dagli
Aquilani molto miracolosa, e sappiamo che dallo stesso padre Giuseppe Antonio
fu istituita un Congregazione di uomini e di donne, chiamata del S.S.mo Nome di
Maria e che diventò numerosissima. La cifra raggiunge i seimila confratelli
avendogli dato il nome il Vescovo e tutta la noboltà di Aquila e quattro anni
dopo lo stesso Carlo III con la sua consorte Maria Cristina e tutta la sua
famiglia vollero essere Capi e protettori della Congregazione.
Nel 1727 fu dichiarata protettrice di Aquila e con festa
solenne fu posto sotto il quadro della Vergine questo bellissimo distico
“Huc, Aquila
infigeabtus, ubi Virgo refulget; virgo parenz, populi vita salusque tui”.
E furono ottenute per i membri della Congregazione le
medesime Indulgenze concesse per la Madonna di S.Maria Maggiore di Roma e ogni
sabato vi si celebrano le litanie in musica col S.S.mo Sacramento esposto.
Quanto alla copia alla Collegiata di Antrodoco, essa è
tuttora tenuta in grandissima venerazione dagli Antrodocani.
Anche quì, come in Aquila, ogni sabato vi si cantano le
Litanie e una solenne festa vi si celebra la terza domenica di settembre.
Bene a ragione gli Orviniensi sono molto orgogliosi della
loro miracolosa Madonna di Vallebona che tutti venerano, adorano e festeggiano
ogni anno con appassionata devozione.
Una superba
incisione su lastra di rame levigatissima delle dimensioni di centimetri
21,5X19 di superficie incisa compresa la cornice, è conservata nella Chiesa
Parrocchiale di S.Nicola di Bari in Orvinio.
Essa riproduce fedelmente le dolci e angeliche sembianze
della Madonna di Vallebona ed è
stata incisa, come rilevasi dallo stesso rame, in Roma l’anno 1740, dal celebre
incisore Girolamo Frezza di Orvinio da me ricordato
nell’inno a Orvinio (fig.15 a pag.32B).
Si ignora la data e la casa dove ebbe i natali questo grande figlio di Orvinio,
che attende ancora di essere degnamente onorato.
E’ mia
impressione personale che la casa dell’insigne incisore dovesse trovarsi al
corso Manenti in prossimità di Porta Vecchia al primo o secondo piano della
casa prospiciente la Piazza del Sole già Piazza del Casalino (vedere a pag.36
del presente).
Del vecchio
paese di Vallebona, attualmente si conserva ancora quasi tutto il muro di
cinta, innestato ad avanzi di tre torri di difesa, ubicate in punti diversi,
una delle quali (fig.45-46-47) per
quanto molto sbocconcellata, si erge imponente e maestosa per un altezza di
circa venticinque metri di muro pieno e priva di porte di accesso. Tale torre è
situata nell’orto dell’Eremita, dalla parte che guarda verso Scandriglia e
precisamnete nell’angolo superiore di destra entrando in detto orto, angolo che
guarda verso il Monte Castellano.Forse si accedeva alla sua sommità da un ponte levatoio o da qualche passaggio
coperto esistente nel muro di ronda oggi scomparso. Nella parte superiore di
essa si nota ancora bene, anche ad occhio nudo, un avanzo di archi e volte
distinguendosi perfettamente che alla sommità doveva esservi un piccolo vano, per cui si può ritenere,
senza dubbio alcuno, che essa aveva la funzione oltre che della difesa, quella di osservazione e certamente
doveva essere inespugnabile a qualsiasi attacco che le fosse stato mosso
dall’esterno.
Nel muro di cinta del paese
mancano le tracce delle porte ed allo stato attuale si ignora quante fossero e
il punto preciso della loro ubicazione.
Dentro il perimetro delle mura si notano molti avanzi di
muri, taluni anche imponenti solidamente costruiti; assente qualsiasi traccia
di arte, ma tutte costruzioni a base di ciottolame.
Ignorasi se
gli abitanti di Vallebona attingessero acqua dal fosso che scorre ai piedi del
monte oppure da pozzi esistenti nell’interno dell’abitato.
Chiesa
Parrocchiale
di S.Nicola
di Bari
La Chiesa Abbaziale e Parrocchiale, già Vicaria
dell’Abbazia di S.Maria del Piano, è situata al corso Manenti. Annessa alla
Chiesa vi è una comoda casa parrocchiale e l’intero edificio come risulta
attualmente (tranne l’elevazione dell’ultimo piano del campanile che è stata
circa sessanta anni or sono) è stato inaugurato il 18 e 19 settembre 1842.
Con Breve Apostolico del 7 maggio 1818 del Sommo Pontefice
Papa Pio VII al Vescovo di
Sabina pro tempore, alla cui
Diocesi ha appartenuto Orvinio fino al 31 dicembre 1841, per poi passare a
quella i Tivoli, concesse la facoltà di poter erogare quelle rendite che si
fossero esatte per quindici anni dopo la morte dell’ultimo Abate Commendatario
di S.Maria del Piano eretta in Commenda, Ecc.mo Caffarelli Canonico Lateranense
e devolute alla costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale unita
perpetuamente a quella Abbaziale
di S.Maria del Piano, essendo l’antica Chiesa Parrocchiale divenuta angusta per
la seconda volta.
L’esecuzione del suddetto Breve Pontificio era stata
differita fino al 1835 perché si erano formati due partiti sulla scelta del
luogo dove doveva sorgere la nuova chiesa.

A proposito e per meglio precisare dirò, che ricordo bene
quando ero fanciullo di aver visto iniziato in quel punto il fabbricato, tutto
in mattoni, con svelti e robustissimi archi ed elevato fino all’altezza del
secondo piano (ora trasformato in abitazione).
L’altro partito insisteva di radere al suolo la vecchia
Chiesa e sull’area di risulta
costruire la nuova; quest’ultimo prevalse.
Da una iscrizione del Vescovo Lorenzo Santorelli, si legge
che la Chiesa Parrocchiale di Orvinio, ora anche Vicaria dell’Abbazia di
S.Maria del Piano e consacrata il
31 marzo 1536.
Essa è a forma rettangolare e nella parte
centrale è sostenuta da
otto robusti pilastri, sistemati in forma ellittica, su cui scaricano gli archi
che sorreggono le volte ed i tetti.
Ha cinque altari, compreso quello Maggiore che è in
corrispondenza della porta principale centrale e sormontato da una non brutta
tela di S. Nicola di Bari, con nutria bigantina, protettore di Orvinio (fig.56) Nella parte interna della porta principale e precisamente
sotto l’arco che sorregge la cantoria vi è un bellissimo antiporta in legno,
decorato di intagli e quattro statuette scolpite in legno, opera eseguita dallo
scultore Alessi Ludovico di Orvinio sul finire del secolo scorso; pure della
stessa epoca e dello stesso
artista è quel bel complesso di armadi che è sistemato nella Sagrestia della
stessa Chiesa.
Gli altri quattro altari sono sistemati: due nel lato lungo
della Chiesa e precisamente: quello a destra dedicato a S.Rocco sormontato
dalla statua lignea del Santo; quello di fronte a quest’ultimo è dedicato alla
Madonna della Pace con Icone della Vergine, mentre gli altri due sono sistemati
ai due lati dell’Altare Maggiore: a destra dedicato al Sacro Cuore di Gesù, a sinistra alla Madonna
Addolorata, sormontati entrambi dalle rispettive Sacre Immagini.
Nella cantoria è sistemato un organo acquistato a Subiaco
per la somma di lire cinquecento circa settanta od ottanta anni or sono.
Nel quinquennio 1935-1939, sedente il Parroco Sarrocco don
Salvatore, con una spesa complessiva di circa lire ventunomila, racimolate a
suon di bussola, sono stati rinnovati i cinque altari; di marmi policromi
quello Maggiore compresa l’antistante bellissima balaustra (fig.1) nonché
quelli dedicati a S.Rocco e alla Madonna della Pace.
Più modesti e con pietra comune, ma belli anch’essi, gli
altri due.
Vada una lode al suddetto parroco per il suo fervido
interessamento della sua Chiesa.
Circa quaranta anni or sono, il Vescovo di Tivoli, recatosi
ad Orvinio per effettuare il SS.mo Sacramento della Cresima, rimase colpito da
una vera bruttura esistente nell’interno della Chiesa Parrocchiale; alla base
degli otto pilastri centrali ed all’ingiro di essi erano fissati dei rozzi
sedili di legno.
Con propria munificenza dispose la demolizione dei sedili stessi, mentre la base dei
pilastri fu rivestita con grandi lastre di candido marmo di Carrara.
Nella parete
di destra ed in prossimità
dell’Altare della Vergine Addolorata
è murata un pietra di marmo su cui è scolpito:
D.O.M.
TRINO ET UNI
CATHARINA BASILICI CLARA GENERE
CLARIOR PIETATE
EXCIVITAVIT
ET
VICTURA POST MORTEM
PIETATIS STUDIO
BINAS IN QUALIB. HEBID.A MISSAS
INSTITUENS
VITAE COSULUIT IMORTALI
ANNO DUI MDCCXI
Sottostante
all’Altare Maggiore vi è un grande locale ove si accede con una comoda scala di
pietra; è illuminato da due finestre e poco oltre la scala, nella parete di
destra, vi è un altare sormontato da un quadro della Madonna della Concezione.
Detto locale si chiamava comunemente cimitero, perché
sottostanti ad esso vi erano due grandi locali ossari, ove si effettuò il
seppellimento dei cadaveri fino a quando (nel secolo scorso) fu proibito per
legge di seppellire nelle chiese entro gli abitati e a tal uopo furono
istituiti in tutti i centri piccoli e grandi gli attuali campisanti.
Attualmente sono ancora in sito le due pietre tombali, in
corrispondenza ciscuna del proprio ossario sottostante.
L’attuale Parroco Sarrocco, circa una diecina di anni or
sono, faceva vuotare entrambi gli ossari provvedendo provvedendo a far
trasportare tutte le ossa in essi contenute, al Camposanto attuale delle
Petriane.
Dopo ciò faceva aprire una porta e due finestrine ai locali
ex ossari adibendoli ad uso della Parrocchia.
La torre campanaria fa parte integrante del Sacro Edificio;
è a destra della facciata
principale ed in linea con essa. Attualmente è alta tre piani, in origine due,
ed all’ultimo sono collocate tre campane di diversa grandezza.
Quella grande, comunemente detta “campanone”, è collocata
nella cella che guarda il corso Manen- ti in direzione di Porta Romana e porta
la scritta: Pietro Benedetti–Fonditore Reatino–AD 1838.
Il ceppo è
stato rifatto nel 1916 dal falegname Mario Scanzani di Orvinio.
La campana media è sistemata nella cella che guarda verso
il Castello e l’ultima fusione di essa è stata effettuata da Ernesto e Oreste
fratelli Lurenti – Fonditori Romani –AD-MCMIII (1903).
Il ceppo di
questa è stato rifatto nel 1924. La campana più piccola squilla in direzione di
Piazza del Sole e la sua fusione rimonta all’anno
MDCXXXVIII (1638)
forse
quest’ultima sarà proveniente dalla vecchia Chiesa.

Essa riproduce fedelmente la facciata in miniatura di un
Tempio Cristiano con relativa porta centrale e timpano ad essa sopvrapposto,
pilastri, lesene, capitelli, nicchie, ecc..
Chiunque l’ammira dice che è una cosa veramente bella. Che
sia un vecchio ciborio? (fig.57).
Ricordo bene
che circa quaranta anni or sono, in un giorno di festa, mentre le campane della
Chiesa Parrocchiale suonavano a distesa, la fascia di cuoio su cui era appeso
il battaglio del campanone si lacerava ed il battaglio stesso con grande
veemenza andava a cadere sulla strada conficcandosi nel duro terreno per circa
mezzo metro di profondità; per un vero miracolo non colpì un certo Alessi
Mariano che trovavasi fermo a poche diecine di centimetri dal punto dove rimase
conficcato il battaglio.
Nell’anno 1922, a spese di tutta la popolazione di Orvinio,
fu rifatto il soffitto della Chiesa perché pericolava; la volta e le pareti
pitturate ed il mattonato composto di mattonelle esagonali di cemento
unicolori, sostituiva quelo precedente in mattoni di terracotta, già
provenienti dalle fornaci di Orvinio prossime a Vallebona.
Riporto quì
di seguito integralmente quanto scritto da un anonimo cronista del tempo all’epoca
della inaugurazione dell’attuale Chiesa Abbaziale e Parrocchiale:
“Supplemento al n.42 delle “NOTIZIE DEL GIORNO” (giornale
del tempo) del 20 ottobre 1842”
Canemorto 20 settembre
Canemorto che sul principio del secolo IX fu il teatro della rotta data dalle
armi di Carlo Magno a’ Saraceni, ora Canemorto, deponendo quell’antico di
Orvinio; che fu patria del celebre pittore Vincenzo cav. Manenti, al ch. Avv.
Concistoriale Domenico Morelli, e al Vescovo di Sutri e Nepi, Mons. Anselmo
Basilici, e a tanti altri benemeriti e delle belle arti e delle scienze, fu nei
giorni 18 e 19 corrente lietissimo per la inaugurazione della nuova Chiesa
Abbaziale e Parrocchiale sotto il titolo di S. Nicola di Bari.
Con Breve Apostolico del 7 maggio 1818 la sa.me. di Papa
Pio VII all’Ecc.mo Vescovo di Sabina pro tempore, alla cui Diocesi ha fino a
tutto il 1841 appartenuto Canemorto, concesse la facoltà di poter erogare
dell’Abbazia eretta in Commenda della Chiesa di S.Maria del Piano (vasto tempio
edificato per ordine di Carlo Magno nel 817 di qua dal rivo che divide dagli
altri il nostro Territorio lungi un miglio dall’abitato verso l’Oriente) quelle
rendite, ché esatte si fossero per 15 anni dopo la morte dell’Abate Commendatario ultimo di lei possessore
Ecc.mo Sig. Caffarelli Canonico Lateranense, alla costruzione di una nuova
Chiesa Parrocchiale unita perpetuamente a quella Abbaziale di S.Maria del
Piano, essendo l’antica Parrocchia divenuta per la seconda volta angusta a
questa popolazione, che la Dio mercè per la salubrità dell’aria va sempre
aumentando il numero dei suoi individui.
La discordia dei pareri sul luogo di costruzione avea
differita l’esecuzione di tal Breve fino al 1835, quando il fu Ecc.mo Carlo
Odescalchi di gloriosa memoria ne commise l’incarico a Monsignor Francesco De’
Marchesi Canali suo Suffraganeo, ed ora degnissimo Vescovo di Pesaro, ed allora
fu che questi divisò edificarla ampliando l’area dell’antica Chiesa eguagliata
al suolo. Talché dopo cinque anni si vide sorgere il nuovo edificio in forma
ottagonale con cinque Cappelle e bel sotterraneo.
Rimasta
però la perfezione del nuovo Tempio nel suo corredo sul più bello sospesa per
la vacanza delle Sede Vescovile per morte dell’Ecc.mo Gamberini, sopravvenne
l’impegno del vigilantissimo Mons.Carlo Gigli Vescovo di Tivoli, al cui governo
spirituale venivano destinati dalla Santità di Nostro Signore Papa Gregorio XVI
felicemente regnante con Bolla Apostolica del 25 Dicembre 1841. Ed è perciò che
per la cura di Lui, ora fra noi in occasione della sua prima visita Pastorale,
si è potuta nel giorno 18 corrente, sacro ai dolori di S.Maria SS.ma officiar
la nuova Chiesa permettendo la
solenne Benedizione fatta della medesima dal nostro Vicario perpetuo
Parrocchiale sig. Arciprete D. Gio. Antonelli Romano a tal uopo deputato, e
cantandovisi quindi dal medesimo la solenne Messa della ricorrente festività
con l’assistenza e interventoo di questo Collegio de’ Cappellani, e di altri
Sacerdoti Religiosi invitati, e con l’accompagno della bella musica ma
divotamente concertata da questa antica Filarmonica Società.
Verso la sera poi del dì seguente il nostro Mons.
Vescovo dalla sua residenza alla Chiesa di S.Maria dei Raccomandati già dei
Religiosi Conventuali, finora officiata per mancanza della Parrocchiale,
accompagnato e dal Clero, che si era mosso ad incontrarlo, e dalla civica banda
militare volle di sua mano fare il trasporto dell’Augustissimo Sacramento alla
nuova Chiesa, premettendo un analogo e commovente ragionamento con quella
facondia propria del suo zelo Apostolico, intanto che si allestivano le due
numerose confraternite e del Gonfalone ivi eretta, e del SS.mo Sagramento unite
alla Parrocchia.
Terminato il discorso e vestito il lodato Prelato de’
Sacri Paramenti fu esposto il SS.mo Sagramento, ed intonati i Sacri Inni
secondo il rituale romano, si mosse la processione che riuscì veramente divota.
Precedevano le due Confraternte in bell’ordine disposte
e decorate di magnifici attrezzi e copiose torce, seguiva il Clero divenuto in
tal circostanza più numeroso, ed infine portavasi l’augustissimo Sagramento
dall’Ill.mo Mons. Vescovo assistito dai Ministri nelle persone dei due Canonici
Convisitatori e suo seguito, sostenendo le aste del baldacchino scelti
individui delle rispettive Confraternite
ed attorniato dalle torce che si recavano dai primari di questo luogo in abito
nero vestiti, e similmente due ragguardevoli persone forastiere che vollero
prestare un sì religioso ufficio, mentre gli individui di questa brigata de’
Bersaglieri facevano ala e frenavano la calca del numeroso popolo che seguiva.
Le abitazioni sulla strada quasi tutta retta che
percorse la processione, erano decentemente ornate di copiosi lumi e fanali, ch’essendo sull’imbrunir della
sera, e quieto il vento in quell’ora,
rendevano veramente bella la prospettiva.
I canti alternati dai concerti della civica banda
militare, fra il suone delle campane di ambedue le Chiese e fra il rimbombo dei
mortari, resero la funzione commovente e religiosissima.
Giunti alla nuova Chiesa dopo aver cantato l’inno di
rendimento di grazie e le consuete preci, fu data la prima Benedizione al popolo col SS.mo Sagramento dal
lodato Prelato, che spogliato quindi de’
paramenti sacri si restituì, accompagnato dal Clero e dai privati con torce,
alla sua residenza, precedendo la civica banda militare co’ suoi concerti.
La sera poi fu elevato un magnifico globo aereostatico
sulla piazza del palazzo Morelli, presso cui risiedeva l’Illssmo e
Reverendissimo Mons. Vescovo fra le salve de’ mortari, mentre veniva illuminato da fanali un maestoso
arco di trionfo ivi erettogli dal Comune.
Speriamo che un tale avvenimento, il quale formerà epoca
ne’ nostri padri annali si pel nuovo Vescovo, come pel nuovo Tempio, possa
essere principio di felici successi, che senza dubbio ci promettiamo dallo zelo
veramente pastorale del nostro amatissimo Prelato.
Chiesa di S. Maria
dei Raccomandati

Nel convento vi risiedeva anche la Confraternita del Gonfalone
(esistente tutt’ora) aggregata alla Misericordia di Roma.
Ha una armonica e bella facciata e la solida torre
campanaria, caratteristica per la sua forma, è innestata al muro di destra
della Chiesa in linea con la facciata stessa (fig. 58 e 59).
Nella facciata del campanile che guarda Porta Romana vi è
un antico orologio il cui meccanismo, sistemato nell’interno della torre è
stato costruito nell’anno 1851 da un certo Vincenzo Colantoni.
All’ultimo
piano vi sono collocate tre campane di diversa grandezza; la più piccola porta
la seguente iscrizione:

Come si vede essa deve essere stata donata dalla
Confraternita del Gonfalone ma si ignora la data di fusione che certamente deve rimontare a qualche secolo fa.
Le altre due sono state rifuse dalla fonferia dei
Fratelli Lucenti di Roma, la mediana
l’anno 1833 e la grande l’anno 1766, quest’ultima rifusa (come leggesi
su di essa) da altra precedente del 1601.
Le due maggiori andaroni in pezzi in seguito alla caduta di
un fulmine abbattutosi sul campanile mentre la più piccola fu rispettata;
questa però alla sua estremità inferiore porta i segni ben visibili della
folgore. Quando avvenne ciò? Probabilmente nell’anno di rifusione della grande
e cioè 1766, perché certamente la media è stata di nuovo rifusa 
nel
1833.


Si deve ritenere pertanto che la piccola sia stata appesa
al campanile prima del 1766.
La Chiesa è coperta con tetto ad incavallature visibili con
travature di legno; dalla piazzetta antistante si entra nella porta principale (fig.59) mentre altri due ingressi secondari esistono, uno dal lato
sinistro, l’altro da quello destro passando da quest’ultimo attraverso la
sagrestia.
Da più punti scoperti, si rileva che le pareti sono tutte
affrescate; forse dal cav. Vincenzo Manenti e da suo padre? – Dentro la Chiesa,
ai primi del secolo scorso e precisamente durante l’infausta dominazione
Napoleonica, ci furono accantonate le aborrite e prepotenti soldataglie
francesi.
Le pareti
furono molto danneggiate, soprattutto perchè nell’interno della Casa di Dio, vi
furono accesi anche dei fuochi dai novelli Unni. Per tale fatto, dopo partiti i
gallici devastatori, le autorità del tempo, poco opportunatamente ordinarono
l’imbiancatura delle pareti, rimanendo in tal modo coperti gli affreschi.
A destra entrando vi era una bella acquasantiera a piede,
in marmo di Cottanello, gemella di quella ancora esistente in S. Maria di
Vallebona.
All’inizio delle due pareti di destra e di sinistra
esistono due lapidi di pietra (fig.60 e 61)-
Su quella di sinistra (fig.61) è scolpito:
D.O.M
Petro,
Fuschetto, S.S. Mav = et Lazae
Equiti. Ob. Meritae. In Eum Ordinem
Commenda.
Donato. Spectatae
Belgico.
Bello. Virtutis
IACOBUS
MUTUS. VALLIS
MUTIAE.
DUX. II.
Quod
Incomparabili. Fide. Consta-
Ntia. Que.
Annos. XL familiarem
Egerit.
Qua. Caroli. Patri
Classis.
Sabaudiae. Praefecto. Egre
Giam.
Operam. Navavit. Qua. Sibi.
Genevensi.
Bello. Domiq= Officio
Affectus.
Consilio. Pietate. Sadiste
Cit. Vixit.
An. LXVI. Decessit. Die XXVIII
Ianv MDCVIII
(segue lo stemma)
mentre su quella di
destra si legge quanto segue:
D.O.M.
P.Paulo I.V.C.Ecc. Nob. Iacobi Fam.
Gall.
Lugdunen. Oriundo
Romano. Ob. Singularem
Eius
in Rebus Agendis
Dexteritatem Animique
Integritatem Ac Fide. Prin
Cipibus viris Precipue. Vero
Mutiorem.
Fam. Summe. Caro
Iacobus
Mutius Caroli. F. Vall.
Mut. Dux.
II Benevol.e Ergo. P. C.
(segue lo
stemma)
Obiit.
A.D.M.D.C. VII. XIII. Kal. Sept.
Viscit.
Ann. LV


A titolo di curiosità dirò che i cosciali di legno del
primo caposcale del campanile, sono stati costruiti con travi tolti dal
soffitto della Chiesa di S. Maria del Piano.
Ritorniamo in Chiesa. Fatti pochi passi dalla porta
principale, si incontra nel bel mezzo del pavimento della unica navata la prima pietra tombale con al centro
scolpite in caratteri romani, due grandi F maiuscole (fig.62) e che chiude la sottostante tomba appartenente alla mia
famiglia, perché le due lettere suonano Famiglia Fabriani.
A pochi passi ancora si incontrano due altari uno di fronte
all’altro; quello di sinistra (fig.64)
sormontato da un grandissimo affresco rappresenta S. Francesco di Assisi che
riceve le Stimmate.
Ai lati fanno corona dei piccoli riquadri ove sono
riprodotte le Virtù Carnali e Teologali opera poderosa del Cav. Vincenzo
Manenti.
La figura con la barba bianca col capo volto un pò a
destra, vestita da Papa e indossante pividie con ai piedi la tiara (in basso a
sinistra) è l’autore del quadro cioè il Manenti.
Da tale figura è stato riprodotto il medaglione in bronzo
che sovrasta la lapide a lui dedicata posta nella facciata della sua caso ove
nacque (fig.1 e 2 a
pag. 24 C)-
Quello di destra è sormontato da grandissima e magnifica tela con classica cornice (fig.65) dedicato alla S.S. Vergine del Rosario contornato da
piccoli riquadri rappresentanti i quindici misteri; anche questa è un’opera insigne e probabilmente
anche essa sarà uscita dal pennello
del celebre Manenti.
Su questo
altare, negli ultimi anni del secolo scorso, mentre fervevano i lavori di
ricerca e di indagini per onorare degnamente il grande figlio di Orvinio,
Vincenzo Manenti, in
occasione del III
Centenario della sua nascita, da alcuni membri dell’apposito Comitato
costituito per le onoranze, furono rimossi i gradini di legno dove poggiano i
candelieri per scrutare sotto la grande tela della suddetta Vergine del
Rosario. Con grande stupore fu notato che la parete sotto la grande tela era
anch’essa ( o meglio è) affrescata allo stesso modo dell’altare di fronte di S.
Francesco e riproducente, credo, la Vergine del Rosario come la tela che lo
nasconde alla vista dei visitatori.

La sorpresa non si arresta; nascosta dietro il quadro fu
trovata una lettera che è subito sparita, portata da un umile fraticello
trasferito per punizione al Convento di Orvinio da un altro Convento
dell’Ordine che ora non rammento la località.
La lettera era stata scritta ai primi del XVII secolo dal
Rettore del Convento da dove proveniva il Religioso ed era diretta al Rettore
del Convento di Orvinio. In essa si esortava quest’ultimo Rettore a sorvegliare
e tenere d’occhio il frate trasferito, essendo un essere sospetto.
Alla domanda: chi mai avrà potuto nascondere la
lettera in quel posto? Rispondo subito: non può essere stato altri che il
fraticello trasferito, in quanto, ben sapendo il motivo del suo trasferimento,
doveva immaginare il contenuto della lettera e che dopo averla aperta e venuto
a conoscenza di quanto vi era scritto anziché consegnarla al suo nuovo Rettore
preferì nasconderla dove fu trovata.
Ai suddetti due altari, come pure all’Altare Maggiore si
notano dei magnifici palliotti di cotto che sembrano di maiolica con la
superficie lucidissima con bellissimi arabeschi e figure policrome fatte da
mano espertissima (fig.70) in tutto
identici a quello esistente nell’Altare Maggiore della Chiesa di S. Maria di
Vallebona (fig.6 a
pag.11°)-
Più innanzi, ai due lati della Chiesa ed all’altezza della
crociera, vi sono due Cappelle affrescate anch’esse.
Quella di destra, con l’altare sormontato da una tela dedicata
a S. Antonio di Padova, appartenente alla famiglia Basilici, ora scomparsa, ha
una leggiadra balaustra di marmo dove domina il cipollino, Cottanello e
Carrara.
Ai due pilastri centrali si nota che, pur essendo a posto i
cardini, il cancelletto di chiusura è sprito.
Otto
medaglioni ovali, quattro per lato affrescati alle pareti entro cornici di
stucco, rappresentano personaggi della famiglia Basilici.
Alla parete di sinstra, sopra i medaglioni, una grande tela
ovale rappresentante S. Andrea. E’ molto bella e forse è anch’essa del Manenti.


La Cappella si sinistra, dedicata a S. Lucia è di proprietà
della famiglia Cervelli, come vedesi anche dallo stemma posto sulla chiave
dell’arco (fig.67). E’ munita di una
balaustra a colonnine tornite di noce nostrale, abbastanza corrosa dai tarli;
anche questa è priva del cancelletto di chiusura.

Tanto le pareti che la volta sono state affrescate
mirabilmente dal cav. Manenti, peccato però che il tempo e l’infiltrazione di
umidità abbiano compiuta una nefasta opera di distruzione.
Nella parete di destra è rappresentato un sposalizio (forse
di qualche membro della famiglia Cervelli); è molto interessante perché
riproduce fedelmente i costumi dell’epoca,
Nella facciata di fronte, sotto lunica finestrina,
S. Rocco, dinanzi al quale prostrasi inginocchiato un Orviniense.
Al centro del pavimento, pietra di chiusura della
sottostante tomba della famiglia Cervelli.
All’altezza delle due Cappelle ed in prossimità dell’Altare
Maggiore vi sono altre pietre tombali; su quella a sinistra, in prossimità
della Cappella Cervelli si legge la seguente scritta sormontata da uno stemma
ovale crociato e sormontato da corona gentilizia:
Sepolcro
Del. Sor.
Dei Cour
D.C.
A destra dell’Altare Maggiore
ed in prossimità della Cappella Basilici la pietra tombale porta la seguente
scritta
Pro
Familia
T.B.
D.
6
Retrostante
all’Altare Maggiore (fig.70) vi è il
coro (fig.71) ove si accede da
due porte situate a destra e sinistra dell’Altare Maggiore.
Appena
oltrepassate le porte sul pavimento, in corrispondenza di ciascuna di esse vi
sono due pietre tombali di forma ovale.
Mentre su
quella di destra in prossimità del passaggio che immette al Convento vi sono
tracce di uno stemma e di iscrizione, quella di sinistra è completamente liscia
e priva di indicazioni.
L’Altare
Maggiore (fig.70) è dedicato alla
Vergine di S. Maria dei Raccomandati. Un antico affresco riproduce le Vergini
Sembianze della Madre di Dio dipinto da mano maestra e ultimamente ritoccato da
Suor Maria suora delle Figlie della Croce (la stessa che ha riaffrescate le
tele degli Stendardi di entrambe le Confraternite del Gonfalone e del S.S.
Sacramento). Tale affresco che sia anch’ésso del Manenti o di suo padre?
Sovrastante l’altare vi è un timpano spaccato e nel centro contornato da una
cornice di stucco a forma quadrata vi è un affresco riproducente l’apparizione
di un Angelo alla Madonna, opera del cav. Vincenzo Manenti.
Ai lati
dell’Altare Maggiore sono murate due pietre di marmo bianco; quella di destra,
verso la Cappella Basilici (fig.69)
suona così:

Missae aes ad altra huius eclse
P. Suncis
Pontificib. Card. Protect. Ord. Ac.
Frabus
Defunct. Ab Eiusd. Ord tantu
Sacerdotib.
Qdocunq. Celebratae
Indulto
Altaris Privilegiati P Pno
Gaudent Vigore Brevis Bened. PPXIII
D. XXXI
Jan.MDCCXXV Insup. Missae Om
nes in
obitus Vel alio Die. P Viceprotect
Ordinar.
Loci Princib. Suprem. Pronis
Loci in Teporlib. Benefactorib.
Ipsis
que frabus et mottialib. Ord. Subie-
ctis
horuq. Tui genitorib aquovis
sacerdote celebratae code P Petro
Altaris privilegio gaudente ex indul
to Benedicti P P XIV Die
IV Sept. MDCCLI +
Mentre su quella di sinistra (fig.68) si legge:
D.O.M
Altare hoc Omnipoteti
Deo in honore Bmae Vir-

Erectu
privilegio quoti-
Diano P
Peno ore libero P
Mnibus. Defunct ad quos
Cumq.
Sacertotes Vigore
Brevis Benedicti PP XIV. D
IV Oct.
MDCCLI. Insig-
Nitu atq. A
minis-
Tro gnli
ordnis
D. XXV M
octb.
1752
Designatu
Ai lati è
riprodotto in stucco, lo stemma dei Baroni Muti (fig.70) allora proprietari del Castello di Orvinio.
Nel retrostante coro (fig.71) esistono ancora bene conservati gli stalli di legno di
castagno e posti all’ingiro delle tre pareti non compresa quella verso la
Chiesa; essi sono disposti: cinque per ciascuna delle due pareti a destra e
sinistra entrando dalla Chiesa e sette nella parete di fronte, compreso quello
del Rettore che trovasi al centro sotto l’unica finestra, sormontato da un
piccolo baldacchino dello stesso legno, su cui poggia una bella statuetta
lignea di S. Francesco di Assisi.
Il coro fino a pochi anni fa conservava l’originale
soffitto a cassettoni decorati e bugnati.
Ricordo anche che circa venti anni or sono sul varco di
sinistra vi era ancora un sito, l’originale e bellissima porta lignea finemente lavorata ed ora
scomparsa.
Nel coro, in prossimità della porta di destra, si apre il
passaggio segreto che mette in comunicazione la Chiesa con l’annesso Convento.



Ave Maria
Gratia Plena
A.D. –
M.D.C. VIII – 1608
Escludendo
la campana della Chiesa di S. Maria del Piano (che ora trovasi a Rieti) questa
è la veterana delle campane di Orvinio essendo tutte le altre di fusione più
recente alla data del 1608. Ritengo che questa probabilmente doveva essere in
origine collocata sulla torre campanaria della Chiesa di S. Maria dei
Raccomandati fino a quando fu sostituita da quella che vi si trova attualmente
donata, come detto sopra, dalla Confraternita del Gonfalone perché quasi
certamente all’epoca dei frati, il piccolo campanile sovrastante il convento
non esisteva ed allora la campana dove era sistemata se non sulla torre della
Chiesa?
(Vedasi
a pagina 60 e seguenti, del presente, sotto le date 16.7.41 e 8.12.49 in merito alla campana del 1608)
Continua a pagina 38/B
Chiesa di S. Giacomo

Verso il 1890 l’Eccellentissima Casa dei Principi Borghese, allora
proprietaria, la vendette a tale Antonio Tani fu Luigi di Orvinio e sembra, con
l’obbligo di restaurarla e restituirla al culto, cosa che fino ad ora non è avvenuto e dubito se ancora sarà
officiata.
Il Tani preoccupato di aumentare i locali, scavava
prima sotto il piano della Chiesa, ricavandone una cantina, poi scoperchiato il
tetto ed abbattuto il caratteristico campanile, alzava i muri perimetrali in
modo da ricavarne un salone anche sopra
la Casa di Dio.

Alla sua sommità si nota un grande timpano quale cappello
ed a coronamento della facciata stessa entro il quale è stato posto un grande
stemma della famiglia dei Muti.
Sottostante al timpano e nel centro della facciata vi è un
grande rettangolo sagomato in pietra locale su cui spiccano a grandi caratteri
romani le parole “ Sancto Jacobo”.
Sotto, su una fascia della stessa pietra che gira
attraverso tutta la fronte sagomata della facciata, pure in bei caratteri
romani, corre la seguente scritta “Jacobus – Mutus. Vallis . Mutie.
Dux . I.I.F. MDCXIIII (1614).
Soprastante al bellissimo portale in pietra, sormontato da
spazioso timpano, vi è una finta finestra con stipite in pietra entro la quale
è murata una lastra di marmo bianco della grandezza del vano stesso su cui si
legge:
Questo Tempio edificato nel 1608
Dalla munificenza del Duca Muti
In onore dell’Apostolo S. Giacomo Maggiore
Il 15 Agosto 1892
Per incuria degli amministratori del tempo
Rovinò dalle fondamenta
Antonio Tani attuale libero proprietario
A tutte proprie spese
Lo restituì al suo antico splendore
sic!!!!
27 Agosto 1916

E’ stato rispettato solo l’Altare Maggiore con la
bellissima e maestosa statua lignea di S. Giacomo grande circa due volte il naturale, ma per
l’abbandono e l’incuria in cui è stata lasciata, è ridotta in uno stato pietoso
e fra non molto, quando la polvere e le tarle avranno completata la loro opera
di distruzione, non resterà altro che un mucchio di polvere.
Nelle pareti in alto dove incomincia il sesto dell’arcone
dell’Altare Maggiore, vi sono due bellissimi affreschi opera dell’insigne
pittore Orviniense cav. Vincenzo Manenti, ancora discretamente conservati,
raffiguranti: a destra (fig.74) S.
Giacomo che predica al popolo il verbo Cristiano.

Al centro del soffitto: Il Padre Eterno benedicente
bellissimo lavoro in stucco contornato da analoga cornice ovale.
Anche i due suddetti affreschi sono circondati da
bellissime cornici di stucco.
Bellissimi
lavori in stucco sono profusi con larghezza in tutto l’Altare Maggiore.
A sinistra di questo si nota un bello stipite in marmo di Cottanello; la porta
è stata murata ed immetteva alla sagrestia, fatta scomparire dal Tani. La
Sagrestia era in corrispondenza del campanile anch’esso demolito; una
costruzione che vorrebbe essere un belvedere è sorta e svetta sul tetto a tergo
della Chiesa.
La unica campana ancora esistente e che trovasi
nell’interno della Chiesa è del pesi di circa cinquanta Kg. ed è ancora
coronata del proprio ceppo.
Esternamente da una parte porta riprodotta l’effigie di S.
Giacomo, mentre dall’altra le clave dello stemma dei Baroni Muti. All’ingiro di
essa sta scritto:
Jacobus Mutus Dux II+ihs Maria in Honorem B.Jacobi Vallis Mutie Fecit – Anno Jubilei MDCXXV - (1625).
Jacobus Mutus Dux II+ihs Maria in Honorem B.Jacobi Vallis Mutie Fecit – Anno Jubilei MDCXXV - (1625).

La pittura dell’altare di fronte che vorrebbe rappresentare
S. Giuseppe addormentato sul banco da falegname per non offendere la vista dei
visitatori meriterebbe solo che si passasse su tale bruttura una mano di calce.
Qualche anno fa è crollato il soffitto e il tetto, ma
l’anno scorso è stata riscoperta; allo stato attuale è in completo abbandono, preda della polvere ed è
fatiscente.
Un piccolo gioiello che non meritava la sorte che gli è
stata riservata.
Il colpevole di tanto scempio, dovrebbe essere segnato al
libro nero con lettere maiuscole.
Il Castello
di Orvinio
La storia del Castello di Orvinio, corredata di parecchie
belle fotografie, ha veduta la luce quattro o cinque anni or sono a cura
dell’attuale proprietario S.E. il Senatore Filippo Cremonesi ex Governatore di
Roma, in bella veste tipografica e con una tiratura di soli cinquecento
esemplari donati ad Autorità ed amici.
Un’altra descrizione del Castello, anch’essa corredata da
alcune fotografie, è stata
pubblicata nel n.3 del Marzo 1936-XIV E.F. della rivista mensile illustrata
“Latina Gens”.
Pur essendo superflua qualsiasi altra descrizione del
Castello stesso, mi sia permesso anche a me di portare il mio modesto
contributo alla storia di esso, aggiungendo qualche altra notizia.
Da fanciullo ho visitato più volte le così dette soffitte
del fabbricato a sinistra entrando dal portone principale (fig. da 7 a 8 e fig.14 a pag.4°).
Ricordo di
avere vedute le pareti affrescate da grandi quadri raffiguranti (si diceva) le
varie gesta della dominazione dei Baroni Muti e questi riprodotti: sul trono,
portati in trionfo con la portantina per le vittorie riportate nelle guerre
contro abitati limitrofi ad Orvinio, quando muovevano in guerra contro i paesi
vicinori e nemici, ecc.ecc..
Ricordo bene che erano più quadri, ma non rammento con
precisione se le pitture coprissero le pareti di una o più sale.
Nel Castello esistono, ed anche bene conservate, le
autentiche due portantine adoperate dai Baroni Muti.
In seguito ad alcuni recenti scavi, fatti effettuare dal
proprietario, non ricordo bene se dal Barone Berlingieri o da Remo Parodi
Salvo, sono venute alla luce alcune lancie ed alabarde appartenenti certamente agli armigeri dei
proprietari dell’epoca feudale; anch’esse come le portantine, sono attualmente
conservate nel Castello stesso.
Nel Castello esistevano trabocchetti che funzionavano ed
erano in esercizio all’epoca feudale e dell’oscurantismo del tempo dei tratti
di corda e delle sonore nervate .
Le pareti ed il pavimento dei locali sottostanti
corrispondenti ai trabocchetti stessi, erano munite di spade taglienti e punte
e pali di ferro acuminati affinché i miserandi predestinati dalla sinistra
sorte, allorché sprofondavano nelle botole, avessero quale premio di rimanere
infilzati.
Nel 1913 proprietario del Castello era il Comm.re
Filippo Todini che ricavava una grande cantina utilizzando i sinistri locali
sottostanti ai trabocchetti. Vi si accede dall’esterno attraverso la grande
porta aperta nel muro perimetrale in via della Passeggiata (ora Quattro
Novembre) distinta col n.6 (fig.17
a pag.4B). Durante i lavori, nel fondo di tali lucubri locali, furono trovati
moltissimi scheletri umani, con i quali furono riempiti diecine e diecine di
carri e trasportati al Camposanto delle Petriane. In un angolo di quei locali
di tanti martirii, si rinvenne un grosso tavolone di quercia ancora bene
conservato delle dimensioni di centimetri 250x50x15 sotto il quale fu trovato
un grosso scheletro che trovavasi in quel posto da parecchi secoli; per
curiosità fu misurata la lunghezza di una scapola trovata ben conservata e che
risultò lunga la bellezza di centimetri trentacinque, mentre un osso femorale
risultò lungo centimetri cinquantacinque. Senza dubbio alcuno, deve avere
appartenuto ad un autentico gigante.


Il Castello prima dei restauri
eseguiti da Remo Parodi Salvo, durante la grande guerra 1915-1918 (visto da S.
Giacomo fig.77 = visto dalle Coste fig.78)


Il Castello di Orvinio dopo i
restauri di Remo Parodi Salvo (1915-1918)

Il Castello di Orvinio - Panorama


Ingresso
Antica torretta e grande Torrione
circondato dai cedri del Libano


Atrio
Piazzale
d’ingresso


Pozzetto del Silenzio Scala
principale


Studio
Salone
da ricevimento a due stili


Salone da ricevimento a due stili

Salone da ballo 

Parco:
Fontana
Vecchio
Comune
Nei secoli scorsi, mentre la Giurisdicenza era ubicata in
via degli Orti n.2, gli Uffici del Municipio di Orvinio erano collocati al
primo e secondo piano della casa sita
in via della Passeggiata (ora Quattro Novembre) distinta col civico n.29
(fig.20 a pag.4B).
Il portone non è più quello originale ma quello
attuale è rifatto a casaccio con materiali nobili tolti dal vecchio stipite e
che ciò si nota a prima vista. Gli stipiti delle finestre invece sono
dell’epoca e bene conservati (tutti in pietra scalpellata) delle quali una alla facciata dove da via Quattro
Novembre ha inizio via di Porta Vecchia e due sempre in questa Via ma nella facciata opposta a quella del
portone d’ingresso;
Tanto il vecchio Comune quanto la vecchia Giurisdicenza
erano compresi dentro la vecchia cinta di difesa del primo nucleo di Orvinio.
Vecchia
Pretura
Durante le
Campagne di Guerra per l’Indipendenza e l’Unificazione del Regno d’Italia,
Orvinio fu conquistato dalle truppe del Padre della Patria Vittorio Emanuele II
nell’anno 1860 e costituito Mandamento nel Circondario di Rieti in provincia di
Perugia.
Orvinio, prima di tale data e per più secoli è stata sede
di Governo con la sua Curia o Giusdicenza (oggi R.a Pretura) tanto che vi si
emettevano persino sentenze di morte.
Il copioso quantitativo dei documenti riguardanti l’antico
e interessantissimo archivio della Giurisdicenza o Pretura di Orvinio, circa
dieci anni or sono per ordine del Ministero di Grazie e Giustizia fu
trasportato a Roma nei locali del Museo Criminale, istituito dal compianto S.E.
il Ministro Alfredo Rocco, e posto credo in uno stabile del Demanio dello Stato in Via
Giulia (2).
Nella Biblioteca Vittorio Emanuele in Roma, esiste un
opuscolo di parecchie diecine di pagine, concernente uno studio sullo storico
ed interessantissimo archivio della Pretura di Orvinio, compilato circa trenta
anni or sono dall’allora Pretore di Orvinio (1).
Nei secoli scorsi e probabilmente anche prima della
costruzione della nuova Orvinio (Corso Manenti, Via Segni, Via del Giardino, il
Borgo ecc.) la Giusdicenza era installata nei locali della casa sita al civico
n.2 di via degli Orti (fig.98).
Nella facciata si nota, oltre al portale con arco a pieno
sesto anche una bella finestra (oggi murata) a sinistra di esso, ed a frammenti
di pietra nobile al portale del piano superiore; subito si nota la nobiltà
dell’edificio specie rispetto a quelli circostanti.
L’epoca in cui tanto
(1) L’autore è stato
l’ex Pretore di Orvinio Andreoli avv. Giorgio e tale pubblicazione, da me
letta, porta il seguente titolo: “ Le sentenze Capitali nella Curia di
Canemorto, oggi Regia Pretura di Orvinio” edita nel 1893 dalla Tipografia
Gasperini di Pergola (Pesaro) (formato 12 –17X12 di pag.38). Alla Biblioteca
Vittorio Emanuele di Roma è stata catalogata sotto il n.351. G.22.6.-
(2) L’archivio della
Curia o Giusdicenza del Governo di Canemorto si conserva in Roma presso
l’Archivio di Stato, collocato al primo piano del palazzo della Sapienza al
Corso del Rinascimento.
Gli Uffici del Comune, quanto quelli della Giusdicenza,
abbandonarono i vecchi locali per trasferirsi al Corso Manenti, si perde nella
notte dei tempi; ritengo però che tale data non va oltre il secolo scorso.
(A pagina 4C vedere altre notizie)

Orvinio - Vecchia Giusdicenza
CASA DEL
MANENTI

Nella
facciata della casa (fig.99-100) è
stata apposta una bellissima lapide in marmo bianco, per eternare la memoria
dell’Illustre Scomparso, opera pregevole del Prof. Ettore Ferrari.

ALL’INSIGNE
PITTORE
VINCENZO MANENTI
GLORIA SABINA
QUI’
OVE NACQUE IIICENTENARIO MCM
– (1900)
Nell’anno
1900 mentre l’apposito Comitato si accingeva a festeggiare il III Centenario
della nascita del cav. Vincenzo Manenti, l’anarchico Bresci il 29 luglio 1900
spegneva a Monza, con tre colpi di rivoltella, fra il rimpianto di tutti gli
Italiani, il Re d’Italia Umberto I di Savoia, soprannominato “ Il Re Buono”.
Per tale luttuosa circostanza i festeggiamenti in onore del
grande Maestro del pennello,
venivano rimandati e si effettuarono con grande sfarzo nel settembre 1904
abbinandoli con quelli in onore di
S.Nicola di Bari Patrono di Orvinio (fig.101).
Vedasi
acclusa una copia autentica del manifesto per i festeggiamenti da me
gelosamente conservata.
Notisi nel manifesto la marca da bollo apposta a sinistra
della parola “Orvinio” in testa al manifesto stesso ed annullata col bollo a
calendario dell’Ufficio del Registro di Orvinio sotto la data del giorno 11
settembre 1904.
Il manifesto è del seguente tenore:
ORVINIO
FESTE
In onore del Patrono
S.NICOLA
e
per il III Centenario dalla nascita
dell’insigne pittore Orviniense
VINCENZO MANENTI
PROGRAMMA
17 settembre 1904
ore 12 - Sparo dei mortari
“
18 - Primi Vespri solenni
18 settembre 1904
All’alba – sparo dei mortari
Ore 10 - Solenne messa in musica nella Chiesa Parrocchiale
Ore 11 – Processione del Santo
Patrono
Ore 15 – Scoprimento della lapide
commemorativa a Manenti, opera dell’illustre Prof.Ettore Ferrari
Ore 18 – Secondi Vespri
Ore 20 – Grandioso fuoco
artificiale del pirotecnico Paolo Rosi di Rieti, e innalzamento di globi
aereostatici -
Illuminazione fantastica.
19 settembre 1904
GRANDE FIERA DI MERCI E BESTIAME
Ore 16 – Estrazione di una
TOMBOLA di £. 350
a beneficio della locale Società operaia di Mutuo Soccorso divisa come
appresso:
Cinquina in qualunque fila £.50 - 1° Tombola £.200 - 2° Tombola £.100.
Cinquina in qualunque fila £.50 - 1° Tombola £.200 - 2° Tombola £.100.
Prezzo di ogni cartella centesimi 55 compresa la tassa di bollo.
Ore 19 – Illuminazione Veneziana
ed a Bengala con innalzamento di globi aereostatici.
Le feste saranno rallegrate con
servizio speciale dal rinomato concerto di Pescina, diretto dal distinto
Maestro sig. Antonio Mercaldo.
Orvinio 1 settembre 1904
I COMITATI
Avvertenze
a) In caso di pioggia l’estrazione della Tombola sarà rinviata
ad altro giorno da destinarsi con
apposito
manifesto.
b) Per norma dei signori Commercianti e forestieri si rende
noto che è stata aperta al
transito
strada
interprovinciale Orvinio – Percile
– Mandela Staz.ne
Foligno – Reale Stabil.to F. Campitelli
In tale
ricorrenza il Dott. Armando Lucchetti allora Capo Ufficio dell’Agenzia delle
Imposte Dirette e Catasto di Orvinio, compilò a bella posta il seguente Inno che poi fu musicato
dal Prof. Luigi Alessi di Orvinio (questi decesso da pochi anni e trovasi
sepolto al camposanto delle Petriane) e fu cantato a gran voce dagli alunni
delle scuole di Orvinio per parecchie volte durante i festeggiamenti,
accompagnati sempre dalla banda musicale di Pescina (Abruzzi) venuta
espressamente per la lieta coircostanza e da quella di Orvinio.
Trascrivo le parole dell’Inno dedicato a questo grande
figlio di Orvinio vanto e gloria della nobile vecchia e gloriosa Sabina:
INNO AL CAV. VINCENZO MANENTI
Salve, salve possente Maestro
O splendor della forte Sabina
Nostra gloria tu sei cittadina
Perché Orvinio i natali ti diè
La tua fama d’insigne pittore
Da tre secoli a noi tramandata
Su quel marmo volemmo eternata
Onde ai posteri passi tuttor
Viva, viva il grande pittore
Che la patria sua onorò
Che d’Italia lo splendore
Nuova stella conquistò.
Come i prodi che fero olocausto
Di lor vita sui campi di gloria
Così pure immortali la storia
Chi con l’opre la patria onorò
Salve insigne, il tuo genio
d’artista
A niun altro ti rese secondo
E benché tu partisti dal mondo
La tua fama immortale restò.
Viva ognora gridiamo in coro
Il Manenti gran pittor
Che col senno e col lavoro
Alla patria fece onor.
Ho visto con i miei occhi nei locali sotterranei della Casa Fabriani dove nacque il
Manenti, due stemmi in pietra di antica e bellissima fattura; uno appartenente
alla famiglia Fabriani, scolpito in un solo blocco di marmo bianco di Carrara,
l’altro appartenente alla famiglia Manenti, scolpito in un monoblocco di
travertino di Tivoli.
Tempo fa ne ho fatto ricerca perché avevo in animo di farli
fissare nella facciata della Casa,
dove certamente in origine dovevano essere collocati, al di sopra oppure ai lati della lapide del
Manenti(fig.99).
Un mio
parente che attualmente è proprietario del secondo piano della casa, nomato
Fabriani Tersilio, da me interpellato in proposito, mi ha risposto che il dr.
Lucchetti, autore dell’Inno al Manenti, siccome faceva parte anche lui del
Comitato per le onoranze all’insigne pittore, in tale epoca si faceva
consegnare dal suddetto Tersilio i due stemmi suddescritti col pretesto che il
Comitato li avrebbe mandati a Roma per ripulirli per bene e poi sarebbero stati
collocati nella facciata della Casa, quale degno coronamento della lapide.
Gli stemmi non sono più tornati e per quante ricerche ho
fatte s’ignora dove siano andati a finire.
Non è da escludersi che il dr. Lucchetti, conoscendo
oppure semplicemente intuendo il
pregio storico artistico degli stemmi in questione, approfittando dell’altrui
buona fede, ne abbia fatta una fonte di guadagno a tutto vantaggio personale.
L’anno scorso la facciata sottostante alla fascia
di pietra dove poggia la lapide, poiché minacciava di crollare, è stata
abbattuta e rifatta, però l’ubicazione delle porte non è quella originale; dal
primo piano in su non è stato toccato nulla e la facciata è rimasta integra nella
parte superiore.
Nel refettorio del Monastero di Subiaco esiste una grande
pittura di parecchi metri quadrati di superficie, opera dell’insigne pittore
cav. Vincenzo Manenti orviniense; si ritiene che tale pittura sia il capolavoro
dell’insigne maestro.
N.B. Vincenzo Manenti, figlio di Ascanio (abruzzese
e pittore anche lui, morto pochi anni prima dl figlio) nacque in Orvinio nel
1600 e morì in Orvinio stesso, l’anno 1674.
Tanto il Vincenzo che il padre Ascanio sono stati
seppelliti entrambi nella tomba della famiglia Fabriani esistente nella Chiesa
di S.Maria dei Raccomandati .
Per la
storia, Vincenzo ebbe molti figli, uno dei quali fu iniziato alla pittura anche
egli ma poi nulla più si è saputo di lui; forse abbandonò la pittura,
preferendo qualche altra professione, mentre un altro figlio fu ucciso da un
certo Ragazzoni di Orvinio.
Vecchie
Carceri
In via del
Giardino (ora Umberto I) annesso al Castello e precisamente al civico n.16
esisteva il lugubre fabbricato delle vecchie prigioni dell’epoca degli Orsini e
dei Muti, dove venivano rinchiusi e predestinati alla tortura oppure ad essere
soppressi con procedura sommaria e senza tanti complimenti.
Il sinistro edificio dopo il 1860 era adibito a Carcere
Mandamentale ed ha funzionato come tale fino agli anni della guerra mondiale
(1915-1918).

Attualmente è rimasto solo il bel portale a pieno sesto con
pietre bugnate (fig.104) con antistanti
quattro gradini in pietra per l’accesso all’edificio.
Sovrastante
al portone, l’attuale proprietario S.E. Filippo Cremonesi, Senatore del Regno,
Ministro di Stato e Presidente della Croce Rossa Italiana, ha fatto apporre una
pietra su cui spiccano a sinistra tre fasci littori e la seguente scritta:
RURI TIBI VIVAS
ALII CUM VIXERIS URBE
A.D. MCMXXXIV
- (1934)
Prima che l’edificio fosse abbattuto ricordo bene di avere
visto che sulla facciata, all’altezza del secondo piano ed immediatamente sotto
il tetto vi era un grande affresco riproducente una sacra Immagine; subito
sotto sporgeva dal muro per circa
un paio di metri, un travicello di legno quadrato dello spessore da quindici a
venti centimetri di lato.
In basso, perpendicolare al travicello ed immediatamente a
destra dei gradini esterni guardando il portone ed a circa ottanta centimetri
da terra, era fissata al muro una campanella o anellone di ferro dello spessore
di circa venticinque millimetri e del diametro da quindici a venti centimetri
circa.
Dopo l’abbattimento dell’edificio nella sua parte
superiore, pur essendo scomparsi
sia l’affresco che il travicello, la campanella era stata risparmiata e
continuava a stare al suo posto:
Recatomi colà giorni or sono, con mio grande stupore ho notato che anche quest’ultima era stata divelta ed il muro rabberciato di recente; certamente deve averla fatta togliere l’attuale proprietario Senatore Cremonesi, ignaro forse della importanza storica di essa ed in tal modo ha voluto contribuire anche lui alle barbare manomissioni contro lo storico edificio.
Recatomi colà giorni or sono, con mio grande stupore ho notato che anche quest’ultima era stata divelta ed il muro rabberciato di recente; certamente deve averla fatta togliere l’attuale proprietario Senatore Cremonesi, ignaro forse della importanza storica di essa ed in tal modo ha voluto contribuire anche lui alle barbare manomissioni contro lo storico edificio.
Preciso che la capriola della campanella era fissata dentro
il muro tra due blocchi di pietra durissima, comunemente chiamata pietra
scagliola, e l’anello a forza di battere contro di essi, aveva consumata
la pietra imprimendovi le sue orme
tanto nel blocco inferiore che in quello superiore, specie al primo con
scanalatura profonda di due o tre centimetri; lascio giudicare al lettore da
quanti secoli eravi stata apposta .
Orbene il travicello e la campanella facevano parte,
insieme ad una corda ed una carrucola che venivano applicate al momento del
supplizio, di un terribile strumento di tortura tremendamente atroce, dove si
davano dei cosiddetti “tratti di corda”.
Il suo funzionamento si effettuava nel seguente
modo: - Il candidato veniva solidamente legato ad una estremità della corda con
le braccia a tergo, mentre l’altra estremità della corda stessa veniva passata
attraverso la carrucola che era stata già fissata all’estremità del travicello
e quindi veniva assicurata per bene alla campanella.
Il predestinato, dopo legata la corda alla campanella,
veniva a risultare sospeso alla corda e sollevato da terra circa un metro; il
carnefice allora ad un segnale stabilito, tirava la corda dalla parte
dell’anello ed il condannato
veniva sollevato fino ad una altezza stabilita adeguata alla punizione, quindi
lasciatala d’un colpo, il corpo dell’infelice precipitava con veemenza nel
vuoto.
Poiché per il modo con cui era stato legato, il corpo del
torturato non poteva toccare terra con i piedi, nello strappo violento che si
verificava, il meglio che gli poteva capitare, da simili carezze, era la
slogatura delle braccia.
Giustizia dei tempi oscuri!!…
Si racconta, pure, che in tale epoca, allorché due giovani
fidanzati si univano in matrimonio, la sposa subito dopo celebrato l’atto
nuziale, doveva essere immediatamente presentata al Signore proprietario del Castello, dominatore unico ed
assoluto di Orvinio.
Se era brutta e a questi non piaceva, veniva rimandata
dallo sposo che ansiosamente certamente l’attendeva; nel caso opposto invece,
la sposa veniva trattenuta al Castello ed obbligata a trascorrere la prima notte di matrimonio, anziché
con lo sposo che mordeva di rabbia, col proprietario del Castello, signore e
padrone di Orvinio.
Chi poteva ribellarsi a tali prepotenze?
Erano guai molto seri per entrambi gli sposi che
malauguratamente avessero consumato il matrimonio precedentemente; li
attendevano i cupaci trabocchetti del Castello.
Che bei tempi che dovevano essere quelli!!
Per noi Fascisti del tempo di Mussolini sono
incomprensibili.
Via della
Passeggiata
La via della
Passeggiata si diparte da Piazza Girolamo Frezza dove è il bel monumento ai
caduti in guerra, opera dello scultore Tamagnini di Perugina, sormontato dalla
statua bronzea raffigurante “La Gloria”
e costeggiando il muro di cinta della Villa o Parco del Castello, arriva
fino al torrione con sottostante torre di difesa .
In quel punto
si allaccia con il tratto di via della Passeggiata, ora Quattro Novembre,
percorrente entro l’abitato per poi, attraverso il Corso Manenti, Porta Romana
e Piazza Garibaldi, formare l’anello della via di Circonvallazione.
Essa da Piazza
Girolamo Frezza fino al Torrione, è stata costruita circa sessanta anni or sono
a proprie spese e donata alla Cittadinanza di Orvinio, dall’Ecc.mo Principe Don
Paolo Borghese che in tale lasso di tempo era proprietario sia del Castello che
del terreno sottostante alla via della Passeggiata (e precisamente del nuovo
tronco costruito) denominato “La Torre o Torra”.
Fornaci di Vallebona
e
Chiesa di S. Giovanni
Seguendo la
strada mulattiera che da Orvinio conduce a Scandriglia, oltrepassato di poco il
Monte di Vallebona e prima di giungere in località “Pratarella”, a sinistra
della strada stessa e prossima ad essa, esiste una località nomata “Fornaci”.
Ivi fino verso la metà del secolo scorso vi
erano dei forni, comunemente dette fornaci, dove si fabbricavano e cuocevano
degli ottimi mattoni ed embrici in terracotta, ad uso di Orvinio e dei paesi
limitrofi.
I pavimenti
delle chiese di S.Nicola di Bari (da pochi anni sostituito con mattonelle
unicolori di cemento a forma esagonale), di S.Maria dei Raccomandati e relativo
convento annesso ora adibito a scuola, asilo infantile e abitazione per le
Suore, di S.Giacomo, di S.Maria di Vallebona e di S.Giovanni, sono stati
costruiti con i mattoni forniti dalle fornaci suddette.
Allo stato
attuale si nota un grande piazzale, i ruderi dei forni, avanzi di pilastri che
sorreggevano i capannoni ed anche la cava della materia prima, l’argilla.
La chiesetta
di S.Giovanni sorge in prossimità delle fornaci suddette, e più
precisamente in località
S.Giovanni.
E’ una piccola
chiesetta a forma rettangolare della superficie interna di circa cinquanta metri quadrati, avente un solo
altare posto al centro della parete di fronte alla porta d’ingresso.
L’altare era
sormontato da un quadro ad olio con cornice di circa un metro quadrato
riproducente S.Giovanni ed era conservato nella Sagrestia della Chiesa di
Vallebona.
Sembra che sia
stata officiata fino verso il 1875
ed in essa vi si recavano processionalmente gli Orviniensi per poi raggiungere
la Chiesa di Vallebona.
Attualmente restano
solo i muri, la porta è stata divelta ed il tetto scoperchiato; fra qualche
tempo cadranno anche i muri e con la campagna circostante si confonderà anche
il punto dove fu fabbricato con tanto amore il sacro edificio.
Altre fornaci
similari alle suddette, dovevano certamente senza dubbio alcuno esistere in
Orvinio nei paraggi della Chiesa di S.Giacomo in prossimità dell’attuale Largo
Benito Mussolini, perché nei suoi pressi e precisamente il fondo “Canapine” non
era altro che una cava di argilla, facilmente riconoscibile per la sua forma
concava e dalla terra argillosa ivi esistente, ottima per farne embrici e
mattoni nonché tegole romane.
Che siano
state proprio queste le fornaci che fornivano il materiale di terracotta
occorrente all’antica Orvinium? Ritengo di si.
Su e giù per Orvinio
Antichità e Varie

Nella stessa
via e precisamente al n.41, in un locale di proprietà di Alfonso Scanzani, al
posto della soglia è stata collocata una grossa pietra di travertino
proveniente dai ruderi del Castello dell’antica città Sabina di Vesbula situata
in vetta al monte denominato Morretta o Pietra Demone in territorio di
Scandriglia.
Essa fu
trasportata e messa dove attualmente è collocata, da Benedetto Taschetti di
Orvinio, l’anno 1761; su di essa si legge..OVA CACUNO F.C. (fig.6) il Biondi
interpretò per IOVI CACUNO FACIUND CURAVIT, ritenendo ivi la possibile
esistenza di un tempio a Giove sul “Cacumen”, vale a dire sulla cima della
montagna.
Al n.39 di via
Vincenzo Segni esiste un bellissimo portale a pieno centro; lo stipite è
formato da pietre che in origine facevano parte di un fregio di trablazione
dorica, con metope e triglifi provenienti da qualche importante edificio
dell’antica Orvinium.
Al corso
Manenti nella casa distinta col n.71 di proprietà di Alessi Mariano esisteva
fino a pochi anni or sono, un bellissimo ed antico portale in travertino a
forma gotica con sesto acuto.
In seguito ad
alcuni restauri, il porttale con l’aggiunta di nuove pietre fu trasformato a
forma rettangolare.
Le basi, i
verticali e la chiave dell’arco del vecchio portale sono state utilizzate a
formare la nuova porta, mentre le altre, dai novelli vandali, sono state spezzate
per essere utilizzate come pietre comuni nel rifacimento del muro stesso.
Anche questo
signore merita di essere incluso nell’elenco dei barbari del bello e dell’arte.
Al portone n.7
di via Vincenzo Segni, appena entrati, guardando sul bel soffitto di legno, si
nota la seguente scritta intagliata su di una traversa di legno :
IVL-IAC-1651-RES.

Con tale
lavoro venivano divelti gli antichi cardini di ferro che avevano sostenuto fino
verso la metà del secolo scorso la grande porta di legno ora scomparsa.
Ricordo di
avere veduto che i cardini in sito erano cinque, tre a volta interna dell’arco
e due a sinistra entrando alla porta; mancava solo quello in basso che forse
sarà stato tolto quando fu abbattuta la grandissima porta di legno.

L’acqua della
Fonte Vecchia che sbocca in prossimità dei lavatoi dietro la grande fontana in
via Roma, in prossimità di Piazza Garibaldi (fig.108-109) nasce nei paraggi dell’Immaginetta (fig.117) sul colle della Guardia, ma si ignora il punto
preciso della sorgente.
Circa ottanta
anni fa, essendosi verificata una dispersione di acqua per guasti prodottisi
nella tubatura in terra cotta, fu deciso di fare delle ricerche ed i lavori furono
affidati ad un certo Alessi Luigi, soprannominato “Scarpetta”, muratore di
Orvinio.
Questi faceva
aprire dei cavi alla sommità della via Nuova (ora Cesare Battisti) e
riallacciava l’acqua, facendola defluire in un tombino centrale costruito sotto
il suolo stradale ed in corrispondenza del civico n.21.
Ad indicare il
punto preciso esiste nel muro di cinta del giardino del cav. Uff. Armando
Alessi un sasso scoperto risparmiato dall’intonaco; ebbene all’altezza di
questo sasso trovasi il tombino di raccolta delle acque.
Nei locali del
Municipio di Orvinio si trovano circa un migliaio di mortaretti di acciaio, ivi
compresi i cosidetti mortaroni, alcuni dei quali tre o quattro volte più grandi
dei normali ed uno di dimensioni ancora più grandi, della capacità di circa tre
litri che viene esploso per ultimo a conclusione della sparatoria che si
effettua nelle grandi feste e quindi il suo colpo è infinitesimamente più forte
dei fratelli minori.
Essi sono di
acciaio fuso di un solo pezzo a forma cilindrica con la base un po più ampia in
modo da stre bene in piedi.
Nella parte
superiore sono a bocca aperta mentre quella inferiore è a fondo chiuso; un foro
di circa 5 millimetri di diametro è praticato nella parte inferiore a circa un
centimetro dalla base ed all’altezza dl piano del fondo interno attraversando
la parete in senso orizzontale, comunica con l’esterno.
Le loro
dimensioni sono circa le seguenti: altezza centimetri dieci, larghezza interna
centimetri tre, esterna quattro; alla base centimetri cinque.
Si caricano
per circa la metà inferiore con polvere pirica e per il resto calcina compressa
a
suono di solenni martellate; fra la
polvere e la calcina si introduce un pezzo di carta qualsiasi. Si collocano su
una strada o zona periferica (ad Orvinio di solito vengono sparati o in via
della Passeggiata da Piazza Girolamo Frezza al Torrione oppure in cima al Colle
della Guardia) con il foro rivolto ad una sola parte già prescelta e si pongono
ad una distanza che varia da centimetri 50 ad un metro.
Per ciascun mortaretto si mette un po di polvere pirica a
terra in corrispondenza del foro e questo è già stato riempito di polvere
stessa, avendo cura che la comunicazione delle polvere esterna con quella
interna, attraverso il foro, sia perfetta.
Al momento
dello sparo il fuochista munito di una canna lunga circa un metro e venti
centimetri, munita di miccia accesa alla estremità inferiore, dà fuoco alla
polvere esterna causando lo sparo dei singoli mortaretti alla distanza di
qualche secondo uno dall’altro senza interruzione.
Le cosidette
batterie (volgarmente battagliere) sono costituite da un numero a piacere di
mortaretti (normalmente da venti a cinquanta o giù di lì) vengono collocati in
circolo irregolare con il foro rivolto nella parte interna ed alla distanza di
circa trenta centimetri uno dall’altro.
Tutti i
mortaretti del circolo vengono uniti con una linea continua di polvere pirica
ed il fuochista, accostando la miccia in un punto qualsiasi della linea della
polvere del circolo, si pone in disparte;
appiccato il
fuoco, i mortaretti della cosidetta batteria, esplodono con grande fragore
quasi simultaneamente.
Per ogni
sparatoria si formano più batterie ad una certa distanza una dall’altra, in modo che dopo
sparata la prima, prima di giungere alla seconda vi sono fra di esse gli spari
dei mortaretti singoli.
A conclusione
della sparatoria si pone sempre una batteria più numerosa forse di un centinaio
di pezzi ed allora risultando il circolo più grande si pongono anche mortaretti
nell’interno di esso a croce o in linee orizzontali ma tutti collegati con la
polvere pirica; nel punto opposto a quello in cui verrà appiccato il fuoco si
fa una diramazione con polvere lunga circa un metro dal circolo ed in contatto
con esso ed alla estremità esterna si colloca il più grande mortarone che
esplode per ultimo.
Lo sparo di
questi coincide presso a poco quando durante le processioni religiose il Santo
portato in processione risulta nel giro di ritorno in prossimità di Porta
Romana.
I mortaretti
sono stati acquistati nel modo seguente e tutti prima dell’anno 1860, anno in
cui Orvinio cessò di appartenere allo Stato Pontificio e venne incorporato
nello Stato del Regno d’Italia.
Nello Stato
Pontificio tutti i negozi erano privative, e quindi vi era un solo caffé, una
sola bettola, una macelleria, una pizzicheria, un forno, ecc..
Era
consuetudine che ogni anno ciascun appaltatore di singola privativa doveva
acquistare a proprie spese un nuovo mortaretto e regalarlo al Municipio onde
aumentarne il numero e sostituire quelli che eventualmente scoppiavano, si
perdevano durante gli spari o venivano sottratti.
Questo è un dettaglio preciso che mi è stato riferito da molte persone da me interpellate e che hanno vissuto l’epoca prima del 1860.
Questo è un dettaglio preciso che mi è stato riferito da molte persone da me interpellate e che hanno vissuto l’epoca prima del 1860.
I colombi,
comunemente chiamate “palombelle” sono stati introdotti per la prima volta ad
Orvinio verso l’anno 1885, ad opera dell’Ecc.ma Casa dei Principi Borghese che
li fecero venire da Roma.
La tradizione
vuole che la famiglia Taschetti di Orvinio sia oriunda della antica città di
Vesbula (comunemente detta Pietra Demone o Morretta) e la famiglia Biscossi
provenga da Castello Sinibaldi.
L’impianto
della luce elettrica di Orvinio è stato inaugurato nell’anno 1914, in
sostituzione di quello a fanali con lumi a petrolio, dal comm. Filippo Todini
ed a sue proprie spese, come pure a spese dello stesso Todini, quasi
contemporaneamente alla luce elettrica, fu inaugurato il servizio postale
automobilistico Orvinio-Stazione Ferroviaria di Mandela, precursore di quello Orvinio-Roma che seguì circa
dieci anni dopo.
Al n.5 di
Piazza Garibaldi si ammira un bellisssimo portale di marmo di Cottanello.
Nella stessa
piazza, sulla chiave dell’arco del portale distinto col n.2 è inciso quanto
segue:
M.D.
C. III
Trattasi
probabilmente della data 1604 e deve riferirsi certamente all’anno della sua costruzione.

“IOSEPH. AN.TASCAE”
riferentisi probabilmente al proprietario dell’epoca, appartenente alla
famiglia Taschetti.
Riferentisi
a varie epoche esistono vari stipiti in pietra di portoni e finestre abbastanza
interessanti, alcuni dei quali bellissimi ed anche bene conservati; ne
indicherò quì di seguito la loro precisa ubicazione:
-Salita del Borgo, al primo piano sopra le porte nn.tre e
quattro, due finestre.
-Corso Manenti n.23 caratteristico e bel portale.
-Corso Manenti n.91, bellissimo portale con caratteristiche
mensole che sostengono l’architrave.
-Corso Manenti al primo piano sopra il portone n.92,
bellissima finestra.
-Corso Manenti, finestra al primo piano sopra il portone
n.93; questa finestra si riferisce forse alla casa del portale n.91 di cui sopra.
Nella facciata della casa situata in via della Passeggiata
in angolo col Corso Manenti (ora Quattro novembre) e di proprietà dei fratelli
Francesco e Gioacchino Alivernini, distinta al n. civico (fig.107) si notano un bel portale e due finestre.

Altra finestra al primo piano sopra il portone n.61 della
stessa via della Passeggiata.
Dentro l’abitato si notano delle Sacre Immagini e
precisamente :
Al corso Manenti tra le due finestre al primo piano della
Casa n.1, di proprietà di Anna Mancini in Zacchia, esiste una bella edicola con
quadro dedicato alla Madonna della Provvidenza (fig.115).
Nella stessa via, della casa distinta col n.30 di proprietà
di Elisa Marcangeli in Tani, notasi una vecchia edicola con visibili tracce di
pitture; esiste ancora in sito il braccio in ferro battuto ancora bene
conservato e che sosteneva il fanalino scomparso.

Via della Passeggiata, presso il Torrione, nel muro di cinta
del Parco del Castello di S.E. Filippo Cremonesi, in prossimità di un angolo
entro una nicchia in pietra e sportello in ferro a vetri, Sacra Icone della
Madonna di S:Agostino.
Via di Porta Vecchia, facciata della casa distinta col
n.11, affresco del grande
taumaturgo S.Antonio di Padova.

Nella parte
interna del muro del giardino di proprietà del cav. Uff. Armando Alessi sito in
via Cesare Battisti n.43 esiste una bella nicchia rivestita con mosaico d’oro
con cornice di marmo bianco scolpita e arabescata e sovrastante riparo fisso
con vetri colorati e lanternino di ferro battuto.
Entro la
nicchia è stata collocata una statuetta bellissima in marmo bianco riproducente
S.Teresa del Bambino Gesù (fig.114).

Una seconda
situata al bivio della località “Immaginetta” fra la strada che conduce a
Vallebona e quella al Colle della Guardia, dedicata all’Immacolata Concezione
(proprietà di Augusto Petrucci) (fig.117)
e la terza in località S.Benedetto o Madonnella dedicata alla Madonna di
Lourdes di proprietà di Sante Biscossi (fig.118).
La prima si chiama comunemente Madonna della Chiusa, la
seconda Immaginetta e l’ultima Madonnella.
Nell’aprile 1849, diretto alla difesa di Roma, dimorò in
Orvinio l’Eroe dei due mondi, Generale Giuseppe Garibaldi ed alloggiò nella
casa in Piazza Garibaldi n.1 di
proprietà della famiglia Morelli e precisamente nella stanza
al
secondo piano avente la finestra in prossimità dell’angolo con la salita del
Borgo ed in asse con via Roma e la porta della chiesa di S.Giacomo (finestra di
mezzo della fig.7).

Nell’Archivio
del Comune si conservano delle lettere autografe del Generale Garibaldi,
ricordo di averle vedute anche io, ma anziché essere conservate con amorevole
cura sono state vilemente trafugate ad opera di persone prive di onestà.
Anche costoro meritano l’onore di essere segnati al libro
nero dei rapaci e distruttori del bello, della storia e dell’arte.
Ignorasi se insieme
al prode Generale abbia dimorato ad Orvinio anche la sua moglie Anita,
degna sua compagna, morta tre mesi dopo nelle campagne Tosco-Romagnole in
seguito ai grandi stenti e disagi sopportati con stoica virtù Italiana; le
probabilità e qualche punto di appoggio ci sono che lei sia stata ad Orvinio,
ma non è accertato, il compito è riservato ad altri.
Attualmente esiste ancora il letto dove dormì il
Grande Generale; non sarebbe male, anzi sarebbe doveroso da parte del Comune di
Orvinio si prendesse l’iniziativa di farsi promotore affinché tale stanza con
gli arredi dell’epoca di Garibaldi fosse dichiarata Monumento Nazionale e posta
alla venerazione dei posteri.
A
ricordo di tale avvenimento, sulla facciata è stata murata una pietra di marmo
(fig.111-112-113) con la seguente
dedica ivi scolpita ad eternare tale avvenimento:
In questa casa
Diretto alla difesa di Roma
Dimorò nell’Aprile 1849
Giuseppe
Garibaldi
A perpetuo ricordo
Il Municipio di Orvinio
Pose il 20 settembre 1884



Nell’anno
1928 ho dedicato ad Orvinio il seguente “Inno” (fig.119) da me composto ed è adattato ad un semplice motivo
di bell’effetto musicale sia se cantato a soli che in coro e specie se
accompagnato da strumenti musicali e meglio da complessi bandistici.
La tiratura l’ho fatta effettuare solo con milleesemplari
compreso quello a fig.15
Inno a Orvinio
(antico Orvinium)
Parole
di Amaranto Fabriani
(da cantarsi sull’aria di Valencia)
Orvinio , perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua
stella
Della luce la più bella
Orvinio, sei immensa nella gloria
E di Te parla la storia
Più grande sempre noi Ti vogliamo
E quest’Inno a Te eleviamo
Manenti
il gran pittore
Nel
marmo è già eternato
Frezza
grande incisore
Che
dev’essere onorato
Santa
Maria del Piano
Gioiello
del secolo Nono
San Giacomo
del Bernini
Il
Castello co’ suoi giardini
Orvinio, perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua
Stella
Della luce la più bella
Orvinio, pel presente e pel
passato
Dai vicini sei invidiato
Sii sempre, vigilante sentinella
Della nostra terra bella
Garibaldi
il generale
Diretto
alla Capitale
Nell’aprile
quarantanove
Venne a
te verso le novembre
Nel Tuo
grembo fu ospitato
E dal
Tuo popolo fu acclamato
Nel
palazzo dei Morelli
Vi
passò dei giorni belli
Orvinio. Perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua
stella
Della luce la più bella
Orvinio, dall’acqua Tua
cristallina
E dall’aria sopraffina
Tu sei, dolce luogo incantatore
Dalle donne piene d’amore
Fra le
tue cose più belle
Prime
vengono le Zitelle
E fra
quelle più pregiate
Sono
certo le Maritate
Ci son
pure le Vedovelle
Anche
loro graziose e belle
Sempre
pronte a conquistare
Un
altro uomo da sposare
(maggio
1928 anno VI E.F.)

Ebbene la mia fatica è stata coronta dal successo e
dall’anno 1935 “via Orvinio” è una
realtà palpabile che chiunque può vedere per sincerarsene. Essa si diparte da
via di Villa Chigi, che percorre la fronte della villa omonima, ed è ubicata di
fronte a Villa Savoia, proprietà
del nostro amato Sovrano, ed è in prossimità del luogo dove sorgeva l’antica
città sabina “Antemnae” (oggi Andenne).
Allego due fotografie eseguite in sito nell’anno stesso
della sua nascita (1935) e la persona che si vede è lo scrivente (vedere fig.120
e 121).
In
prossimità della Casa Parrocchiale e più precisamente fra i civici numeri 69 e
71 del Corso Vincenzo Manenti, a circa un metro di altezza dal piano stradale,
esiste una finestra munita di
inferriate a forma romboidale.
Sul davanzale della stessa è stata posta un’antica pietra
in travertino e sul lato superiore di essa è scolpito quanto segue:
+ ED ENOCE O M LV
Apparteneva forse alla prossima Chiesetta medioevale ora
scomparsa e sostituita dall’attuale Chiesa Parrocchiale??

Roma - Via Orvinio
E’ situata di fronte a Villa Chigi ed in prossimità
di Villa Savoia residenza del nostro amato Sovrano
Caduta di
Meteoriti
Ricordo che il
Prof. Luigi Alessi di Orvinio, morto alcuni anni or sono e sepolto al Cimitero
delle Petriane, ebbe a raccontarmi il seguente episodio:
Un giovane
pastore di Orvinio, tale
Gioacchino figlio di Pietro Riscossi un giorno trovandosi in un prato, in
località Pratogrande (volgarmente Praturanne) intento a far pascolare il proprio bestiame.
Benché fosse
una bella giornata col sole splendente ed il cielo terso privo di qualsiasi
nube, tutto ad un tratto la sua attenzione fu richiamata da uno strano rumore
simile a quello prodotto dall’imminenza di un grande temporale.
Incuriosito
per tale fatto insolito, tanto più che intorno a lui regnava il silenzio più
profondo, pose maggiore attenzione con la speranza di poter scoprire e rendersi
conto dell’insolito fenomeno.
Infatti
immediatamente dietro a lui sentì il rumore specifico prodotto dalla caduta
come di un sasso lanciato con veemenza.
Il Biscossi si
voltò istintivamente, ma contemporaneamente quà e là intorno a lui, si
verificarono altre cadute come la prima.
Riavutosi
dallo spavento provato in seguito all’inspiegabile episodio cui involontariamente era stato spettatore,
incuriosito volle fare una accurata ricognizione nei punti dove, come diceva
lui, erano caduti dei...sassi.
Con molta
fatica riusci a tirare fuori dal terreno i vari...sassi che, data la veemenza
nella caduta, si erano conficcati abbastanza profondi nel prato; li raccolse e
la sera tornando ad Orvinio li portò a casa.
Fu informato dell’accaduto il sig.Vincenzo Segni, allora
Sindaco di Orvinio, il quale fattosi consegnare tutto il materiale raccolto lo
portò a Roma ove fu accertato trattarsi di meteoriti.
Al suo ritorno in Orvinio, assicurò di averli fatti
collocare in un Museo della Città Eterna, per essere colà conservati ed ai
quali fu imposto il nome di “Orvinite”.
Il fatto è avvenuto verso l’anno 1875.
Quanto suddescritto mi è stato confermato anche dallo stesso
Gioacchino Biscossi sprannominato “Lu Vecchiu” morto parecchi anni or sono.
Con un po’ di pazienza i suddetti bolidi potrebbero anche
essere rintracciati da una persona di buona volontà.
N.B. In seguito a mie ricerche, ho potuto appurare quanto
segue:
La caduta dei suddetti meteoriti avvenne alle ore 5,15
antimeridiane del giorno 31 agosto 1872.
Dal Museo di Mineralogia presso la Regia Università di
Roma, esiste un solo frammento (da me esaminato) così classificato: Condrite
bronzitica nera – Orvinite – frammento in buona........del peso di grammi 710 .
Altri tre frammenti di Orvinite si conservano presso i seguenti Istituti:
-Museo Mineralogico presso la Regia Università di Torino-frammento del peso di grammi 80.
-Museo Mineralogico presso la Regia Università di Torino-frammento del peso di grammi 80.
-Museo Mineralogico presso la Regia Università di
Bologna-frammento del peso di grammi 32.
-Museo Civico di Storia Naturale presso la Regia
Università di Milano, del peso di grammi 15.
Come vedesi i pezzi raccolti e conservati sono quattro
complessivamente; non si sa con esattezza se i bolidi caduti siano stati
soltanto quelli sopra elencati, oppure se qualche altro è andato disperso.
Al riguardo se ne sono interessate le seguenti
pubblicazioni:
-F. Millosevich – Le Meteoriti
del Museo di Mineralogia presso la Regia Università di Roma -Tipografia Bardi –
Roma 1928.
-L. Lipoez –
Analysem Meteorites von Orvinio – Tscherm – Mineral, III – Wien 1874
Castello Sinibaldi
In località
“Castellu“, soprastante ad un mulino idraulico con due macine per cereali
portante il nome della stessa località ed in prossimità del vocabolo Vigne
Secche, su di un amena posizione di rimpetto alla località denominata “Selva“
fronte a Montorio in Valle, sorgeva il paese di Castello Sinibaldi, comunemente
nomato “Castellu“.
Ignorasi la
sua data di nascita, quando da chi e come fu distrutto, nonché l’epoca in cui
fu abbandonato dai suoi abitanti.
Attualmente
sono bene conservati gli avanzi di due torri, poste certamente a difesa della
porta del paese (forse l’unica che esistesse) e nella parte che guarda verso Orvinio.
Quà e là
esiste ancora qualche piccolo rudero della cinta e dei fabbricati scomparsi.
Allo stato
attuale non è possibile stabilire esattamente il suo perimetro, però con un pò
di buonavolontà si riesce ad intuirlo.
Il paese deve
ritenersi di epoca medioevale e certamente dopo il mille dell’era volgare e la
sua popolazione contava sulle
cinquecento anime.
Circa quaranta
anni or sono il proprietario di quel terreno certo Ragazzoni Vincenzo di Orvinio, soprannominato “Lu Rusciu”,
perché di capigliatura bionda, col miraggio di poter eventualmente rinvenire un
qualche tesoro, con molta fatica
riuscì ad aprire un piccolo varco attraverso le spesse e poderose mura
della torre di sinistra entrando e precisamente quella a monte della gemella e
che è più grande e più alta dell’altra.
Praticato un
piccolo pertugio, attraverso il foro si calò nell’interno della torre ove sul
fondo di essa trovò solo una buona quantità di grano ma tutto bruciacchiato ed
annerito forse dal fumo.
Da tale
scoperta si deve arguire che l’abitato di Castello Sinibaldi fu distrutto quasi
certamente da un incendio e gli abitanti scampati furono costretti a rifugiarsi
in altri centri vicinori.
La famiglia
Biscossi di Orvinio sembra che provenga da Castello Sinibaldi.
Mi è stato
assicurato da più persone che attualmente in località Vignesecche, prossime
all’abitato di Castello Sinibaldi, località quanto mai pittoresca e bene
situata, con ottima terra per buone coltivazioni, esistono in vari punti alcuni
mucchi di sassi, comunemente chiamati “maceruni”.
Su di essi
sono cresciuti molti rovi e piante selvatiche che li ammantano completamente;
ebbene in mezzo a quella spontanea vegetazione esiste e vegeta ancora qualche
pianta di vie e di fichi.
Tali piante
non sono certo nate sole ma saranno una riproduzione delle loro antenate poste
a dimora per mano dell’uomo e pertanto si deve ritenere per certo che tali
piante siano lo sparuto residuo dei vigneti ivi esistenti piantati dai
Castellani.
Di fronte a Castello Sinibaldi dalla parte della torre suddetta
esiste la località denominata “Selva”.
Il terreno ivi è cosparso di una miriade di pezzi di tegole
romane: mattoni e embrici di terracotta.
La tradizione vuole che colà esistesse una fornace di
laterizi in terracotta; io ritengo che ivi invece esistesse la necropoli di
Castello Sinibaldi perché è alle falde del monte dove esisteva il paese
distrutto.
Basterebbe fare uno scavo con metodo di appena qualche metro
di profondità e sono sicuro che il mistero sarebbe squarciato e la realtà mi
darebbe certamente ragione.
Notizie
accertate posteriormente: Dai seguenti documenti trascritti nel Regesto di
Farfa, risulta che fra gli anni 1036 e 1090 d.c. esisteva il castello o rocca
Senebaldi o Sinebaldo (da non confondere con Rocca Sinibalda situata verso Rieti)
perché la sua ubicazione è posta in prossimità di Orvinio, Pozzaglia e il fiume
Turano:
-
Documento 567 –
anno 1036 –Volume III – pag.274.
-
Documento 1095-
anno 1084 – Volume V - pag.90
-
Documento 1255 –
anno 1090 – Volume V – pag.235.
Monte
Castellano
La tradizione
vuole che al vertice del monte Castellano, a tergo del vecchio paese di
Vallebona dove esiste la chiesa di Vallebona descritta a pag.8B, esistesse un
paese.
Nella parte
più alta del monte stesso, in una posizione dominante e suggestiva, di rimpetto
alla località Pratarella, si nota una specie di grande piazza abbastanza piana.
Esaminando
bene la configurazione del terreno si è portati a credere che tale spianata non
sia proprio naturale, ma peraltro fatta ad opera dell’uomo.
Da molti
abitanti di Orvinio, concordi nell’asserzione, ho sentito dire che ivi esistono
anche dei ruderi in più punti e bene conservati quali avanzi residuali
dell’antico abitato.
Tale fatto
confermerebbe la tradizione dell’esistenza del paese stesso e che probabilmente
si chiamasse col nome di “Monte Castellano” o semplicemente “Castellano”.
Da un
sopraluogo da me ivi eseguito non ho rinvenuta alcuna traccia di ruderi più o
meno cospicui.
Forse qualche
avanzo di muri ancora superstiti ci sarà senza dubbio come mi viene assicurato,
ma certamente sarà rimasto interrato oppure sarà nascosto dalla selvatica
vegetazione.
Dall’insieme
del luogo si può ritenere che fosse di proporzioni modeste, molto più piccolo
di Vallebona e forse anche di Castello Sinibaldi.
La sua origine
e la sua distruzione si perde nella notte dei tempi.
Memento Homo
Le donne
Sabine rapite al “Ratto”, secondo Dionigi, furono 683 (seicentottantatre)
compresa la bellissima Ersilia riservata sposa a Romolo, primo Re di Roma.
I Sabini,
decisi a lavare nel sangue l’onta subita, si prepararono in silenzio alla
guerra e l’anno seguente al ratto delle Sabine, avvenuto sotto la protezione
del dio gonfo nella
Valle Murcia e precisamente dove attualmente esiste il Circo Massimo, guidati
dal Re dei Sabini, Tito Tazia,
suocero del secondo Re di Roma, Numa Pompilio, mossero in battaglia contro i
Romani giungendo fino alle mura della Città Quadrata, superando persino la Porta
Mugonia (ora scomparsa) situata in prossimità dell’Arco di Tito.
Per intervento
personale della bellissima Ersilia la guerra cessò e fu fatto un patto di
alleanza fra Romolo e Tito Tazio, rispettivamente Re dei Romani e del Popolo
Sabino.
Il motto
abbreviato S.P.Q.R.
è nato in Sabina che voleva dire “Sabinis Populis Qui Resistet?” che voleva
dire “Ai Popoli Sabini chi resisterà?”.
Fu risposto
dai Romani “Senatus Populusque Romanus” che voleva dire “Il Senato e il Popolo
Romano”.
Quindi fu
cambiato in seguito in S.P.Q.S. significante “Il Senato e il Popolo Sabino”.


G. G. Frezza (Incisore in rame)
Giovanni
Girolamo Frezza nacque in Orvinio nell’anno 1659 e morì nel 1741 (vedasi nota a
pagina 37 B del presente, in fondo alla descrizione)
Compì i suoi
studi in Roma e a giovane età divenne celebre incisore in rame.
Risiedeva
nell’Urbe e lavorò indefessamente fino a tardissima età.
Dalla superba
incisione su lastra in rame, levigatissima (delle dimensioni di centimetri
21,50 X 19 di superficie incisa compresa la cornice, riproducente fedelmente le
angeliche sembianze della Madonna SS.ma di Vallebona)(Santuario esistente nel
territorio di Orvinio) incisione da me più volte ammirata e gelosamente
conservata dal parroco della Chiesa Abbaziale di S. Nicola di Bari in Orvinio,
si rileva che il Frezza la incise per una devozione in Roma nell’anno 1740 alla
bella età di anni 81.
Nella Galleria
Corsini, sita in Roma via della Lungara al n.10 piano II – Gabinetto delle
Stampe, esiste una statua tratta da un incisione del Frezza, raffigurante
un’allegoria, sulla quale oltre al nome e cognome del Frezza ed all’anno 1727,
è inciso dall’autore quanto segue “Per acquisti rivolgersi dal Frezza in faccia
alla Chiesa degli Scozzesi vicino a Piazza Barberini”
Detta stampa è
conservata nel volume 57 n.12 al n.116.642.
Nello stesso
ufficio si conserva un libro dell’anno 1837, classificato Magler – Volume n.4;
ebbene a pagina 494 e 95 vi è descritta la biografia del Frezza e le incisioni
da lui eseguite; il libro è scritto in tedesco.
Di fronte alla
porta della Chiesa degli Scozzesi situata in Via delle Quattro Fontane (in
prossimità di Piazza Barberini) vi è il portone n.10; dobbiamo ritenere
pertanto che ivi era il domicilio del grande artista scomparso da me ricordato
nell’Inno a Orvinio (fig.15 a
pag.32B) pag.35
In
seguito ad indagini da me espletate, la casa ove ebbe i natali il Frezza,
ritengo sia quella in via Manenti
al 1° e 2° piano dei civici n.147-149-153 e 155,
casa
addossata alla Porta Vecchia, questa ora quasi totalmente demolita per
allargarne la strada) e prospicente la Piazza del Sole, già Piazza del
Casalino.
Questo
grande figlio di Orvinio attende sempre di essere degnamente onorato; speriamo che qualcuno se ne ricordi per
il prossimo terzo centenario della sua nascita che ricorre nel 1959.
Quasi
tutte le opere del Frezza sono riproduzioni di pitture e sculture celebri.
Presso
la Regia Calcografia di Roma, sita in via della Stamperia, primo piano, sono
conservati i seguenti rami incisi dal Frezza:
n. di
|
Quantità
|
||
classifica
|
dei rami
|
Specifica del soggetto
|
Annotazioni
|
incisi
|
|||
907
|
1
|
Sacra Famiglia
|
|
1112
|
(?)
|
Soggetti Mitologici
(riproduzioni da pitture
|
Dal catalogo che il
gruppo si compone di
|
esistenti nel Palazzo
Giustiniani in Bassano
|
20 rami incisi da vari
artisti fra i quali il
|
||
Frezza al quale ne va
attribuita solo una
|
|||
parte
|
|||
1335
|
3
|
S. Andrea - S. Giovanni
- S. Matteo
|
Riproduzione statue
degli Apostolo esi-
|
stenti nella
Arcibasilica di S.Giovanni in
|
|||
Laterano
|
|||
1338
|
8
|
Tavola 34 - Minerva
medica
|
|
" 35 -
Venus Comam Ornans
|
|||
" 44 - Fortuna
|
|||
" 47 - Melpomene
|
|||
" 48 - Thalia
|
|||
" 61 - Filosofo
|
|||
" 77 - Concordia
|
|||
" 83 - Genio della Biga
|
|||
1602
|
1
|
S. Giuseppe Anchieta
|
Presso la Galleria Corsini sita in Roma via della Lungara
n.10 piano II (Gabinetto delle Stampe) sono conservate le seguenti stampe,
tratte su incisioni del Frezza, ma si ignora dove siano conservati i relativi
rami incisi dal grande Maestro.
Classifica
|
Quantità delle
|
Note
|
||
Volume
|
n.
|
Specifica del soggetto
|
incisioni
|
|
cartella 630
|
44
|
Papa Clemente XI
|
1
|
Fondo Nazionale
|
1002
|
14568(147)
|
Cardinale Fondodarius
|
1
|
|
1005
|
14571(37)
|
"
"
|
1
|
|
"
|
14571(65)
|
" Emericus
Czacki
|
1
|
|
26M19
|
4639
|
Soggetto mitologico
|
1
|
|
27M18
|
10140
|
Francesco Albani
|
1
|
|
"
|
10141
|
Soggetto mitologico
|
1
|
|
"
|
10142
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10143
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10144
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10145
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10146
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10147
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10148
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10149
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10150
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10151
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10152
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10153
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10154
|
"
"
|
1
|
|
"
|
10155
|
" "
|
1
|
|
"
|
10156
|
"
"
|
1
|
|
57N12
|
116596
|
"
"
|
1
|
|
"
|
116597
|
"
"
|
1
|
|
"
|
116598
|
"
"
|
1
|
|
"
|
116599
|
Annunciazione di Maria
Vergine
|
1
|
|
"
|
116600
|
Natività di Gesù Cristo
|
1
|
|
"
|
116602
|
Gesù presentato al
vecchio Simeone
|
1
|
|
17N12
|
116603
|
Gesù consegna le chiavi
del Paradiso a S.Pietro
|
1
|
|
"
|
116604
|
Apparizione dello
Spirito Santo agli Apostoli congregati
|
1
|
|
"
|
116605
|
S.Filippo Neri orante
davanti al Crocefisso
|
1
|
|
"
|
116606
|
La Vergine che allatta
il Bambino Gesù
|
1
|
|
"
|
116608
|
Sacra Famiglia con
S.Giovanni Battista
|
1
|
|
"
|
116609
|
Sacra Famiglia con
S.Giovanni Battista
|
1
|
|
"
|
116610
|
Assunzione della Beata
Vergine
|
1
|
|
"
|
116611
|
Assunzione della Beata
Vergine
|
1
|
|
"
|
116612
|
La Vergine col Bambino
|
1
|
|
"
|
116613
|
Fatto sacrilego davanti
alla Madonna del Pianto
|
1
|
|
"
|
116614
|
S.Pietro converte le
genti
|
1
|
|
"
|
116615
|
Santi in preghiera
|
1
|
|
"
|
116617
|
S.Andrea
|
1
|
|
"
|
116618
|
S.Matteo
|
1
|
|
"
|
116619
|
S.Giovanni da
Capistrano
|
1
|
|
"
|
116620
|
Venerabile Nicola de
Sios
|
1
|
|
"
|
116621
|
S.Pantaleo
|
1
|
|
"
|
116622
|
S.Andrea Corsini
|
1
|
|
"
|
116623
|
S.Agostino
|
1
|
|
"
|
116624
|
Santo con Angeli
|
1
|
|
"
|
116625
|
Ascenzione di Gesù
Cristo
|
1
|
|
"
|
116626
|
Assunzione di Maria
Vergine con religiosi
|
1
|
|
"
|
116627
|
S.Giovanni di Dio
|
1
|
|
"
|
116628
|
S.Francesco di Paola
|
1
|
|
"
|
116629
|
S.Francesco di Paola
|
1
|
|
Classifica
|
Quantità delle
|
Note
|
||
Volume
|
n.
|
Specifica del soggetto
|
incisioni
|
|
17N12
|
116630
|
S.Ignazio di Loyola
|
1
|
|
"
|
116631
|
Riproduzione di un
Altare con Pala
|
1
|
|
"
|
116632
|
S.Vincenzo de Paoli
|
1
|
|
57N12
|
116633
|
S.Felice da Cantalice
|
1
|
|
116634
|
S.Andrea Avellino
|
1
|
||
116635
|
Altare di S.Luigi
Gonzaga
|
1
|
||
116636
|
Santo in mezzo a tribù
barbare e belve feroci
|
1
|
||
116637
|
Venerabile Fernus Dei
Galeatius
|
1
|
||
116638
|
Due Venerabili
|
1
|
||
116639
|
Due Venerabili
|
1
|
||
116640
|
Adorazione della Sacra
Famiglia
|
1
|
||
116642
|
Allegoria
|
1
|
||
116643
|
Padre Eterno con Angeli
|
1
|
||
116644
|
Adorazione della
Vergine Assunta in cielo
|
1
|
||
116645
|
S.Giuseppe con la
Vergine
|
1
|
||
116646
|
Sacra Famiglia e Angeli
|
1
|
||
116647
|
S.Margherita da Cortona
|
1
|
||
116648
|
Beata Caterina de
Riccijs
|
1
|
||
116649
|
Piede destro di
S.Teresa di Gesù
|
1
|
||
116650
|
S.Giuliana Falconeria
|
1
|
||
116651
|
Venerabile Battista
Vernazza
|
1
|
||
116652
|
Scena Mitologica di
Roma antica
|
1
|
||
116653
|
Giudizio di Paride
|
1
|
||
116655
|
Soggetto mitologico
|
1
|
||
116656
|
Soggetto mitologico
|
1
|
||
116657
|
Trio Austriaco
|
1
|
||
116658
|
Statua del Silenzio
|
1
|
||
116659
|
Statua di Antinoo
|
1
|
||
116660
|
Centauro
|
1
|
||
116661
|
Centauro
|
1
|
||
116662
|
Isis
|
1
|
||
116663
|
Archigalli
|
1
|
||
116664
|
Vaso artistico
|
1
|
||
116665
|
Riproduzione della
Macchina eretta sulla piazza di Castel Gandolfo il 17 giugno 1717
|
|||
116666
|
Riproduzione della
facciata del Duomo di Orvieto
|
1
|
||
116667
|
Stemma Pignatelli
|
1
|
||
116668
|
Paesaggio (le Amerelle)
|
1
|
||
116669
|
Papa Clemente XI
|
1
|
||
116670
|
Papa Benedetto XIV
|
1
|
||
116671
|
Giovanni Fontana
|
1
|
||
116672
|
Ritratto di Prelati e
Gentiluomini
|
1
|
||
116673
|
Ritratto di Prelati e
Gentiluomini
|
1
|
||
116674
|
Ritratto di Prelati e
Gentiluomini
|
1
|
Poiché risulta
chiaramente che il Frezza è stato un artista molto prolifico, si deve ritenere
per certo che oltre al rame conservato presso la Parrocchia di Orvinio ed alle
incisioni sopra elencate, ne esistano delle altre presso Gallerie pubbliche e
private.
Nella
Biblioteca Sarti sistemata al secondo piano del Palazzo della Accademia di
S.Luca situato nella piazza omonima prossima alla fontana di Trevi in Roma, ho
consultati i seguenti libri dove si fa menzione del Frezza:
1) Allgemeines
Lexikon der Bildenden Kunstler – volume XII, stampato Leipzig-Verlag Von E.A.-
Seemann – anno 1916 – a pagina 449 si legge: nato a Canemorto, località vicino
a Tivoli, l’anno 1659 e morto nel 1741; segue un elenco delle opere incise dal
Frezza. Fra queste, risulta che nell’anno in cui morì (e cioè 1741)eseguì delle
incisionia bulino ed acquaforte che si conservano agli Uffizi di Firenze.
2) Notizie
Istoriche degli Intagliatori di S.Giovanni Gori Gandellini – Tomo II – Siena
1808. A pagina 43-44 e 45 oltre ad una descrizione delle opere da lui incise si
legge: Apprese i principi del disegno da Arnoldo Van Vestherant, fu di vivace
ingegno e di idee vaste; ha lasciato una infinità di stampe intagliate da se a
bulino ed acquaforte, nelle quali si ammira la perfezione del disegno e la
dolcezza del taglio che innamora gli amatori dell’arte onde con ragione fu
stimato uno dei primi intagliatori del suo tempo.
Nota Bene: Ritengo che il decesso del Frezza sia avvenuto in
Orvinio per i seguenti motivi: Poiché Roma era la sua residenza, se la morte
l’avesse raggiunto in detta città, l’avvenuto decesso sarebbe stato trascritto
sul Registro Atti di Morte della Parrocchia nella cui giurisdizione era
compresa l’abitazione del Frezza.
Non
avendo potuto individuare con certezza tale Parrocchia, sono stato costretto a
recarmi all’Archivio Vaticano, ove ho attentamente e scrupolosamente consultati
i registri degli Atti di Morte dell’anno 1741 di tutte le Parrocchi di Roma, ma
non ho trovato alcuna traccia della morte del Frezza.
Escludendo Roma, quale luogo dove probabilmente avrebbe potuto avvenire
il decesso, perché, penserà il lettore dovrebbe essere Orvinio?
Ora vedremo. Il Frezza, nell’anno 1740, avendo raggiunta la bella età
di anni 81, forse presentendo l’approssimarsi del suo trapasso, decideva di
lasciare alla sua patria un ricordo in onore della Madonna SS.ma di Vallebona,
incidendone le Sacre Sembianze su di una levigatissima lastra di rame.
Lo stupendo lavoro venne eseguito per sua devozione in Roma nell’anno
1740 (certamente sullo scorcio di detto anno, perché è assodato che il Frezza
ha lavorato a bulino ed acquaforte anche al principio del 1741, anno della sua
morte). La splendita incisione è gelosamente conservata nella Parrocchia della
Chiesa di S.Nicolò di Bari in
Orvinio.
Se la detta lastra di rame è stata incisa in Roma, come risulta, come è
giunta ad Orvinio in quell’epoca che non esistevano nè aerei, nè auto, nè
ferrovie e nemmeno strade carrozzabili, mentre non esisteva neppure allo stato
intenzionale un sia pur rudimentale servizio postale o di corrieri?
Certamente il Frezza, che aveva sulle spalle 82 primavere, presentendo
prossima la sua fine, abbandonò Roma, portando seco la celebre incisione in
parola, per tornare alla sua Orvinio ove morì lo stesso anno 1741.
Disgraziatamente la Parrocchia di Orvinio in quell’epoca non aveva
ancora istituito il Registro degli Atti di Morte, iniziato solo verso la fine
del 18° secolo.
Continuazione (Da
Orvinium a Orvinio)
Accertamenti successivi.
In
seguito a metodiche ricerche eseguite su una copia litterale del famoso Regesto
di Farfa, ho rilevate le seguenti notizie: In tutti i seguenti documenti in
esso trascritti e cioè:
-
Documento 1016 – Anno 1075 . Volume V – Pagina 19
-
“ 1045 - “ 1080 . “ “ “ 47
-
“ 1095 - “ 1084 . “ “ “ 90
-
“ 1255 - “ 1090 . “ “ “ 235
-
“ 1205 - “ 1110 . “ “ “ 198
redatti, come vedesi, fra gli
anni 1075 e 1110, ricorre costantemente il nome di Canemorto, mentre in quelli
quì sotto elencati, che vanno fra gli anni 1012 e 1062, ricorre quello di
Malamorte:
-
Documento 450- Anno 1012 – Volume III - pagina 163
-
“
633 “ 1012 “ IV “ 31
-
“
635 “ 1012 “ IV “ 32
-
“
572 “ 1017 “ III “ 279
-
“
518 “ 1019 “ III “
229 (*)
-
“
522 “
“
III
“ 231
-
“
521 “ 1025 “ III “
230
-
“
573 “ 1032 “ III “
280
-
“
567 “ 1036 “ III “
274
-
“
996 “ 1036 “ IV “
375
-
“
570
“
1038 “ III “
277
-
“
776 “ 1044 “ IV “
184
-
“
938 “ 1062 “ IV “
332
Pertanto deve
ritenersi che il nome Orvininium fu deposto e sostituito con quello di
Malamorte probabilmente fra il 917 d.c. (anno in cui fu costruita la Chiesa di
S,Maria del Piano) e il 1012 (vedasi documenti 450-633 e 635 del Regesto; fra
il 1062 e 1075 (documenti 932 e 1016 dello stesso Regesto) quello di Malamorte
con Canemorto ed infine questo con quello di Orvinio, ripristinato con Regio
Decreto del 29 marzo 1863.
A titolo di
curiosità aggiungo che presso l’Archivio Storico Capitolino, collocato al primo
piano del Palazzo dei Filippini in Piazza della Chiesa Nuova in Roma, trovasi
l’antico archivio degli Orsini, già signori di Orvinio.
In esso si
conserva una pergamena del 21 novembre 1378, riguardante la vendita di un
pezzetto di terra in territorio di Canemorto in vocabolo “le Coste” fatta da
Giorgio di S.Alberto a favore Giovanni Di Pietro, per la somma di otto fiorini
d’oro – Notaro Giacomo di Carluccio di Canemorto – Tale pergamena ha sullo
schedario il seguente riferimento: II A VII – 27.
(*) nel documento 518, alla
parola Malamorte, vi è una chiamata in fondo alla pagina 229 che riporta
integralmente: In una postilla marginale scritta per quanto pare verso il
principio del secolo XVII, si legge: puto canem m(or) tuum, et non...Le
lettere tra parentesi mancano nel testo perché risecate quando il codice fu
rilegato.
Continua da pag. (Chiesa di S.Maria dei Raccomandati)
A pag.143 e
seg. del libro “Apparato Minorico della Provincia di Roma” R.P. Maestro F.
Bonaventura Theuli di Velletri – Anno 1648 – si legge:
Del Convento
di Canemorto . Capitolo XIII.
Il Convento di
Canemorto è sotto il titolo di S.Maria de’ Raccomandati, fuora della Terra,
congiunto alle Mura di essa; era Hospidale, fu dato alla Religione, e per essa
al P.F. Massimo Pirchio dal Borghetto Diocesi di Civita Ducale, ma perché
spettava al Vescovo Cardinal Sabinense a prestarvi il consenso, fu necessario
ricorrere alla di lui benignità per ottenerlo, quale s’ottenne nel MDLXXXII
(1582) dal sig. Alessandro Lana Vicario Generale dell’Eminentissimo Cardinal
Gravellano Vescovo Sabinense, come apparisse per Breve, che comincia: Reverend
in Christo Patribus Ministro Generali Ord. S. Franc. Conventualium, Provinciali
Urbis, ac Custodi seu Guardiano, et Fratibus num existentibus in Ecclesia
Santae Mariae de’ Raccomandatis extra Castrum Canis Mortui, Sabinensis Diocesis
salutem in Domino sempiternam. Pro
parte vestra nobis expositum fuit, quod alias, annis elupsis Communitas, et
homines dicti Castri et Dat Romae ex Aedibus nostrae Residentae sub an. 1582. 9.
Non presentib. DD Nicolao Scaglioni Canonico Sabinensi, et Dominco Gomez
Canonico Turulen.
Registrato da
Not. Porfirio Corsetto di Aspra, il quale registra ancora la concessione, e
facoltà data al detto Vicario dell’istesso Eminentissimo di conferire, e
concedere Beneficij, Cure, Chiese, Collegiate, e altre cose del Vescovato a chi
li pareva, sotto l’ultimo di Maggio MDLXXIX (1579).
Con questa
facoltà e con il vigore di tal Breve se ne pigliò di nuovo il possesso per
mezzo della Communità a’ 15 di Decembre anno come sopra, il che apparisce per
l’infrascritto Istrumento.
In Dei
nomine Amen. Anno Indictione
et Pontificatus Sanctiss. D N Gregorij PpXij, anno undecimo, die
vero 15 Decembris. Ego Dominicus de Fabris de Canemortuo publicus Apostolica
auctoritate Notarius et vigore retroscrittarum literarum requisitus a’ R.PF.
Maximo Pirchio de Burghetto Civitatis Ducalis in Regno Neapolitano Religionis
Conventualium S. Francisci me una cum Marco Antonio Tiberijm Mattheo Francisci
et Marco Francursii, mascarijs, ac testibus infrascriptis persolaniter contuli
ad Ecclesiam S.Mariae de Raccomandatis sitam extra Castrum Canis Mortui
predicti et aperta I anna dictae Ecclesiae Cum Damorum ipsius adiunctarum,
emundem R.Patrem introducendo, et genuflexo, facta debita adoratione ad Altare,
ut decet, ipsum nomine et pro sacra Religione S. Francisci Conventualium etc..
presentibus etc..- quali scritture in un
sol foglio di Carta pergamena si conservano nel nostro Convento.
Si pigliò
dunque il possesso non solamente della Chiesa, ma ancora d’alcuni beni stabili
a quella annessi.
La Chiesa è
grande, bella con organo, ben tenuta. V’è un’Imagine antica della Madonna sotto
nome de’ Raccomandati, la cui festa si celebra il giorno dell’Assunzione di
Nostra Sig.
Dietro
l’Altare Maggiore vi sta una Cappella abbellita da’ Signori Muti con la loro
sepoltura, nella quale sono sepelliti alcuni di questa nobile famiglia, per
essere stati Duchi di questo Castello, e di tutta la Valle Mutia.
Nell’entrare
in Chiesa vi sono, una per parte, nel muro le due seguenti memorie in marmo.
(?) non è marmo, ma pietra, forse botticino) (vedere figura 3 a pag.16B e la
descrizione a pag.14C, nonché fig.4 a pag.16B e la descrizione a pag.14 B del
presente).
Questo luogo è
piccolo senza Claustro, povero, sta però in bel sito, godendosi in esso la
veduta di tutta Valle Muzia e di tutte le Terre, e Castelli delle sue Colline;
non vi sono stati padri graduati, solamente il P. Fra’ Francesco Zoppi cantore
buono, che è stato Vicario per molti anni ne’ Conventi di Fiorenza, di Roma e
d’Assisi, e vivente v’è il P. Fra Domenico Iannelli sudetto.
Vedute varie
di
Orvinio


Porta Romana prima del 1914
La
fontana prima del 1939 (si vede bene
la cancellata scomparsa nel 1939)



Orvinio
dopo il 1918





Il Castello da Piazza del Sole
Via del Giardino

S. Maria del Piano


Notisi a destra un uomo a cavallo e vicino un lampione a petrolio
(prima del 1914)


Strada medioevale
La Visitazione . Quadro dipinto dal cav.Dino
Mora da Colorno pel Santuario di Vallebona


(Fotografie eseguite nel 1940)

Orvinio – Quartiere Villini

La fontana dopo il 1939 (senza la
cancellata)
(FOTOGRAFIE ESEGUITE NEL 1949)
Errata - Corrige
e
Aggiornamento
18
settembre 1940 XVIII –
Mi riferisce
l’eremita della Chiesa di Vallebona che verso la fine di ottobre dell’anno
scorso, una sera si scatenava un grande temporale con abbondanti tuoni e lampi.
Tutto ad un tratto, mentre erasi recato in Chiesa, sentiva un forte schianto
seguito da un forte tonfo, cosa era successo? Un fulmine aveva colpito la torre
più alta della cinta del vecchio paese di Vallebona che svettava maestosa
nell’orto dell’Eremita e la parte superiore di essa crollava con grande
fragore.
1939 – Per ordine
del Segretario Comunale Meloni Luigi è stata tolta la..........di
ferro....................................................................................................................................................
tà di Piazza
Garibaldi per essere offerto il metallo alla patria.
16-7-1941
In seguito ad
ordini ricevuti dalle Superiori Autorità, occorrendo il metallo alla Patria per
supreme necessità di guerra, il Comune di Orvinio, ha fatto togliere oggi
stesso i due timpani di bronzo dell’orologio collocato nella torretta
soprastante la porta Romana e la campana del campaniletto dell’edificio
scolastico (ex convento) attiguo alla Chiesa di S. Maria dei Raccomandati.
Qualche mese
dopo a mezzo della corriera sono
stati portati a Rieti.
17-5-1942
E’ morto in Roma,
S.E.Filippo Cremonesi proprietario del Castello di Orvinio
1943
Ai primi
dell’anno 1943 il Castello di Orvinio ha cambiato nuovamente il proprietario; è
stato acquistato dal Marchese Roberto Malvezzi Campeggi (Guardia Nobile
Pontificia) si dice per lire tre milioni e mezzo a porte chiuse e compresa la
fattoria.
Per ordine del
nuovo proprietario, tutte le suppellettili formanti l’arredamento del Castello
di Orvinio, sono state portate a Roma e vendute all’asta pubblica nella
Galleria Giacomini in via Condotti 91 e precisamente nei giorni dal 9 al 20
marzo; per la storia, sono state vendute (il giorno 11) persino le due
bellissime e storiche portantine esternamente di cuoio nero con arabeschi
dorati ed internamente foderate di velluto cremisi, frange d’oro e merletti del
600 – 700, appartenente ai Baroni Muti, in quell’epoca proprietari del Castello
di Orvinio, per la somma di £.700 cadauna, io presente.
giugno 1940
L’Italia
fascista (Capo del Governo Benito Mussolini) alleata della Germania (nazional
socialista o nazista) con a capo Adolfo Hitler e del Giappone, dichiara guerra
alla Francia e all’Inghilterra.
Dopo i primi
successi, abbastanza effimeri, incominciano i rovesci militari che si risolvono
nel più grande disastro che l’Italia ricordi.
L’Inghilterra
e i suoi alleati occupano prima l’Africa Orientale Italiana (costituita dalla
Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea) poi la Cirenaica e quindi la Tripolitania.
Gli Stati
Uniti d’America, attaccati dal Giappone, scendono in campo a fianco
dell’Inghilterra; lo stesso fa la Russia perché attaccata dalla Germania.
Siamo alla
primavera del 1943. Mentre la Russia si incarica di stritolare i tedeschi, gli
anglosassoni occupano le isole italiane di Lampedusa e Pantelleria, sentinelle
avanzate nel mare Mediterraneo; successivamente viene la volta della Sicilia
incominciando dalla costa meridionale e quindi attraverso lo Stretto di Messina
avviene l’invasione della nostra martoriata penisola incominciando dalla
Calabria.
25 luglio
1943
L’Italia è
stremata per i terribili colpi ricevuti nonché per le gravi sofferenze e
restrizioni inconcepibili a cui è stata sottoposta.
Sua Maestà
Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e d’Albania e Imperatore di
Etiopia fa arrestare (in Roma a
Villa Savoia) Mussolini, dopo averlo esonerato dalla carica di Capo del
Governo, nominando quale suo successore S.E. il Maresciallo d’Italia Pietro
Badoglio.
8 Settembre
1943
S.E. il
Maresciallo Badoglio, dopo attento esame della tragica situazione italiana,
d’accordo col Sovrano, chiede agli Anglosassoni ed ai Russi la pace, che viene
accettata con la resa a
discrezione dell’Italia (purtroppo non c’è altro da fare).
Mentre la
quasi totalità dell’aviazione e oltre centomila unità della nostra Regia Marina
vengono consegnate agli Inglesi nei porti dell’isola di Malta, il resto del
nostro glorioso esercito rimasto in Italia, mediante arti subdole e a
tradimento con l’uso anche delle armi viene disarmato e disperso dalle armate
tedesche che erano disseminate un pò dappertutto sul suolo Italiano.
In meno di una
settimana, i teutoni (che sono sempre degni discendenti ed emuli di Attila)
sono riusciti a polverizzare il nostro Esercito occupando l’Italia
Settentrionale e Centrale, compresa Roma.
Settembre
1943
Orvinio viene
occupato dai tedeschi verso la fine di settembre 1943 da circa sessanta uomini
tra graduati e truppa.
Il comando
tedesco prende dimora nella casa
del cav. Uff. Armando Alessi (ultimo piano del palazzo Morelli in Piazza
Garibaldi) mentre la truppa si impadronisce della Fattoria del Marchese
Malvezzi.
Successivamente
occupano il Granarone del Castello, tutto il quartiere dei Villini e
l’autorimessa di Ricci Pompeo sulla strada carrozzabile in prossimità di
Carpinetto.
Nonb ostante
che il Castello fosse stato posto sotto l’egida dello Stato neutrale della
Città del Vaticano e non ostante che agli ingressi fossero state apposte delle
ben visibili tabelle monitrici dai colori della Santa Sede, i novelli Unni non
hanno mancato di invaderlo lo stesso; sembra però che non vi abbiano arrecati
gravi danni.
Dopo
l’occupazione dell’Italia da parte tedesca, il nostro sovrano dichiara guerra
alla Germania ed al Giappone, ponendosi a fianco dei suoi nuovi alleati
Anglosassoni, Russia, Cina, Brasile e molti altri Stati minori per liberare il
nostro sacro suolo dalle orde teutoniche.
17 giugno
1944
Incalzati
dalle truppe italiane ed alleate gli ultimi soldati tedeschi abbandonano
Orvinio alle ore cinque di sabato 17 giugno1944 dirigendosi verso Rieti dopo
aver fatti saltare con la dinamite, alle ore tre il ponticello o chiavicotto
detto dello sprofondo o del bottino ed alle ore cinque della stessa mattina il
ponte grande in località Grugnaleta (detto Ponte di Orsi – nome del
costruttore) prospiciente il Santuario della Madonna SS.ma di Vallebona.
Verso le 5,30,
ad opera degli stessi eroi, la stessa sorte è toccata al ponte grande di
Poggio Moiano in località Malpasso.
La sera
precedente con lo stesso metodo e dagli stessi eroi, saltavano in aria il ponte
sotto Roccagiovine e un altro ponte sopra Percile stesso ed il località Fotrani
veniva abbattuto un muro di sostegno della montagna con conseguente frana ed
ostruzione della strada carrozzabile.
In seguito
alle distruzioni suddette, Orvinio è rimasto completamente isolato sia dalla
parte della via Salaria e sia dalla Tiburtina Valeria.
Mentre gli
abitanti dei centri vicinori hanno sofferto gravi danni, specie Licenza,
Percile e Poggio Moiano, gli edifici di Orvinio si sono slvati miracolosamente.
Non un solo
fabbricato è stato distrutto o danneggaiato seriamente, non ostane che il
Castello, il palazzo Morelli, la casa Frezza e la casa Ricci fossero state
tempestivamente minate.
Stante la
precipitosa ritirata dei barbari, forse non hanno fatto in tempo ad appiccare
il fuoco alle miccie.
Si può pertanto
coscenziosamente escludere il Divino intervento della Madonna SS.ma di
Vallebona?
Mi viene
riferito che qualche giorno prima, Orvinio è stato visitato anche dal
Maresciallo del Reich tedesco Kesserling Comandante in Capo delle truppe
germaniche in Italia.(Roma è stata occupata dalla V Armata Americana e da
reparti di bersaglieri ed alpini italiani il giorno 4 giugno 1944).
Solo il Sommo
Iddio è stato testimone (e certamente sarà anche il Supremo Giudice
inesorabile) di civiltà a tutte le genti, commettendo un infinità di
fucilazioni, deportazioni anche in massa, saccheggi, distruzioni di interi
villaggi e città, vessazioni di ogni generee le più raffinate arti affinché le
atrocità fossero più terribili nonché atti di vera crudeltà effettuati con
cinismo ributtante non risparmiando
né donne, né bambini, né vecchi, né ammalati a letto e nemmeno suore e
sacerdoti.
Anche Orvinio
ha pagato di persona con due dei suoi figli migliori; due giovani certi Alessi
e Ragazzoni che inermi transitavano per istrada furono, senza motivo alcuno
fucilati.
Questo gli
Italiani debbono ponderare e ricordare.
8-9-10
settembre 1943
Mentre i
tedeschi con la forza e con l’inganno, si incaricavano di dissolvere il più
rapidamente possibile i resti del Glorioso se pur sfortunato Regio Esercito Italiano che dopo la
disfatta subita in Africa settentrionale,
era ancora forte di oltre trenta Divisioni, la stessa sorte era purtroppo riservata alle sei Divisioni
poste alla difesa di Roma.
Se si esclude
il valore dimostrato da qualche sparuto reparto in località e da Corpi diversi,
il peso (si può dire totale) fu sostenuto dalla sempre fedelissima ed invitta
non mai smentita Divisione “Granatieri di Sardegna” (già Guardia del Re) che
era stata scaglionata da Albano a
Fiumicino.
L’urto tremendo
avvenne nei paraggi della Città militare in località “Cecchignola” fuori Porta
S.Paolo e la lotta furibonda durò ininterrottamente circa 50 ore.
Il valore dei
granatieri fu superiore ad ogni elogio.
La superba
Divisione affrontò l’impari lotta con la forza di soli tremila uomini, senza
alcuna speranza, e dopo aver resistito oltre ogni umana possibilità di fronte
alle preponderanti forze tedesche armate fino ai denti e che facevano un fuoco
infernale, il giorno dieci , senza l’appoggio di bocche da fuoco, accerchiata
da numerosi carri armati, esaurite le munizioni epriva di viveri per mancanza di rifornimenti, essendosi
dimostrata inutile ogni ulteriore resistenza, soprafatta doveva, suo malgrado,
cedere.
Tempestivamente
però era stato provveduto a mettere in salvo le gloriosissime bandiere onuste
di gloria e cariche di medaglie al valore comprese quelle auree.
I Tedeschi
escogitarono ogni mezzo, dalle lusinghe alle minacce, per venire in possesso
dei gloriosissimi vessilli, ma non ci riuscirono.
Le perdite
subite dalla indomita Divisione sono stete spaventose e cioè 1550 unità (oltre
il 50%).
Queste cifre
bastano da sole a documentare l’alto valore e l’eroico comportamento dei baldi
Granatieri.
Sappiano gli
Italiani (lo ricordino e non lo dimentichino) che durente l’aspra lotta, i
Granatieri che cadevano prigionieri dei tedeschi, venivano da questi prima
spogliati, denudatie poi fucilati ed infine gettati nel fiume Tevere: Ogni
commento guasterebbe.
8 maggio
1945
Gli eserciti
alleati operanti in Italia, composti di truppe Americane (5° Armata), Inglesi
(8° Armata), Australiane, Brasiliane, Canadesi, Indiane, Sud Africane, Francesi
e Polacche oltre a sei Divisioni
del Regio Esercito Italiano ed al concorso della nostra Regia Aeronautica e
Regia Marina, alla fine di Aprile 1945 avevano ricacciati i barbari tedeschi
dalla Sicilia fino alla Pianura Padana.
La notte del 3
maggio 1945 nell’Italia del Nord ancora soggetta al tallone teutonico, avveniva
la simultanea sollevazione generale delle bande di Patrioti Italiani comandati
e diretti dal Generale Raffaele Cadorna che occupavano quasi per intero il
Piemonte, la Liguria, l’alta Emilia e buona parte della Lombardia e del Veneto,
nonché le principali città con la cattura
di molti repartoi tedeschi sorpresi dall’inspettata simultanea sollevazione.
Per talke
fatto i Comandi alleati a corsa veloce accorrevano in sostegno dei patrioti
Italiani ed occupavano fino al Passo del Brennero senza combattere ed il giorno
8 maggio 1945 si concludeva la campagna della cacciata dall’Italia dei barbari
tedeschi invasori in una sala del Palazzo Reale di caserta dove veniva firmato
l’atto di resa senza condizioni del Gruppo delle Armate teutoniche operanti in
Italia, in Austria meridionale e nella Bassa Baviera fino a Berdsgaden
(fortezza e rifugio du Adolfo Hitler.
Per tale
avvenimento vi sono stati tre giorni di festeggiamenti in tutto il mondo a
comincare dalla martoriata Londra che ha sofferto come poche altre citt°.
24
settembre 1947
In compagnia
del sig. Firmani, segretario del Municipio di Orvinio, ci siamo recati a Rieti
alla ricerca della campana della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Dopo il dovuto
permesso concessoci dal Segretario Capo di quel Municipio, abbiamo ispezionati
i locali del Teatro Civico, del Museo e della torre campanaria sovrastante la
facciata del Palazzo Comunale, ove si siupponeva fosse stata collocata.
Le ricerche
sono state coronate da pieno successo, perché il Sacro Bronzo è stato scovato
in un angolo remoto presso il palcoscenico del Teatro Vespasiano.
In un
colloquio concessoci dal Prof. Sacchetti Sanetti Sindaco di Rieti, questi ci ha
confermato che la campana di S. Maria del Piano di Orvinio, è effettivamente
quella che trovasi nei locali del Teatro Civico. La campana misura centimetri
ottanta di altezza, esclusa la corona che serve per fissarla al ceppo; il
diametro della bocca è uguale all’altezza cioè cm.80, spessore cent. Otto.
Nella parte
superiore esterna, in due righe poste tutt’ingiro si nota:

Fra Nucula e
Abba la Beata Vergine seduta con in grembo ilSanto Bambino poppante (che
riproduca la Madonna di Vallebona conosciuta fin da quel tempo?)
Più sotto un
albero di olivo con rami, foglie e radici.
Sotto la
parola Aquilanus si nota una aquila reale ad ali mezze aperte con corona a tre
palle in testa (forse simboleggia la città di Aquila).
Sotto il
quarto C della data di fusione un piccolo Crocefisso (circa otto centimetri) a
circa venti centimetri dalla cupola un festone di fiori ed angelica a quattro
ali equidistanti di circa cinque centimetri con festoni di fiori.
Tutto il resto
della superficie esterna è completamente liscio.
Il Munificio
di Orvinio ha già iniziate le relative pratiche presso le Superiore Autorità,
onde rientrare in possesso della
sua campana; speriamo che il nulla osta, da circa un secolo tanto agognato, non
si faccia troppo attendere affinché la bella campana, dalle elegantissime
linee, dopo un si lungo periodo di forzato silenzio, possa con la sua
squillante voce, placare il giusto risentimento di tutti gli Orviniensi per
l’immeritato affronto commesso nell’aprile del 1849 dal Preside di Rieti sig.
Raffaele Feoli.
Giugno 1948
(Vedere 1939)
La cancellata della fontana, dopo ese
sere stata
divelta e gettata a terra nei retrostanti locali dei pubblici lavatoi, è
rimasta colà per tutto il periodo
della guerra ed oltre.
Con lodevole
iniziativa, il Municipio di Orvinio, dopo averla fatta restaurare, la faceva
ricollocare al proprio posto,
degno corollario della monumentale fontana.
2 Giugno
1946
Giornata di
lutto nazionale e di vergogna per l’Italia.
La coalizione
dei partiti politici di estrema sinistra, capeggiati dai comunisti e dai
socialisti fusionisti, in unione ai partitini di azione e repubblicano storico,
ai quali si è aggiunto all’ultimo momento il partito della democrazia cristiana
che, (per essere in questo momento il partito più forte, porta il maggior peso
delle proprie gravi responsabilità) è stato imposto alla Nazione il referendum
istituzionale, affinché gli Italiani si pronunciassero, mediante il voto, se prferissero continuare e quindi
confermare se intendessero essere governati dal regime Monarchico, oppure
preferissero quello repubblicano.
Peraltro,
anziché attendere un periodo di maggior calma, affinché gli Italiani avessero
potuto dare il loro voto con maggiore ponderatezza e dopo matura riflessione,
si è invece stabilito a bella posta, di effettuarlo a poca distanza dalla fine
della tremenda guerra perduta, quando cioè gli animi erano esasperati per la
sconfitta immeritatamente subita, e tanti continuamente in tale stato, dalla
iniqua e perfida nonché falsissima propaganda, fatta abilmente dagli attivisti
degli stessi estremisti. Aggiungasi poi, che il Ministro degli Interni era un
certo ingegnere Romita socialista e fervente repubblicano che in combuttacon la
cricca estremista, ha manovrato a danno della Monarchia Sabauda in modo
palesemente sconcio e ributtante che
veramente è amata e
benvoluta dalla stragrande maggioranza degli Italiani degni di questo nome.
Hanno fatto
votare più volte la stessa persona in sezioni diverse, i morti i bambini,
annullate schede valide, accettate schede false, sostituzione di schede durante le votazioni e gli
scrutini, intimidazioni alle persone, lettere minatorie, sorvegliati gli
elettori alle cabine ed ingannati dove dovevano apporre la crocetta sulla
scheda; schede sottratte e distrutte (i fruttivendoli del mercato di Piazza
Vittorio Emanuele in Roma-ci è stato riferito da molti- hanno incartato la loro
merce con schede sottratte ai seggi), seggi ed urne violati col consenso di
agenti partigiani di Romita ecc ecc.
Sono stati
esclusi dal voto moltissimi ex fascisti, ex Senatori, gli Italiani della
Venezia Giulia, i prigionieri Italiani trattenuti fuori dell’Italia, gli
Italiani delle Isole del Dodecanneso, quelli rimasti nelle Colonie Italiane e
tutti gli Italiani all’estero, nonché quelli che trovavansi sulle navi in tutti
i mari del mondo, ben sapendo che il loro voto sarebbe andato difilato alla
Monarchia.
Non ostante
ciò, i comunicati radio che continuamente annunciavano l’andamento degli
scrutini in tutto il Regno, fin verso le ore 23, dicevano chiaramente che la
Monarchia era sempre in prevalenza sulla repubblica.
Poi per alcune
ore la radio ha taciuto; che cosa era avvenuto? E’ certo che sono stati
dati gli ordini…………………………………………………………………………………..
Annunciare il
seguente comunicato ufficiale e cioè:
Monarchia voti 10.719.284
Repubblica voti 12.717.923
Voti nulli 1.498.136.
Questi i dati
ufficiali fatti su misura in un simile referendum!!!
Sappiano i
posteri che così è nato questo mostriciattolo di repubblica così detta di Masaniello.
Ci auguriamo
invece che, fra non molto, possa indirsi un nuovo referendum con liberissime
elezioni; sono certo che allora gli Italiani sapranno dare una giusta risposta,
in riparazione dll’onta subita coercitivamente nel nefasto 2 giugno 1946.
Qusto non per
una idea, ma solo nell’interesse di tutta l’Italia che adora, come sempre, Casa
Savoia e non dimentica che non avremmo mai avuta l’Italia unita se la Monarchia
Sbauda, al principio del secolo scorso, non avesse raccolto il grido di dolore
di tutti gli Italiani oppressi dal giogo dei vari staterelli che pullulavano
nella nostra martoriata penisola.
Si tenga
sempre ben presente che la Monarchia ci unisce dalle Alpi al Lilibeo, mentre la
Repubblica ci divide.
8 Dicembre
1949
(vedere 1939 –
16.7.1941 e giugno 1948)
Come è stato
provveduto a rimettere a posto la cancellata nella fontana monumentale in via
Roma, così è stato provveduto a riavere dallo Stato delle fusioni in bronzo
titolato, identiche per forma e peso a quelle requisite il 10.7.1941.
La benedizione
dei sacri bronzi, prima di essere ricollocati al posto dove furono tolti, è
avvenuto oggi stesso nella piazzetta antistante la Chiesa di S. Maria dei
Raccomandati.
Il battesimo
della campana che le è stato imposto il nome dell’Angelus è stato impartito dal
parroco di Orvinio Mons. Sarrocco don Salvatore; madrina è stata Suor Anna
delle Figlie della Croce, Superiora del Convento di Orvinio. E’ stata
ricollocata sulla sua torretta alle ore 12 del 17.12.1949 parlando per la prima
volta con la sua bronzea voce, alla popolazione di Orvinio che attendeva
ansiosa.
La nuova campana pesa Kg.94; nella parte esterna, alcentro è riprodotta l’effigie della Madonna SS.ma dei Raccomandati che sormonta l’Altare Maggiore della prossima Chiesa omonima, con sotto la scritta della vecchia campana requisita e cioè AVE MARIA GRAZIA PLENA A.D. MDCVIII.
La nuova campana pesa Kg.94; nella parte esterna, alcentro è riprodotta l’effigie della Madonna SS.ma dei Raccomandati che sormonta l’Altare Maggiore della prossima Chiesa omonima, con sotto la scritta della vecchia campana requisita e cioè AVE MARIA GRAZIA PLENA A.D. MDCVIII.
In alto verso
la cupola della stessa cinque teste di cherubini alati con festoni.
In basso
presso la bocca si legge:
ABLATUM
TEMPORE BELLI A.D.MCMXL –MCMXLV –RESTITUTUM PUBLICO SUMPTU A.D. MCMIL (cioè
1949)
Qualche giorno
dopo sono stati messi a posto anche i nuovi timpani dell’orologio sovrastante a
Porta Romana.
21 Novembre
1949
Il Municipio
di Orvinio con ordinanza n.59 del 21.11.49 a firma del sindaco dott. Valentino
Tani ha ingiunto alla popolazione di provvedere entro dieci giorni alla
rimozione delle salme, sepolte entro la Chiesa di S.Maria del Piano e tumularle
nel nuovo Camposanto in voc. Petriane nelle rispettive tombe di famiglia,
trascorso detto termine il Comune ha provveduto a proprie spese a trasportare
tutte le ossa entro l’ossario comune nel nuovo Camposanto. Provvedimento
meritorio.
Luglio 1951
La ditta F.lli
Lorioli di Milano ha coniate diecimila medaglie da diciotto millimetri di
diametro in onore della Madonna SS.ma di Vallebona con la scritta “Madonna
SS.ma di Vallebona” mentre sul rovescio è riprodotto il monte di Vallebona con
il sovrastante celebre Santuario e la grande torre nel prossimo orto
dell’eremita con la leggenda “Santuario di Vallebona – Orvinio”.
Per averne
qualche esemplare occorre rivolgersi al Parroco di Orvinio mediante una libera
offerta a beneficio del Santuario stesso.
Estate 1951
e seguenti
Per allargare
di alcuni metri il viale Roma dalla Piazza Garibaldi al piazzale antistante la
Chiesa di S.Giacomo, è stato effettuato il taglio del monte e con il materiale
di risulta si è colmata la conca delle Canapine (ex cava di argilla per le
prossime antiche fornaci di laterizi) contigue al viale Roma; con tali
movimenti di terra ne è risultato un immenso piazzale molto comodo per
effettuarci delle partite di calcio, per effettuarvi la trebbiatura del grano e
per il riposo dei numerosi villeggianti.
Nello stesso
periodo sono stati rinnovati i selciati con le relative cordonate nell’intera
Salita del Borgo, della cordonata che immette dal Corso Vanenti alla Porta
dell’Arco e riattamento della maggior parte delle strade e piazze dei Rioni
Casalino, Torricello e S.Giacomo, nonché la sistemazione del viale della
Passeggiata con speciale riferimento al Torrione; però, a mio parere, il lavoro
non è stato eseguito a regola d’arte e certamente i nuovi selciati resisteranno
breve tempo, al confronto di quelli disfatti, che hanno funzionato egregiamente
per un periodo ultra secolare.
Sempre nello
stesso periodo di tempo è stato rabberciato il muro di sostegno del Piazzaletto
antistante la Chiesa di S.Maria dei Raccomandati; peraltro mentre prima del
muro di sostegno non esisteva alcun ripro, ora sono stati eretti all’ingiro
alcuni pilastri in pietra collegati da canne metalliche a coronamento di tutta
l’estensione del muro di sostegno stesso.
1 gennaio
1951
Sono stati
avulsi dal Mandamento di Orvinio ed aggregati a quello di Rieti i seguenti
Comuni con le rispettive frazioni:
-
Collalto
-
Collegiove
-
Marcetelli
-
Nespolo
-
Paganico
solo per la
Giurisdizione degli Uffici finanziari e cioè Agenzia delle Imposte Dirette ed
Ufficio del Registro, mentre per quella della Pretura, appartengono sempre a
quella di Orvinio.
18-22
febbraio 1953
Da testimoni
oculari ho appreso i particolari del crollo totale dell’intera facciata
principale della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Il 18 febbraio
1953 inaspettatamente è crollata la parte anteriore del muro della zona
superiore comprendente le opere d’arte della facciata stessa e cioè il
coronamento del timpano, il rosone, la finestra, le due lesene con i rispettivi
capitelli corinzi ed i sei archetti con le due lapidi.
Verso le ore
11 delòla successiva domenica 22 febbraio, con grande fragore improvvisamente
rovinava il resto della facciata, fino alle fondamenta, compreso il portale;
rinuncio a descrivere il miserando spettacolo che si è presentato ai miei occhi
allorché mi sono recato a vedere……………………………………………………………………………
……..Lazio in Piazza S.Ignazio
informandola del disastro capitato a S.Maria del Piano; infatti una commissione
di ingegneri della stessa Sovrintendenza da me sollecitati, effettuava il 10
marzo 1953 un sopraluogo, redigendo un’ampia relazione per il superiore
Ministero della Pubblica Istruzione.
Il 17 marzo
1953 riunione nel palazzo comunale di Orvinio dei rappresentanti della suddetta sovrintendenza,
dell’Intendenza di Finanza di Rieti e del sindaco di Orvinio professore
Goffredo Liguori per concordare la
cessione gratuita di tutto il complesso di S.Maria del Piano, dal Comune di
Orvinio verso lo Stato Italiano, giusta Deliberazione n.4 del 30 aprile 1953
del Consiglio Comunale di Orvinio, debitamente approvata dalla Autorità
Tutoria; in detta Deliberazione il Comune di Orvinio ha posto a suo carico le
spese di registrazione dell’atto di cessione.
Nel frattempo,
in seguito al mio personale interessamento, avendo ottenuto dalla Direzione
Generale delle Antichità e Belle Arti presso il Ministro della Pubblica
Istruzione, un primo stanziamento di fondi sl bilancio 1953 di detto Ministero,
nella misura di cinque milioni di lire, ai primi di giugno 1953 infatti si
soino iniziati i tanto sipirati lavori di restauro cominciando dalla torre(
vedi fig.22 e 23 a pag.62 A) campanaria .
I lavori
saranno lunghi e pazienti e speriamo di vedere presto l’opera compiuta in modo
che la bella e importantissima Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano, vanto di
Orvinio e dell’intera Sabina, torni a splendere quale fulgida gemma, del suo
antico splendore.

S. Maria del Piano dopo il crollo della facciata della
Chiesa avvenuto il 18 e 22 febbraio 1953.

S. Maria del Piano dopo il crollo


Giugno 1953 – Inizio dei lavori di restauro della torre
Campanaria di S. Maria del Piano
L’Osservatore Romano
– 24 Dicembre 1954
Il restauro al campanile di S. Maria del Piano in
Orvinio
Vuole la tradizione che il complesso abbaziale di S. Maria
del Piano nei pressi di Orvinio sia stato eretto dall’imperatore Carlo Magno in
segno di gratitudine alla Vergine per avere riportato in quei luoghi una eccezionale vittoria sui Saraceni nella marcia da Ancona
verso Roma dove lo attendeva la solenne incoronazione in S. Pietro. Pur
prestando alcuna fede a quanto
narra la leggenda fiorita in una regione che pur vede nella sua storia l’apparizione dei Franchi, non si può fare a
meno di constatare elementi ed
esemplari stilistici nella costruzione dell’abbazia, che di molto si avvicinano al periodo
approssimativo narrato nella leggenda e fanno datare almeno in parte l’abbazia
e la chiesa con la torre
campanaria ad età anteriore al l’XI secolo.
Comunque il primo documento riguardante S.Maria del Piano,
risale al 1015 e ricorda come dei magnati del luogo donarono a Farfa un
territorio della Sabina “in loco qui nominatur ad illa plana, ubi est
aedificata ecclesia vocabulo Sancta Maria”.
L’importanza dell’abbazia toccò il punto massimo nel pieno
medioevo e quindi cominciò a declinare, subito dopo il Rinascimento di grado in
grado finché fu abbandonata e, nel 1869, ceduta al Comune di Orvinio, che vi
crò un piccolo cimitero.
Attraverso vari secoli di completo abbandono la stuttura
muraria dei tre nuclei subì ingenti danni che culminarono mesi or sono con il
crollo in due tempi della facciata della Chiesa bellissima nello stile romanico
abruzzese con la monofora istoriata sottostante al rosone e con il portale
quattrocentesco sovrapposto in un secondo tempo allo stile iniziale.
Negli ultimi tempi l’unico elemento che conservava una certa
integrità era il campanile. Lesioni longitudinali per tutta la sua altezza ne
insidiavano la stabilità e fecero decidere il prof. Ceschi, Soprintendente ai
Monumenti del Lazio, ad iniziare il restauro del superstite avanzo di quella
che fu una potente e ricca abbazia.
La direzione del lavoro venne affidata all’ing. Giovanni di
Geso. Dopo aver liberato la base del campanile dalla folta vegetazione
selvatica abbarbicata alle mura e dopo aver raccolto e selezionato il materiale
giacente all’intorno e caduto dalla torre stessa, si approntò un robusto ponte
di servizio, tutto intorno al perimetro del campanile ed avente funzione ,
insieme a sei cerchiture in ferro
alternate fino alla sommità della costruzione , di sostegni di sicurezza nel
caso di eventuali movimenti di assestamento del campanile.
Tali mosse di assestamento si temettero allorché fu liberato
l’interno della torre dal materiale e dai detriti della copertura e a maggior
sicurezza furono operate nell’interno sbadacciature in considerazione anche
della totale polverizzazione della malta fra i conci e quindi della conseguente
maggiorata sensibilità dei muri a pressioni esterne ed interne. Fu ripresa poi
l’opera muraria dei quattro piloni del campanile, due dei quali presentavano un
notevole fuori piombo. Nel delicato lavoro fu impiegato tutto il materiale originale rinvenuto ai piedi
della torre campanaria e rappresentato nella sua gran parte da mattonati e conci romani, alcuni dei quali
recanti incise scritture indubbiamente facenti parte di antiche lapidi scolpite
nel periodo romano.
Successivamente si provvide a disostruire le aperture del
campanile, le bifore e le trifore, ricollocando al proprio posto le originali
colonnine e i capitelli rinvenuti nel materiale caduto e accumulatosi a
terra e a ricostruire il tetto
completanmente mancante, a quattro pioventi, interpretando l’andamento di tutto
lo stile. In questo modo nel novembre 1954 si pose termine al restauro del
campanile iniziato nel giugno del 1953, ridonando allo antico monumento le
suggestive caratteristiche proprie della sua epoca.
Della secolare abbazia benedettina, al di fuori del
campanile non rimane che un
insieme di mura decrepite e in rovina nell’insieme del quale a stento si rintracciano i fondamentali motivi
architettonici. La torre campanaria restaurata e rinnovata innalòza i suoi
contorni precisi che si stagliano, alla base, sull’incerto biancore delle rovine.
E l’antica abbazia
attende che anche per lei giunga il giorno della miracolosa resurrezione
per poter ridonare al campanile la completezza originaria e per poter ancora per molti decenni tramandare
ai posteri la tradizione che è metà storia e metà leggenda del re dei Franchi,
Carlo Magno.
Allegati
Una copia del manifesto originale dei festeggiamenti
dell’insigne pittore cav. Vincenzo Vanenti nel III Centenario della sua nascita
e riprodotto in fotografia (fig.3 a pag.25°)
Una copia del Bollettino d’Arte delò Ministero della
Pubblica Istruzione (anno V Fascicolo XI 30 novembre 1911) dove è riprodotto un
bellissimo articolo corredato di parecchie fotografie circa la Chiesa ed
Abbazia di S.Maria del Piano ad opera del Prof.Lorenzo Fiocca.
Una copia della Rivista Mensile “Latina Gens” anno XIV n.3
marzo 1936 XIV) con un articolo di Orette Tarquinio Locchi su “Orvinio e il suo
Castello”
Una copia della Rivista mensile “Latina Gens “anno XVII
n.1-2 gennaio – Febbraio 1939 XVII) con un articolo dello scrivente sulla
“Chiesa ed Abbazia di S.Maria delk Piano in Orvinio”
Manoscritto d’ignoto descritto a pag.2.
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