21 ottobre 2014

ORVINIO SABINO di Roberto Donati - Notizie storiche- Roma 1984




“Orvinium”, secondo Marco Terenzio Marrone Reatino (1), era una città Aborigena, e di questa remota città, divenuta poi sabina, Marrone ne ricorda “la sua ampiezza e nobiltà di cui ancora oggi si vedono i fondamenti delle sue muraglia, i sepolcri di antica costruzione con i loro recinti sulle alture dei colli, ed un tempio molto antico di Minerva nella sua rocca…” (2).
L’attuale Orvinio, sempre secondo alcuni scrittori di cose sabine, sembrerebbe non fosse quella ricordata da M.T.Varone Reatino (3).
Il paesello di Orvinio, nel Medio Evo, era denominato “Canemorto” e lo si disse fino all’anno 1863, anno in cui cambiò nome con quello attuale di “Orvinio”.
Questo remoto castello sabino con il territorio circostante per lungo tempo appartenente al Monastero di Farfa, e le carte di questo cenobio benedettino così ne parlano: “….Oderisius comes filius Berardi comitis, et Berardus et Oderisius filii Rainaldi, una cum uxoribus suis, concesserunt et vendiderunt in hoc monastero et domo Berardo abbati res sua set castellum in Oppiano quod dicitur Montalianum, cuius mediatas est de monastero Sancti Iohannis in monte Sancti Iohannis, unde receperunt pretium librarum.C.; medietatem autem suprascripti monasterii et quod sepervalet ipsa suprascripta res pro animabus sui set parentum quorum in hoc monastero; quorum rerum fines sunt: de uno latere res comitum Marsicanorum et filiorum Arimanni, de secondo latere res filiorum Teodoldi et filiorum Attonis, a terbio latere Paganicum (Paganico Sabino) quos est res filiorum Guidonis, a quarto latere rivus qui venit a CANE MORTUO quomodo veniunt in rivum Sancti Martini, et res filiorum Senebaldi comitis….” (4).
Nel 1084, “Herbeus filius Todini concessit huic monastero et domo Berardo abbati (1047-1089) suam portionem de castello Petra Demonis, et de Scandrilia, et de Cerreto Malo (cerdomare), et de castello Sancti Angeli, isest Caput Farfe, et de ecclesia Sancti Salvatoris in Scandrilia, et Sancte Crucis, et Sancti Iohannis. Harum autem omnium rerum fines sunt: a primo latere Cripta Fornicaria pergentes in roccam Senebaldi in Turano, et inde in Puzaliam (Pozzaglia Sabina) et in Canem Mortuum (Orvinio), et in Porcili (percile), et in Macclam Felcosam, et in Montem Aureum (Montorio in Valle) et in Ponticellum (Ponticelli Sabino), et in Vicum Novum (Vico Novo, oggi l’Osteria Nuova), et in Frassum, et in Rivum Nigrum, et in suprascripta Fornicariam…”(5)
Fra gli anni 1089-1090, sempre il conte Herbeus, fece conferma a Farfa e al nuovo abate Berardo II (1090-1099) delle sue donazioni fatte già nell’anno 1084 all’abate Berardo I (6).
Come già detto in precedenza, durante il Medioevo il castello di Orvinio si disse Canemorto ed il suo territorio lo si chiamò “Malasorte” proprio perché su queste terre i Longobardi ebbero in una tremenda battaglia, una pesante sconfitta contro le truppe di Carlo Magno; da quel giorno tutta la zona fu ricordata (come in molti documenti di Farfa) Malasorte.
Sulla etimologia della parola si sono fatte delle strane congetture; una tradizione dice che il castello di Orvinio un tempo fosse stato sottomesso da un crudele barone; alla morte di questi, la popolazione avrebbe gridato più volte: il cane è morto, il cane è morto!
Un’altra leggenda dice che in questo paese un cane idrofobo avrebbe morso a molte persone ed avrebbe procurato la morte a parecchie di esse.
Orvinio, dopo il lungo periodo di dominio Farfense divenne un feudo importante dei monaci benedettini di Santa Maria Assunta in Cielo denominata anche di Pozzaglia o del Piano; fu poi della famiglia Orsini e da questi passò alla famiglia Muti. Molto più tardi divenne dei Borghese col titolo di Ducato.
Circa la fondazione del Monastero di Santa Maria di Pozzaglia o del Piano, secondo la tradizione, sembra che questa interessante chiesa (oggi monumento nazionale), fosse stata innalzata da Carlo Magno, dopo la vittoria riportata sui Longobardi, per ringraziare la Beata Vergine dello scampato pericolo. In origine la Chiesa ( che poi divenne Abbazia) era detta di Pozzaglia, in quanto posta sul territorio di questo remoto castello, poi fu detta del Piano, dal luogo dove era stata innalzata. Di certo sappiamo che la chiesa  coll’andare del tempo venne più volte restaurata; fu abbazia benedettina ed il papa Leone X la elevò a “commenda”; i monaci di S. Benedetto vi abitarono fino al periodo dell’invasione francese dei primi del 1800. Durante il periodo dello Stato Pontificio, Orvinio, fu sede del Governatore e, nel 1841, fu alle dipendenze del Vescovo di Tivoli, divenendo poi (anno 1861) “Capoluogo di Mandamento per il Circondario di Rieti”. (7)

ACTA S. VISITATIONIS CANIS MORTUI (Orvinio)

Un volume di pag. 648 (37 F. n.2379) con in fondo l’autentica del sestili notaio di Mompeo, in data 19 ottobre 1790. Il Cardinale – proveniente dalla Badia di San Salvatore Maggiore – vi giunse il 3 novembre 1781, ospite del sign. Agostino Posterla (8).
Sul territorio di Orvinio furono erette ben cinque chiese : la chiesa di San Nicola di Bari, quella di San Giovanni Battista, poi quella di Santa Maria in Valtona, San Giacomo e Santa Maria dei Raccomandati del 1500.
L’interessante chiesa di Santa Maria dei Raccomandati, della metà del 1500 fu eretta originariamente come convento francescano; all’interno di essa, “a sinistra dall’entrata principale, nell’altare di San Francesco, vi si nota un bell’affresco che rappresenta San Francesco d’Assisi nell’atto di ricevere le stimmate circondato da Santi.
L’affresco è del pittore Vincenzo Manenti di Orvinio: la figura a sinistra, vestita da pontefice, è il ritratto dello stesso pittore Manenti, ai lati, nei riquadri, vi sono rappresentate le virtù Cardinali e Teologali. Sempre a sinistra c’è una bella cappella tutta affrescata dallo stesso Vincenzo Manenti.
Vi è rappresentata da una parte, uno Sposalizio, molto interessante per i costumi dell’epoca che vengono riprodotti molto fedelmente. Dalla parte opposta, c’è raffigurato san Rocco dinanzi al quale, in ginocchio c’è un abitante di Orvinio. Nel lato destro della Chiesa nella cappella di Sant’ Antonio di Padova, in otto tondi ci sono ritratti di persone appartenenti alla famiglia Basilici. Molto interessante è una grande ovale seicentesca, nella quale è rappresntato S. Andrea.
Sull’altare maggiore di questa bella chiesa, c’è la Madonna dei Raccomandati, lavoro notevole della fine del 1500 che presenta però parecchi rifacimenti.
Sull’altare del Santo Rosario c’è una bella tela seicentesca di scuola romana, rappresentante la Vergine del Rosario. Questa Chiesa, un tempo convento francescano, vi risiedeva la Confraternita del Gonfalone aggregata alla Misericordia di Roma” (9)
Per completare lo studio su questo remoto convento francescano di Orvinio, riportiamo per intero l’interessante descrizione fatta dai RR.PP.B.Theuli e A. Coccia.

CONVENTO DI CANEMORTO

Il convento di Canemorto è sotto il titolo di Santa Maria dei Raccomandati, fuori della Terra, congiunto alle mura di essa. Era ospedale, fu dato alla Religione e per essa al PF. Massimo Pirchio da Borhetoo, diocesi di Civita Ducale. Ma poiché spettava al Vescovo Cardinale Sabinense a prestarvi il consenso, fu necessario ricorrere alla di lui benignità per ottenerlo. Il quale s’ottenne nel 1582 dal sig. Alessandro Lana, vicario generale dell’eminentissimo card. Gravellano Vescovo Sabinense, come appare dal Breve che comincia: “Reverend. In Cristo Patribus Ministro Generali Ord. S, Francisci Conventualium, Provinciali Urbis ac Custodi seu Guardiano et Patribus nunc existentibus in Ecclesia Sanctae marine de Raccomandati extra Castrum Canis Mortui, Sabinensis Diocesis, Salutem in Domino sempiternam. Pro parte vestra nobis ex positum fuit, quo dalia annis elapsis Comunitas, et homines dicti Castri etc. Datum Romae ex Aedibus nostrae residentiae sub an. 1582. 9 Nov. Praesentib. DD Nicolao Scaglioni Canonico Sabinensi et Dominico Gomez Canonico Turelen”.
Registrato dal notaio Porfirio Corsetto di Aspra ( Casperia Sabina), il quale registra ancora la concessione e la facoltà data al detto Vicario dallo stesso eminentissimo di conferire e concedere Benefici, Cure, Chiese, Collegiate ed altre cose del Vescovato a chi gli pareva, sotto l’ultimo di Maggio 1579.
Con questa facoltà ed in vigore del Breve se ne pigliò di nuovo possesso per mezzo della comunità il 15 dicembre dello stesso anno, il che appare  dall’infrascritto strumento: “ In Dei nomine Amen. Anno, Indictione et Pontificatu retroscriptis, cioè millesimo quingentesimo otuagesimo secondo, Indictione X, Pontificatus Sanctiss. D.N. Gregorii Pp. XIII, anno undecimo, die vero 15 Decembris. Ego Dominicus de Fabris de Canemortuo pubblicus Apostolica auctoritate Notarius etc. vigore retroscriptum Literarum requisitus a R.P.F. Maximo Picchio de Burghetto Civitatis Ducalis in Regno Neapolitano Religionis Conventualium S. Francisci me una cum Marco Antonio Tiberii, Matthaeo Francisci et Marco Francursii, maxariis, ac testibus infrascriptis personaliter contuli ad Ecclesiam S. Marine de Raccomandatis sitam extra Castrum Canis Mortui praedicti et aperta ianua dictae Ecclesiae tum domorum ipsius adiunctarum, eundem F. Patrem introducendo, et genuflesso, facta debita adoratione ad Altare, ut decet, ipsus nomine et pro sacra Religione S.  Francisci Conventualium etc. praesentibus etc.”. Le quali scritture in un sol foglio di carta pergamena si conservano nel nostro convento. Si pigliò quindo il possesso nn solamente della chiesa, ma ancora di alcuni beni stabili a quella annessi.
La chiesa è grande, bell, con organo, ben  tenuta. Vi è una immagine antica della Madonna sotto il nome dei Raccomandati, la cui festa si celebra il giorno dell’Assunzione di Nostra Signora. Dietro l’altare maggiore vi sta una cappella, abbellita dai signori Muti (10) con la loro sepoltura, nella quale vi sono seppelliti alcuni di questa nobile famiglia, per essere stati Duchi di questo Castello e di tutta la Valle Mutia.
Nell’entrare in Chiesa vi sono, una per parte, nel muro le due seguenti memorie in marmo:
D. O. M.
P. PAULO I.V.C. EX NOB. IACOBI FAM.
GALL. LUGDUNEN. ORIUNDO C.
ROMANO OB SINGULAREM EIUS IN REBUS AGENDIS
DEXTEBINATEM, ANIMIQ.
INTEGRITATEM, AC FIDEM PRINCIPIBUS
VIRIS PRAECIIPUE VERO
MUTIORUM FAM. SUMME CARO
IACOBUS MUTIUS CAROLI F: VALL.
MUT. DUX. II. BENEVOLENTIAE ERGO P.C.
OBIIT A.D.M. DC. VII. XIII KAL. SEPT.
VIXIT. ANN. LV.



D . O . M.
PETRO FUSCHETTO SS. MAUR. ET LAZ.
EQUITI OB MERITA IN EUM ORDINEM
COMMENDA DNATO, SPECTATAE
BELGICO BELLO VIRTUTIS
IACOBUS MUTIUS VALLIS MUTIAE DUX II
QUOD INCOMPARABILI FIDE, COSTANTIAQ.
ANNOS XL. FAMILIARITATEM
EGERIT QUA CAROLO PATRI
CLASSIS SABAUDIAE PRAEFECTO EGREGIAM
OPERAM NAVAVIT, QUA SIBI
GENEVENSI BELLO, DOMIQ. OFFICIO
AFFECTU, CONSILIO, PIETATE SATISFECIT.
VIXIT AN. LXVI. DECESSIT DIE XXVIII
IANU. M.DC.VIII.

Questo luogo è piccolo,  senza chiostro, povero. Sta però in un bel sito, godendosi in esso la veduta di tutta la Valle Mutia, e di tutte le terre e castelli delle sue colline. Non vi sono stati Padri Graduati solamente il P. Fra  Francesco Zoppi, cantore buono, che è stato Vicario per molti anni nei conventi di Firenze e di Assisi; e vivente vi è il P Fra Domenico suddetto.
Il convento, soppresso da papa Innocenzo X, fu, in seguito alle pressioni della popolazione, riaperto. Questa era affezionata ai Religiosi nei quali trovava il conforto nelle sue amarezze, il consiglio nei suoi dubbi, i Padri amorevoli, sempre pronti nell’amministrazione dei SS. Sacramenti. Perciò diffusasi la voce della soppressione, si preoccupa della perdita di tanti benefici spirituali e implora  che non venga soppresso:” La Comunità di Canemorto in Sabina….umilmente espone  che per la soppressione “da farsi” del Convento di Santa Maria de’ Raccomandati di detto luogo resta la povera Terra senza devozione alcuna, che per l’assistenza  in quello de’ Padri Minori Conventuali di San Francesco viene servita di confessori, SS.mi Sacramenti, Uffici divini et altri esercizi spirituali….” (11). Avvenuta la soppressione scrivono altre lettere, affinché gli Ufficiali della S. Congregazione “ si degnino siano reintegrati detti Padri Conventuali” (12).
Però con i beni della Chiesa era stato costituito un beneficio e non appena restò vacante, persa la speranza del ritorno dei Conventuali, la popolazione pensò ad avere i Padri Dottrinari: “Gli uomini detta terra di Canemorto, diocesi di Sabina, umilmente ai piedi della Santità Vostra “espone che la Chiesa di Vallebona è ridotta a beneficio semplice” e “ quella di S. Maria  dei Raccomandati, conventino soppresso dalla bolla della s. memoria d’Innocenzo X, ridotta parimenti in beneficio semplice….e perché hora tutti e due i benefici di libera collazione dell’Ordinario vacano, La Comunità desideraria che fossero in qualche stabile forma conceduti ai frati della Dottrina Cristiana….” (13).
Ma i religiosi volevano ritornare , alcune persone avevano fatte  delle donazioni ed il Procuratore Generale lo aveva messo in lista :” Canemorto, Sabina. Entrata scudi 93, è solo. Nuovi acquisti per donazione scudi 33” (14). Con tali premesse la riapertura doveva avvenire , e di fatto avvenne . Il 14 novembre 1669, dietro una reiterata supplica della popolazione che mancava di assistenza religiosa, con decreto di Innocenzo XI, viene ordinato che il soppresso convento “ad pristinum statum regularem esse reducendum ac Religioni restituendum una cum eius bonis, redditibus….non ostante decreto edito die 17 iunii 1653…..ita tamen ut in eodem convento in posterum degant de famiglia sex saltem religiosi quorum quatuor ad minus sint sacerdotes” (15)
Tornati i religiosi vi restarono fino al 1809 nel qual anno fu eletto superiore  l P. Antonio Clark di Corneto, che però non fu confermato. All’infuori della serie dei superiori che troviamo negli atti dei  Capitoli, abbiamo poche notizie. Il 10 ottobre 1693 viene aggregato Fr. Bartolomeo Ciancarelli (16). Nel 1754 vi troviamo il P. Filippoantonio, che passò al convento di Vicovaro e nel 1771 il P. Nicolò Ottaviani, zio e direttore di Angela e Teresa da Ponzano, orfane di padre e di madre, che abitavano in Canemorto nella Valle Mutia (17). Vi fu figlio il P.M. Angelo Cagnacci, che nel 1773 passò al Convento di Orvieto (18).
Avvenuta la soppressione napoleonica, i nostri religiosi non vi tornarono più. Nella visita apostolica del 1660 leggiamo che la chiesa è “extra terram et prope eam”, che nel mezzo dell’altare maggiore “adest devotissimamimago B.MV. super muro”, che vi erano anche gli altari di S, Biagio, S Francesco e del Rosario. Il rettore della chiesa, essendo soppresso il convento, era allora il reverendo Don Flavio de Fabris di Canemorto. Nell’altare maggiore era eretta la Confraternita SS. Gonfalonis quae utitur saccis et aggregata est Confraternitati S. Luciae de Urbe. La chiesa, si diceva ancora “constat una navi” ed il piccolo convento “quatuor cellis” (19). Naturalmente in seguito dovette essere ampliato per poter ospitare almeno sei Padri, ed ora è occupato dall’Istituto Figlie della Croce. La chiesa è in bella posizione, a sinistra di chi entra in Orvinio (oggi così si chiama) venendo da Vicovaro.
E’ piccola ma graziosa. E’ aperta al culto e vi si celebrano ancora le feste francescane, in particolare quella di S. Antonio di Padova. Essendo pericolante quando la visitai, il 5 luglio 1966, insieme al sig. Osvaldo, la stavano restaurando. Ha quattro altari, oltre quello maggiore, che erano coperti a causa dei restauri. Ben visibile era però la cappella di San Antonio di Padova con diversi affreschi”(20).
Tornando a parlare della altre chiese di Orvinio, ricorderemo ancora una volta quella dedicata a San Nicola di Bari, che fu consacrata il 31 marzo dell’anno 1536 dal vescovo Lorenzo Santorelli e che, oltre ad essere parrocchia, era anche Vicaria dell’Abbazia di S. Maria di Pozzaglia, o del Piano. Quest’ultima era la chiesa più importante di Orvinio, ed oggi purtroppo ne rimangono gli avanzi che meriterebbero di essere sottratti, in qualche modo, all’azione sempre più deleteria del tempo, ed anche a possibili sottrazioni, essendo la chiesa distante da Orvinio e, per di più, in aperta campagna, a ben due chilometri di distanza.
La fondazione di S. Maria del Piano ha una origine molto antica e sembra risalire – oltre che al tempo di Carlo Magno – più sicuramente al secolo XI. La sua importanza si denota anche dalla ricchezza della costruzione e della eleganza dei particolari architettonici.
Una data sicura, circa questa chiesa la si trova in una iscrizione posta nella facciata, nella nicchia di un archetto; essa così dice:

“Bartothomeus hoc op. fieri fecit 1219”

Forse si vuole richiamare ad un restauro. Certo che, a cominciare dalla facciata, diverse sono le epoche degli elementi che la compongono e vanno, dal secolo XI al secolo XV compreso. La facciata stessa, rifatta senza un logico nesso, ci può dare un bell’esempio di elementi di varie epoche, a cominciare dal bel rosone, alla finestra romanica sottostante sovrastata da un cappello ad arco a ghiere concentriche, che poggia su due mensole formate da due aquile. La cornice che circonda la finestra è con decorazioni geometriche e bassorilievo e, nel davanzale, vi sono figure di animali. Interessanti sono gli archetti, interrotti in più punti da lesene, alcune delle quali, sormontate da artistici capitelli.
L’attuale porta è quattrocentesca e, sicuramente, sostituisce l’originale.
La nave centrale della chiesa ancora si vede terminare con abside semicircolare e sembra fosse coperta a travatura. Alle due parti del transetto che sono invece con volta a crociera, si accede a mezzo di due magnifici arconi rinforzati, costruiti in bella pietra e poggianti su forti semi-colonne che sono a loro volta addossate ai muri maestri. Certo è che questi grandi archi, la loro ubicazione, la forma dei capitelli, fanno un po’ pensare, essendo essi elementi, riferibili, non al secolo XI, al quale vogliamo far risalire la fondazione della chiesa, ma, a molto prima, e cioè, verso il VII e l’VIII secolo. Ciò darebbe un certo fondamento alla tradizione. La chiesa prendeva luce da quattro finestre  per lato, allungate a sesto romanico, con leggera strombatura, solamente esterna. A destra si eleva bellissima, ancora, la torre campanaria che ha, nei diversi rigioni, finestre monofore, bifore e trifore.
Queste ultime sono decorate da belle colonnine in pietra bianca e sono inquadrate elegantemente  in un incasso rettangolare formate dalle stesse pietre che costituiscono la parete del campanile. Frammenti di iscrizione, fregi, di trabeazione con metope e triglifi, o con altri elementi decorativi, di classifica fattura, sono incastonati qua e là nel campanile stesso.
Non in migliori condizioni si trovano i resti dell’annessa abbazia ridotta, in parte, a cimitero (21).
In merito ai resti dell’antico castello di Petra Demone (22), il Biondi racconta che nel 1761, recatosi  sulla cima della montagna della “Moretta” tale Benedetto Taschetti di Orvinio, trovò, tra i ruderi del castello in parola, un grosso travertino con una iscrizione:

“……OVI CACUMO F.C.”

che il Biondi interpretò per :

“N.N. IOVI CACUNO FACIUND CURAVIT “

ritenendo ivi la possibile esistenza di un tempio a Giove sul “Cacumen”, vale a dire sulla cima della montagna” (23).

Si dice che Orvinio sia un paese fatto a scale; ebbene, noi riteniamo che ciò sia vero. Qui di seguito riportiamo un articoletto assai interessante su questo caratteristico paese della Sabina:

ORVINIO, UN PAESE TUTTO FATTO A SCALE

La particolare suggestione che emana dal piccolo centro abitato – Un nome suggerito dalle ipotesi archeologiche –
Storia da feudo minore

___________

Una strada allaccia la via Tiburtina alla Salaria, collegando, con lunghi saliscendi, la bella Vicovaro a quel tratto della vecchia via del sale dove esisteva la stazione di posta di Fiacchino; la zona che essa attraversa, e nella quale in epoca classica sorgevano residenze monumentali e ville, ha custodito quasi gelosamente caratteri di paesaggio e d’ambiente che scaturiscono dall’incrocio della decadenza romana  e della lunga stagnazione medioevale. E’ questo medioevo d’ambiente che colpisce con più forza  il visitatore attento: cioè, mentre in altre parti i vecchi borghi si condensano nelle strutture urbane, nei monumenti più significativi, ma ti dimostrano che nel loro stesso interno, o nella natura che li circonda, hanno operato, con più o meno vigore, gli elementi di una ulteriore e più moderna storia, qui invece ti trovi dentro una sorta di isola che ha conservato quasi inalterata la sua vecchiaia. Di qui la suggestione che esercita Orvinio: a cominciare dai monti brulli che la circondano, da dorsali di colli che sembrano staccati da un dipinto di tardo medioevo con quei tipici allineamenti d’alberi e disposizioni di culture, fino alle sequenze di macchie e rocce “selvagge” che squadrano il campo visivo mentre , in primo piano, prevalgono ancora gli animali da trasporto.
           L’interno non presenta monumenti di rilievo: la sistemazione seicentesca ha toccato in modo più evidente la porta d’ingresso, e la strada diritta che ne scaturisce dalle piccole case contigue che recano evidenti i segni d’una voluta omogeneità di stile. Di fronte alla porta, al lato opposto, si sale a scala verso un chiesa dalla facciata semplice ed equilibrata del cinquecento: nell’interno gli affreschi di Vincenzo Manenti (1600 – 1674) documentano l’opera pittorica di questo cittadino di Orvinio. Più sopra, una gran villa residenziale è il risultato attuale dei vari rimaneggiamenti subiti dagli impianti della parte superiore del paese.
           Ma il paese vero e proprio può offrire un vero motivo di interesse al visitatore, ed in particolare quando, finito il periodo di villeggiatura, l’agglomerato perde le sue sovrapposizioni estive e recupera la sua condizione normale. Le stradine sono un groviglio di scale a sghembo sulla dorsale del monte; sovente su di esse confluiscono le scale delle casupole, o quelle d’un ambiente con volte ad arco, sul quale si affacciano altre abitazioni. Qui le case sono staccate l’una dall’altra, quasi gli antichi costruttori se le siano fabbricate sulla misura delle loro limitate  esigenze familiari: inframezzate le mura a volte da un breve tratto di roccia, ben poco sviluppate in altezza, hanno finestrette piccole e contorno di pietra da dove un viso umano, se si sporge, pare un bassorilievo impiantato su una surreale cornice. E l’ambiente recita, ma istintivamente, la sua vicenda medievale, ed espone dalle porte aperte al vicolo i gesti tradizionali della vita quotidiana. Una vecchia vestita di nero staccia la farina sul suo tavolo, unica macchia chiara nella penombra del vano: una smagrita Penelope si tesse la sua tela con la pazienza di chi ripete un gesto appreso nell’infanzia.
            Orvinio deve il suo nome attuale all’ipotesi emessa da alcuni archeologi i quali ritennero che in questo luogo andava identificata l’ubicazione della città romana omonima; anche se l’ipotesi non sembra suffragata da argomenti del tutto persuasivi, questo nome tuttavia le venne assegnato nel 1860, e sostituì la precedente denominazione di Canemorto. Ma il suo entroterra storico, sul quale siamo poco informati, ci presenta questo singolare agglomerato umano come il borgo che dipendeva dalla vicina abbazia di Santa Maria del Piano: della quale abbazia resta visibile la chiesa, quel bell’edificio del dodicesimo secolo che col suo campanile romanico spicca isolato nel paesaggio. Poi, passata sotto il dominio feudale degli Orsini e dei Muti, ebbe il suo momento più prospero nel seicento, durante la signoria dei Borghese, e quindi tornò in mano del papato.
            Anche in queste brevi linee, si individuano i termini d’una storia senza vicende, da feudo minore, che finisce col chiudersi nella sua isola di centro rurale di montagna appena autosufficiente, e questo suo carattere corrisponde col suo paesaggio, fin quasi a specchiarvisi, col tessuto dei suoi vicoli pei quali razzola qualche tacchino o sta parcheggiato un somaro legato alla catena d’un ingresso. L’effetto scenografico è perfetto e le inquadrature che si succedono sono omogenee, e frastagliate in tanti particolari che non spezano, anzi compongono il quadro: e il nostro borgo, come dicevamo dianzi, par che istintivamente reciti la sua quotidiana vicenda, nei termini e nei significati medioevali della sua suggestiva realtà “(24).
            Lo storico arciprete F.P. Sperandio circa questo paese così scrive:” Canemorto castello situato sopra di un colle a levante ed a quattro miglia dalla suddetta grancia, di anime mille cento circa ha una chiesa parrocchiale dedicata a San Niccolò di Bari, e che in una tabelletta, quale in essa si conserva, leggesi consacrata il dì 31 marzo 1536.

1 5 3 6

Die ultima mensis martii ego Laurentius de Santorelli Epus volitem majoris consecravi Ecclesiam & Altare hoc in honorem S. Nicolai Episcopi & Confessoris & Reliquiae Beatorum Martyrm Stephani Protomahyris & Sm Ciri & Questistae & S. Mariani Martyris in eo inclusi Cristi Fidelibus hodie unum annum & in die Anniversario Huismondi Ecclesiam visitandibus 40. Dies de vera Indulgentia in Forma Ecclesiasticae Consulta concedimus”.
            Sono in questa chiesa – continua lo Sperandio – in quella di S. Giacomo, e nell’altra di cui appresso diverse iscrizioni lapidarie che formano il num.56 dell’Append. Canemorto fu già di monaci e del monastero di Santa Maria in Valle, indi degli Orsini, poi dei Muti, finalmente dell’eccma casa Borghese.
            V’è in questo castello un convento  con una chiesa sotto il titolo di Santa Maria de’ Raccomandati. I Padri conventuali di S. Francesco riferiscono (25) la di lui origine fino all’anno 1582, nell’anno 1653, fu da Innocenzo X soppresso, e poi ad instanza della comunità con giunta di assegnamento di rendite, reintegrato, come ora si trova (a. 1790) (26).
            Molte sono le lapidi raccolte dal dotto arciprete; riteniamo doveroso riportarle in queste pagine, affinché si possa completare il quadro storico di questo remoto castello sabino:

Num. LVI

Iscrizioni di Canemorto

Nella chiesa parrocchiale in una lapide a cornu
Epistolae dell’altare della SSma Trinità vedesi inciso:

o( I )o


D.O.M.
TRINI ET UNI SACELLUM HOC AERE SUO CATHARINA
BASILICI CLARA GENERE CLARIOS PIETATE EXCITAVIT
ET VICTURA POST MORTEM PIETATIS STUDIO BINAS
IN QUALIBET HEBDOMADA MISSAS INSTITUENS VITAE
CONSULUIT IMMORTALI A.D. MDCCXI

Nel pavimento della chiesa

R. VINCENT. MANCINI ARCHIP. A. 13. APR. 1613
USQUE 30. JUNII 1660. URSIN. FRAT. POSIT.

Nella chiesa di S. Maria de’ Raccomandati sono le seguenti iscrizioni lapidarie:

D.O.M.
MISSAE OMNES AD ALTARIA HUIUS ECCLESIAE PRO SUMMIS
PONTIFICIBUS CARD. PROTECT. ORD. AC FRABUS DE
FUNCTIS AB EJUSDEM ORD. TANTUM SACERDOTIB.
QDOCUMQ. CELEBRATAE INDULTO ALTARIS PRIVILEGIATI
PERPTUO GAUDEM VIGORE BREVIS BENEDICTI PP.XIII
D. XXXI. JAN. MDCXXV. INSUPER MISSAE OMNES
IN OBITUS VEL ALIO DIE PRO IISDEM SUPRADD. PERSONIS
AC ETIAM PRO VICEPROTECT. ORDINAR. LOCI PRINCIP.
SUPREM. PRONIS LOCI TEMPORLIB. BENEFACTORJB.
IPSISQUE FRABUS ET MONIALIB. ORD. SUBJECTIS
HORUQ. TM GENITORIBUS A QUOVIS SACERDOTE CELE
BRATAE EODE PPTUO ALTARIS PRIVILEGIATO
GAUDENT EX INDULTO BENEDICTI PP. XIV. DIE.
IV. SEP. MDCCLI

 
D.O.M
Altare hoc Omnipoteti
Deo in honore Bmae Vir-
Gis Mrae de Racomandatis
Erectu privilegio quoti-
Diano P Peno ore libero P
Mnibus. Defunct ad quos
Cumq. Sacertotes Vigore
Brevis Benedicti PP XIV. D
IV Oct. MDCCLI. Insig-
Nitu atq. A minis-
Tro gnli ordnis
D. XXV M octb.
1752 Designatu




D.O.M.
P.Paulo I.V.C.Ecc. Nob. Iacobi Fam.
Gall. Lugdunen. Oriundo
Romano. Ob. Singularem

Eius in Rebus Agendis

Dexteritatem Animique
Integritatem Ac Fide. Prin
Cipibus viris Precipue. Vero
Mutiorem. Fam. Summe. Caro
Iacobus Mutius Caroli. F. Vall.
Mut. Dux. II Benevol.e Ergo. P. C.
(segue lo stemma)

Obiit. A.D.M.D.C. VII. XIII. Kal. Sept.
Viscit. Ann. LV



D.O.M
Petro, Fuschetto, S.S. Mav = et Lazae
Equiti. Ob. Meritae. In Eum Ordinem
Commenda. Donato. Spectatae
Belgico. Bello. Virtutis
IACOBUS MUTUS. VALLIS
MUTIAE. DUX. II.
Quod Incomparabili. Fide. Consta-
Ntia. Que. Annos. XL familiarem
Egerit. Qua. Caroli. Patri
Classis. Sabaudiae. Praefecto. Egre
Giam. Operam. Navavit. Qua. Sibi.
Genevensi. Bello. Domiq= Officio
Affectus. Consilio. Pietate. Sadiste
Cit. Vixit. An. LXVI. Decessit. Die XXVIII
Ianv         MDCVIII


E finalmente nella facciata esteriore della chiesa di S. Giacomo, sopra la porta, si legge come segue:

SANCTO JACOBO
JACOBUS MUTUS VALLIS MUTIAE
DUX II. F. MDCXIV


Di Orvinio erano i seguenti Frati Minori Cappuccini:

ANGELO da Canemorto (Orvinio) chierico; morto il 23 marzo 1648 a Roma (RM1, 121 – RM3, 23.3.1648

MODESTO da Canemorto (Orvinio) fratello laico; al secolo D’Attilio Girolamo nato nel 1650; vest. 11.x.1673 a Palanzana; morto a Roma il 10.8.1738 (RL.380, RM4, 10.8.1738, N. 27.8.1756)

URBANO da Canemorto (Orvinio) sacerdote predicatore. Al secolo De Amicis Roberto nato il 18.9.1689; vestizione 1706 a Rieti (morto a Roma il 8.5.1757 – RC.995, RM2 91, RM4 8.5.1757, N. 31.1.1757)

BERNARDO da Orvinio , fratello laico; al secolo Bagaglini Sante; nato il 3.8.1864; vest. 8.2.1886 a Firenze; morto a Roma il 13.X.1903 (Cronologio Frati Minori Cappuccini di P. Teodoro da Torre del Greco, Roma 1966).



Il Patrono di Orvinio è San Nicola di Bari che viene solennemente festeggiato la 3^ domenica di settembre con grande partecipazione di popolo che conviene assai numeroso dai paesi limitrofi.
            Ad Orvinio c’è l’Ufficio Notarile e la Pro Loco; il CAP è 02035; il telefono è : 0765/9007; in questo paese il telegrafo vi si istallò la prima volta nell’anno 1884 e i parafulmini nel 1880.
            In questo paese si trova anche la Pretura; Dista da Rieti capoluogo Km. 46; dalla staz. Ferr. Di Mandela Km.22. Orvinio lo si trova posto a 830 mt s.l.mare; è di 1194 abitanti, di cui 590 maschi e 604 femmine;  superficie territoriale in Kmq. 24,55; densità della popolazione per kmq. 26.
            Ad Orvinio si svolgono le Fiere di merci e bestiame nei seguenti giorni:
-       25 marzo
-       2^ domenica di Aprile
-       Lunedì dopo la Pentecoste
-       2 luglio
-       19 agosto
-       lunedì successivo alla 3^ domenica di settembre
-       3^ domenica di ottobre
-       8 dicembre
-       il 6 gennaio rievocazione del Presepio con i Re Magi in costume dell’epoca.

Riepiloghiamo dicendo:

Orvinio Sabino fu sotto il Ducato Romano, poi sotto quello Longobardo di Spoleto; appartenne all’Abbazia di Farfa, poi a quella di Santa Maria del Piano; nel sec. XV passò alle dipendenze degli Orsini; nel 1558 ai Tuttavilla; nel 1573 ai Muti, nel 1632 ai Borghese, e circa gli anni 1930 il paese divenne residenza abituale dei marchesi Berlingeri.
            Orvinio figura tra i castelli censuari verso il comune di Tivoli negli Statuti Tiburtini degli anni 1305 e del 1500. Nel sec. XIV appartenne ai Conti di Canemorto; nel 1382 in un atto redatto a Roviano risulta venduto alla famiglia Colonna (28).
            Orvinio come tanti altri castelli della Sabina, appartenne allo Stato Pontificio e poi al Regno d’Italia.. Questo paese è un bel centro per chi voglia passare un periodo di riposo, ed è un luogo magnifico per la villeggiatura.
            E’ centro agricolo e vi si produce abbondantemente grano, erbaggi, frutta e verdura. Numeroso è il bestiame, perché sulle sue terre vi si estendono fertili prati dai saporitissimi pascoli.
            A chi ancora non lo avesse visitato, si consiglia di farlo; lo troverà certamente assai accogliente, piacevole e infinitamente cordiale.



APPENDICE (A)

Si apprende dalla sacra visita pastorale effettuata ad Orvinio (l’antico Canemorto) dal Vescovo di Sabina Mons. Canali Francesco, avvenuta il giorno 24 settembre 1836 e proveniente da Poggio Moiano, che il viaggio fatto dal prelato e dal suo seguito “fu molto disagevole per la pessima strada”. Fuori dal paese venne accolto dal parroco Don Giuseppe Giammattei, dalla popolazione, dal Corpo dei Bersaglieri e dalla Banda Musicale; il Vescovo prese alloggio presso l’avvocato Gregorio Morelli e la mattina del giorno 26 settembre 1836 si recò nel vicino paese di Petescia (oggi Turania).
Dopo aver visitato la Parrocchia di Montorio in Valle e Pozzaglia, fece ritorno a Canemorto il 1 ottobre “per sistemare il controverso luogo per la fabbrica della nuova chiesa” prendendo visione della documentazione che gli fu presentata dagli architetti Raimondi e Valadier.
A causa di una forte pioggia, Mons. Canali dovette trattenersi fino al giorno 4 ottobre (festa di San Francesco d’Assisi) quando partì alla volta di Scandriglia.
Ad Orvinio, oltre il parroco Don Giuseppe Giammattei (di 27 anni, nominato dal Card. Carlo Odescalchi – 1833-1836), nativo dello stesso paese, vi erano anche i seguenti religiosi:
-       don Giacomo Francorsi di anni 54, sempre dello stesso paese e maestro di scuola elementare di “ottimi costumi;
-       il Chierico minore Fabri Domenico di anni 22;
-       Mastrangeli Fausto di 19 anni;
-       Bernabei Vincenzo di anni 20, tutti chierici minori e studenti presso il Seminario di Magliano Sabino
-       Viene poi Felice Francesco, chierico coniugato e con mansioni di segretario della Parrocchia;

Gli eremiti:
-       Angelo Persiani in S. Maria in Vallebona;
-       Giovanni Perna in S. Maria del Piano, tutti e due di anni 60.

La chiesa parrocchiale di Orvinio era identificata con il titolare S. Nicola da Bari e fu consacrata il 31 marzo dell’anno 1536 da Mons. Santarelli, essendo stata riedificata  nell’anno 1530; detta chiesa  fu poi ridotta in forma attuale nel 1680. La comunità di Orvinio fece istanza all’Abbate Nuro, affinché fosse accresciuta, nel 1716, di due retrostante, di una sagrestia e di altre tre stanze sovrapposte.
La chiesa parrocchiale di Orvinio era fornita di 5 altari: l’altare maggiore dedicato a S. Nicola da Bari di jus patronato della confraternita del SS.Sacramento; c’erano poi gli altari della Madonna delle Grazie, di San Rocco, della SS. Trinità (eretto nel 1709 da certa Caterina Basilici); l’altare della Madonna del Suffragio (eretto nel 1718 da don Giacomo Marcangeli e di jus patronato della sua famiglia). Vi era anche la chiesa di S. Maria dei Raccomandati (una volta appartenuta ai Frati Minori Conventuali) venuta poi in possesso della Comunità il 14 maggio del 1816, con atto notarile del notaio Domenico Marcangeli di questo paese. Vi si trovava la Confraternita del Gonfalone. In questa chiesa c’erano ben cinque altari: quello dedicato alla Madonna dei Raccomandati, quello si S. Antonio di Padova, S. Lucia, Madonna del Rosario e S. Francesco d’Assisi; sul campanile c’erano tre campane . Nei pressi e attiguo al Coro vi era il Cimitero, ma , secondo gli atti di questa Sacra  Visita, si dice, che sono più di venti anni che non vi è stato sepolto alcuno e cioè dal 1820.
Poco distante dal paese, vi era la chiesa di S. Giacomo Maggiore, di ju patronato del principe Borghese, feudatario del luogo.
A quel tempo, ad Orvinio vi era una Brigata di Bersaglieri, “che molto inquietano la popolazione e il Parroco” (così riporta il documento). Vi era la residenza del Vicario Foraneo, che un tempo risiedeva a Pozzaglia e che reclamava questo onore.
Ad Orvinio era posto il Santuario della Madonna di Vallebona, “eretto dalla diserta pietà del popolo fin dal principio del 1600 sulle rovine del castello dirupo di tal nome; poco distante dal Santuario c’è la chiesa dedicata a S. Giovanni Battista.
Non lontano da Orvinio (come già ricordato) c’è l’antica chiesa di Santa Maria del Piano, tenuta un tempo dai monaci benedettini, ma attualmente (1836) è quasi abbandonata al punto che “la fabbrica è in cattivo stato”.
Ad Orvinio, nel 1836, vi era la Compagnia  del SS. Sacramento, istituita  il 25 giugno del 1585; la divisa era composta  da “sacco bianco con rocchetti ai lati di color paonazzo, ossia celeste” ed era aggregata alla omonima Compagnia della Minerva in Roma; contava cento iscritti ed aveva un reddito anno di 50 scudi.
C’era poi la Compagnia del Gonfalone e dello Spirito santo eretta nel 1660, riunita il giorno 8 ottobre  1822 da Mons. Foscolo, e aggregata all’Arciconfraternita di S. Lucia in Roma.
C’era poi la Pia Unione di Sorelle della Carità, istituita in occasione delle Missioni del 1807, con approvazione del Vescovo Diocesano, con lo scopo di accudire  gli ammalati.
Le devozioni popolari in Orvinio, a quel tempo, erano: una processione introdotta nel settembre dell’anno 1834, in onore di S, Filomena, dietro il dono di una reliquia della Santa e di un suo quadro fatto da Mons. Anselmo Basilici; dal 20 maggio 1832, fu introdotta la Novena a S. Filippo Neri, il cui giorno di festa è di precetto come a Roma. ( ).
Nel 1864, Orvinio era sotto il Distretto e Diocesi di Rieti; era  a quel tempo, capoluogo del Governo, e contava ben 9548 anime, avendo sotto di se le Comuni di Collalto (colli appodiati Ricetto e S. Lorenzo); la Comune di Collegiove, di Marcetelli, Nespolo, Paganico, Pozzaglia (con gli appodiati Montorio in Valle e Pietraforte); nonché le Comuni di Petescia, Scandriglia (cogli appodiati Ponticelli e Cerdomare, oggi sotto Poggio Moiano).
In questo paese nel 1864 vi erano alcune botteghe di tessuti, caffè, osterie, sali e tabacchi, ferri lavorati. Vi erano tre Procuratori, un notaio, un medico condotto e la Farmacia della famiglia De Angelis; c’erano molti negozianti di cereali, tre ebanisti, sarti,caldararo, calzolai, barbieri, sei matarassai, sette muratori, torchi da vino e la mola a grano della famiglia Filonardi.
Il solo Comune di Orvinio contava, nel 1864, ben 1618 anime, poste tutte all’interno del paese, sotto l’unica parrocchia dedicata nel 1536 a S. Nicola da Bari, riuniti in 306 famiglie entro 320 case.
Questo paese appartenne prima all’Abbazia di Farfa, poi agli Orsini, ai Muti, ed infine ai Borghese; si ritenne che questo paese fosse sorto sulle rovine  dell’antica città di “Orvinio di Dionisio”. Il nome di Cane Morto sembra derivare dalla morte di “Cane” sommo condottiero di armata, che perì in battaglia accaduta nelle vicinanze di questo paese. ( )
Il territorio di Orvinio aveva una superficie censita di Tavole 24126.

Censim. Rustico : 43057=
            Urbano  : 13256
Direz. Postale: Rieti per Orvinio (Canemorto) ( )




Note:  (_)  B. Marchetta: Ottocento Sabino, pgg 138-140
           (  )     E’ pura fantasia e non un fatto storico
            ( )  Calmieri, Roma e Com’arca, pgg 62 – 63



FRATI MINORI CAPPUCCINI DI ORVINIO

1)    ANGELO, chierico. Morto il 23.3.1648 a Roma (RM I 121 – RM 3  23.3.164) p.T.  Torre del Greco: I Frati Minori Cappuccini della Provincia Romana, pg.165
2)    BERNRDO, fratello laico: Al secolo Bagaglini Sante nato il 3.8.1864 – vestizione il 8.2.1886 a Farnese (VT), morto il 13.X.1903 a Roma (RL 1987 – RM7 107 n. 323) op. cit. pg.507.
3)    FELICA sacerdote predicatore. Vestizione nel 1656 (RM I 262 RM 27.4.1686) op. cit. pg. 223; morto 27.4.1686 a Ronciglione op.cit pg.223
4)    MODESTO fratello laico. Al secolo D’Attilio Girolamo nato il n. n. dell’anno 1652 vest. 11.19.1673 a Palanzana VT. Morto il 10.8.1738 a Roma (RL380 – RM4 10.8.1738 – n.29.6.1715) op cit pg374.
5)    PAOLO fratello laico. Al secolo Di Attilia Francesco nato il n.n. nel 1643; vest 15.9.1665 morto il 3.5.1684 a Roma (RL 306 RM 3.5.1684) op.cit. pg.235.
6)    URBANO sacerdote predicatore guardiano. Religioso pio e di buon esempio: Al secolo Persiani Sartorio nato nel 1634 vest. 25.5.1655 a Palanzana morto il 13.XI1695 a Scandriglia (RC 234 RMI 294 RM3 13.11.1695) op. cit. pg. 563.
7)    URBANO sacerdote predicatore al secolo De Amicis Roberto nato il 18.9.1689 vest. 1706 a Rieti; morto 8.5.1757 a Roma (RC 995  RM2 91 RM4 – 8.5.1757 n 31.1.1747) op cit pg 242.
8)    VALERIANO sacerdote predicatore Religioso di rinomata perfezione. Fu più volte guardiano lettore di filosofia e teologia maestro dei novizi a Rieti e alla Panzana per 10 anni definitore, Ministro Provinciale. Morto il 20.8.1653 a Roma (RMI 139-40  RM3 20.8.1653) op. cit. pg.394.


NB. Ricordiamo che di Orvinio era il celebre scrittore Virgilio Brocchi; nacque in questo paese de genitori veneziani, perciò amava definirsi di origine romana di sascita e milanese di elezione, ma di origine veneziana; scrisse molti romanzi editi per lo più dalla Casa Mondatori che qui sotto vogliamo riportare:
1)    Romanzi: Le aquile (1906); La Gironda (1909); Il Labirinto (1914); Miti (1917); Secondo il cuor mio (1918); Il sapore della vita (1928); Gli occhi limpidi (1930).
2)    I Romanzi dell’isola sonante: L’isola sonante premiato al concorso Rovetta 1911; La bottega degli scandali (1916); Il lastrico dell’Inferno (1919); Sul caval della morte Amor cavalca (1920);
3)    Il Ciclo del figliol d’Uomo: Il posto nel mondo romanzo (1921); il destino in pugno, romanzo (1923) La rocca sull’onda (1926); il tramonto delle stelle (1938)
4)    I Casti Libri delle donne che mi hanno amato: Netty (1924) Rosa mistica (1931)
5)    L’ansia dell’Eterno: il volo nuziale (1932); I golfaloni di Lucifero 1933; II roveto in fiamme 1934;
6)    I Romanzi del Piacereda da raccontare: Gioia da raccontare 1935; Il poco lume e il gran cerchio d’ombra 1925; Gente simpatica 1936; La fontana dell’amore e dell’oblio 1939; Fantasia di mezza estate 1940; Le beffe di Olindo 1942.
7)    Novelle: I sentieri della vita 1912; La coda del diavolo 1915; L’amore beffardo 1918; Fragilità 1923; L’arcolaio 1924; in: Arch. Stor. Do.Ro.; La giostra delle illusioni 1929
8)    Misteri: La gran voce, sei misteri 1942.
9)    Storia di Allegretto e Serenella: L’Alba 1919; Santa Natura 1919; I piccoli amici 1919; Confidenze – Gli approdi – I tempi del grande amore, etc. (Agosto 1943.


A Orvinio il 31 agosto 1872 cadde una grande meteorite, osservata e rinvenuta nel Lzio, come viene riportato dall’Osservatore Romano del 1 settembre 1872 (vedi il volume : I Monti Lucretili 1983, pgg 299- 329).




IL CASTELLO FARFENSE DI PIETRA DEMONE


Non lontano da Orvinio, un tempo lontano sulla cima di un monte, vi si ergeva tetro e solitario il remoto castello dabino di Pietra Demone, anch’esso appartenente alla celebre abbazia benedettina di S. Maria di Farfa.
Si ritiene che sopra questo monte (molto tempo prima della fondazione del castello) vi sorgesse un tempio dedicato a Giove. Una iscrizione, qui rinvenuta, così dice “…OVI CACUNO F.C. “, interpretata dal Biondi così:

IOVI CACUNO FACIUND CURAVIT

Il castello di Pietra Demone viene più volte ricordato nei documenti farfensi, essendo questo un feudo di Farfa; lo si trova infatti recuperato dall’Abate Berardo I (1074-1089) insieme a molti altri castelli della Sabina e del Reatino (30)
Il conte Tedino, insieme con la madre Zita e la moglie Gaita, nel 1083, dona a Farfa alcuni suoi castelli, e fra questi troviamo anche la metà del castello di Pietra Demone (31).
L’imperatore Enrico IV, dopo la famosa penitenza di Canossa (25-28 gennio 1077) tornato di nuovo in Italia per punire il suo rivale, papa Gregorio VIII, nel 1083, poco prima di occupare Roma ed incoronare l’antipapa Clemente III, fermatosi a Farfa col suo potente esercito, volle rilasciare all’Abate Berardo I e ai suoi monaci un Diploma, confermando ad essi il possesso dei loro beni e dei loro privilegi, e fra i tanti castelli della Sabina, volle confermare anche quello di Pietra Demone (32).
Nello stesso anno 1084 anche il conte Erbeo, figlio di Todino Conte, fa dono a farfa delle sue pertinenze poste nel castello di Pietra Demone (33).
Circa l’anno 1097 l’abate Berardo II destina le rendite di molti castelli sabini, per la costruzione di una nuova chiesa farfense (che poi non riuscì a portare a termine); il documento così riporta:
“..Item, statuimus de calcariis, ut homines de Petra Demone faciant in uno anno calcarias. II:::”(35).
Durante il periodo del malgoverno dell’abate Guido III (1119-1125) le cartule farfensi così riferiscono:”….in Petra Demonis casalem Sancti Stephani, et casalem de Maccla, et casalem Anastasie et vineam Sancti Martini:::”(36); lo stesso documento più avanti così dice:….Item, feliciter profitto quod castrum Fare, et Tribucum, sive buccinianum, et Monte Opuli, et salisanum et Roccam Monasticam, et castrum Arci, atque Scandriliam, vel Petram Demonis….”(36).
Un interessante Documento farfense, riguardante Pietra Demone è quello in cui l’abate Guido III concede a molti castelli sabini speciali privilegi. Le terre ricordate in questo Documento, sono quelle rimaste fedeli a Guido III, nei torbidi avvenimenti avvenuti verso il tempo in cui il papa Calisto II si recò a Farfa e tolse a questa Abbazia ogni sua lbertà (24 giugno 1121).
Nella carta dell’I.G.M., F.144 della Carta d’Italia, II.N.E. (I) riguardante Orvinio, sulla sinistra rileviamo il nome di “Colle Cima Coppi”, e più sotto il nome di Pietra Demone (ossia del demonio); tutta la zona formata “di coppi o doline” è detta oggi “la Moretta o la Morretta”(2). Se si guarda a distanza la cima del colle sembra proprio di vedere il basamento di un’ara o di una statua; infatti nell’antichità questo colle sabino fu dedicato al dio Giove delle alture. Proprio qui fu rinvenuta una lapide di travertino (3) ora conservata  nel palazzo Taschetti di Orvinio, dove si legge la seguente scritta:::OVI CACUNO F.C. che tradotta dal Biondi significa: IOVI CACUNO FACIUND CURAVIT (3).
Giove Cacumus è ricordato da questra scrittura e da un’altra ed è stato inteso come sabino, sia per la terminazione identica a quella della dea sabina Vacua venerata vicino alla villa di Orazio (a Roccagiovane?), sia soprattutto perché la Moretta è una zona sabina” (4). Il Giove della Moretta di Orvinio, dopo l’avvento del Cristianesimo fu ritenuto un “demone” falso e bugiardo e la scritta fu gettata alle ortiche, divenendo così “la Pietra del Demonio”.
I monaci di Farfa, padroni di questa terra, vi edificarono un castello, circa il secolo IX, e lo chiamarono appunto Pietra Demonis in territorio Sabinensi, così come riferiscono i varii documenti Farfensi (5).
Durante il secolo XII, il Castello di Pietra Demone divenne potente e forte, e le sue pertinenze si moltiplicarono con l’acquisto di molti beni e di concessi privilegi da parte degli Abbati di Farfa; nel 1318 gli abitanti di questo castello fondarono il libero comune, sempre però sotto la protezione della comunità farfense, dominandovi un procuratore per porre fine alle ostilità e i delitti che spesso si perpretravano contro gli inermi cittadini poveri ed indifesi di queste terre, implicandovi le stesse comunità limitrofe come Percile e Civitella, feudi questi del principe Giacomo Orsini.
L’abbate farfense Giacomo IV, nel 1338, nominò vicari di Pietra Demone i nobili Stefano Colonna e Rainaldo Orsini, affinché Giacomo Orsini non avanzasse pretese su quel castello sabino; ciò avvenne anche per l’altro castello di Farfa: Scandriglia.
Secondo quanto riferisce la D.ssa Orsola Amore, le pertinenze di Pietra Demone si estendono per un circuito di 18 miglia. Nel 1343 una visita pastorale riporta solo il “castrum Petra Demoni” e la presenza di quattro chiese e tre cappelle dipendenti; la tassa del sale  risulta di 10 rubbia, mentre i centri vicini di Civitella è di tre rubbia e Licenza di 5 rubbia. Il castello di Pietra Demone viene ricordato nel registro del sale del 1448 per sole 5 rubbia e già si nota un’alta percentuale di calo demografica, che poi si concluderà con l’abbandono totale del castello.
Nel secolo XVI, Pietra Demone durante il periodo degli abbati commendatari Napoleone e Francesco Orsini (1519-1530) viene ceduta ai Vico di Cantalupo Bardella e gli Eredi lo rivendettero nel 1587 a Federico del Bufalo dei Cancellieri; gli abbati di Farfa e soprattutto i monaci, rivendicarono il possesso di questo castello ed il suo territorio, facendo aprire un processo perché tornasse ancora una volta in loro possesso (6).

NOTE
1)    Carta Topogr. I.G.M., F.144, II, N.E. Carta d’Italia (Ricognizioni Generali) del settembre 1906, Orvinio) in : Arch. Storico DO.RO.
2)    Cifr. De Angelis e P. Zanzara: I Monti Lucretili (Un parco naturale nel Lazio) Roma 1983, in : Arch. Stor. DO.RO. O/C n.428-D (monte coppi m.1211) Per la voce Moretta o Morretta” dialettalmente significa “i muretti” ossia gli avanzi di antiche mura poste sulla sommità del monte.
3)    Vedi il presente studio alle pagg 17-30 (C.I.L.IX.4876)
4)    G. De Angelis e P. Zanzara, op. cit. pg.199.
5)    Cfr Il Regesto, Chronicon, Liber Largitorio, Liber Floriger di Gregorio di Catino in : Arch. Stor.DO.RO.
6)    Vedi O. Amore: op. cit pgg 296-297.


DOCUMENTO FARFENSE
(1119-1125)

“ In nomine Dei onnipotentis. Nos omnes fratres congregationis Beate Dei genitricis sempre virginia Marie domine nostre, cunctis amici set fidelibus huius santae Farfensis ecclesie, et precipue cuncto popolo tutius abbatie, scilicet clericis et laicis, maioribus atque minoribus, perpetuam in Cristo salutem.
Notum esse credimus vestre dilectioni, quondam populus noster  de castello huius ecclesie quod dicitur PETRA DEMONIS, in dissensione nostra et huius monasterii defectione, que nostris peccatis exigentibus nobis acciderunt pro abbatum electionibus, ipsis omnes fideliter et viriliter permanserunt in Sancte Marie nostrique conventus fidelitate. Quapropter no umanimiter et devotissime eos sempre volumus in nostra societate et oratione sive amore perpetuo renovare et meliorare, et totam pertinentiam eiusdem castri in nostro manuali oper in eternum constituere, ita ut nullo modo aliquid de ipsa pertinentiam unquam minuatur,  neque  in  beneficium neque per scriptum nec quolibet modo alici homini tribuatur, sed sicut Todinus comes bone memorie filius Berardi investivit et tradidit partem suam domo Berardo abbati et huic monastero ad regimen totius conventus et frater eius Herbeus aliam partem concambiavit cum eodem abbate, et ipse abbas constituit cum omni congragatione ut permaneret in sempiternum ad totius conventus utilitatem, et per penam excomunicationis confirmavit ut nullus mortalis hoc constitutum presumat infringere et postea alius abbas Berardus Florentinus reconfirmavit omnia, et abbas Beraldus Ascari filius, et iste presene abbas domnus Guido silmiliter reconfirmans omnia nos investivit, sic nos omnes per eius licentiam, ut diximus, confirmamus et sub perpetua excommunicatione stabiliter ordinamus, ut nullus prelatus aut ordinatus huius monasterii nec quisquam homo audeat ipsam pertnentiam predicti castelli PETRE DEMONIS quolibet modo mingere, aut indicium vel consilium dare, aut immissionem aut invasionem aliquam facere. Et quicumque homo presumpserit hoc, in iram Dei omnipotenti sciat se incorrere, et perpetuam damnationem sibi acquirere, et a beata Maria domina nostra et omnibus sanctis eternam maledictionem accipere, nisi forte per planum et utillimum consilium in aliquo meliorari fideliter videatur, Qui vero observator et defensor huius fuerit constitutionis, Deum omnipotentem et eius sanctissimam Genitricem omnesque sanctos pro eo supplicamus, ut de omni sua penitentia anni septem sibi in Dei nomine misericordite indulgeantur. Amen. Si quis vero temere vel quolibet ingenio PETRA DEMONIS, Scandriliam, Faram, Roccam (Baldesca o Monasticam) Salisanum, Buccinianum, Montem Operis, Tribucum cum rocca, et castrum Arci alienare voluerit a convento Farfensi, per scriptum seu concambium, et qui facit vel qui consentit vel medietatur, et qui accipit, sciat se consenso omnis Farfensis conventus maledictum, excommunicatum, anthematizatum et irrecuperabiliter damnatum hic et in futuro seculo, auctoritate domine nostre Marie et omnium sanctorum, usque ad emendationem congruam et satisfactionem, et si ei quod acceperit inane et vacuum, et portio eius cum Iuda traditore, Pilato, Anna et Caifa, et cum eternis suppliciis damnetur in specula saecolorum. Nulla penitentia, nulla oratio vel helimosina, quamdio de castellis predictis retnuerit, ei ad salutem proficiat, sed ad eternam damnationem et incendium perpetuum facientes, recipiente set consentientes anathemate maranatha in perpetuum religentur ad nomen Domini. Fiat. Fiat “(37).
Per lungo  tempo le carte farfensi tacciono su questo castello sabino di Pietra Demone, lo si ritrova menzionato nell’anno 1262 in una bolla del papa Urbano IV. Pietra Demone la troviamo ancora nel Regesto De Cupis (38), dove si parla di un atto di pace tra questo castello e i castelli di Percile e Civitella, feudi degli Orsini.
Nel sec.XVI, Pietra Demone, passò dagli Orsini (commendatari di Farfa) ad un certo Vico, signore di Cantalupo Sardella (oggi Mandela); gli eredi Vico lo vendettero poi a Federico del Bufalo dei Cancellieri, nell’anno 1587. L’Abbazia di Farfa non era d’accordo e fece un processo per rivendicare a sé il castello (oramai ridotto ad un cumulo di rovine) di Pietra Demone con tutto il suo territorio (39).
Sulle silenziose rovine dell’antico maniero di Pietra Demone (così chiamato dai Farfensi in quanto edificato da loro stessi  sulla cima di un impervio colle) oggi vi dimorano rettili striscianti e uccelli rapaci, accarezzati continuamente dal sibilo sinistro del vento che vi regna sovrano.
La Pietra Demone, come tanti altri castelli della nostra Regione, fu edificato dai monaci di Farfa, circa il sec. IX e come tanti di essi fu inesorabilmente distrutto per opera delle continue lotte intestine e per i continui capovolgimenti politici a cui andava spesso incontro la nostra amata terra di Sabina.


NOTE

1)    F. Palmegiani, Rieti e la regione Sabina, pg. 529.
2)    F. Palmegiani, op. cit pg.59
3)    F. Palmegiani, op. cit pg 529; F. Cremonesi, quaderno Sabino n.7 pgg37-47, a cura del Centro Sabino di Studi e Cultura, Roma a.d.
4)    Chr, Farf, vol II pg 160/25 – Reg. Farf. Doc. 1015-16 anni 1074-75
5)    Chr. Farf. Vol.II pg 171/6  Reg. Farf. Doc. 1095 anno 1084
6)    Chr. Farf. Vol.II pg 192/30 – R.F. doc 1255, anni 1089-90; doc 1205 anno 1110
7)    F. Palmegiani, op. cit. pg.530
8)    Quaderni Sabini n.V-VI pg. 127 n.47
9)    F. Palmegiani op. cit. pag 531
10) B. Theuli . A. Coccia, La Provincia Romana dei Frati Minori Conventuali pg.321; famiglia Muti (Duchi di Canemorto e della Valle Mutia; Conti di Poggio Aquilone, Patrizi Romani).
11) B. Theuli – A. Coccia op. cit pg 322; S. Cong super statu Regularium, Arm VIII n.17 f.68
12) B. Theuli – A. Coccia op. cit. pg 322; idem f.83
13) B. Theuli- A. Coccia  op. cit pg 322 idem n.51 f.39
14) B.Theuli- A . Coccia op. cit. pg 322   lista dei Conventi soppressi …per la conservazione. S. Cong. Super statu Regularium Arm. VIII n.61
15) B. Theuli – A. Coccia op cit pg 323; S. Cong. Stat Regl. Decreta vol16 f346. Per la nota dei beni e strumenti 19 luglio 1669 vedi S. Cong. Super statu Regul. Arm. VIII n.33 ff353 e f. 405 lettera del card. Barberini. Per la nota dei beni 1753 e 1804 vedi Arch. Prov. Busta: Canemorto
16) B.Theuli-A. Coccia op cit pg 323; S. Cong. Stat. Regul. Decreta vol.46 f.299
17) B.Theuli-A. Coccia op cit pg 323; S. Cong. Discipl. Reg Decreta vol 197
18) B.Theuli-A. Coccia op cit pg 323  RO a; /76 f.29
19) B.Theuli-A. Coccia op cit pg 323 Visita Apostolica, Sabina anno 1660 Arm VII n.22 f.296
20) B.Theuli-A. Coccia op cit pg320-323 capit XIII
21) B. Palmegiani, op cit pg 535; su questa  chiesa ha scritto un interessante articolo il prog. Lorenzo Fiocca nella rivista  Terra sabina del 1928 conservata presso la Biblioteca dell’abbaz di Farfa
22) Chr. Farf volII pg122/16  168/6  171/1   173/31   192/23   218/40  297/14  299/3   303/2-24—36 (cfr anche il presente studio da pag 30 a pg 34
23) F. Palmegiani, op cit pg 535   G. Moroni Dizionario di Erudii. Stor. Ecclesiast. Venezia 1848
24) Il Messaggero: 13.9.1968, Itinerari Laziali di Viator
25) B. Theuli – A. Coccia op cit pg 320-323 capit XIII
26) F.P.Sperandio: Sabina Sacra e Profana Antica e Moderna pg 175/XXXIX e 176/30
27) F.P.Sperandio op cit pg 403-405 n. LVI